L’archeologia conferma l’uomo della Sindone

Flagellazione di Cristo

Flagellazione di Cristo

Articolo di Flavia Manservigi  22-03-2016 Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana (LNBQ)

L’Uomo della Sindone è Gesù? Per molti studiosi, l’impressionante coincidenza tra i segni di tortura che hanno lasciato un’impronta sul telo e il racconto della Passione che si trova nei Vangeli è sufficiente a dimostrare tale identità. L’Uomo della Sindone, come Gesù, fu incoronato di spine e il suo costato fu trafitto da una lancia. Come il Salvatore, l’Uomo della Sindone fu flagellato abbondantemente – come dimostrato dalla serie di numerosi piccoli segni di forma irregolare impressi sul Lenzuolo, traccia inequivocabile delle ferite provocate dai colpi di sferza -, come se quella fosse l’unica pena cui era stato condannato, mentre in seguito fu anche crocifisso. Ciò concorda pienamente con il Vangelo di Giovanni, che parla delle due condanne inflitte a Gesù da Pilato.

L’ipotesi di una possibile identificazione tra i supplizi subiti dall’Uomo della Sindone e quelli inferti a Gesù comporta la necessità di verificare se effettivamente i segni presenti sul telo siano compatibili con le forme di tortura che erano applicate nel I secolo nel mondo romano.

Per quanto riguarda la flagellazione, in ambito romano essa era codificata secondo un rigido protocollo legislativo, e prevedeva l’utilizzo di un’ampia gamma di strumenti, di cui il più terribile in assoluto – utilizzato per punire i reati più gravi – era l’horribile flagrum, un flagello dotato di corregge terminanti con estremità contundenti, in grado di battere e lacerare le carni. Secondo gli studiosi, sarebbe stato usato proprio questo strumento per flagellare l’Uomo della Sindone; molti sindonologi ritengono inoltre che questo flagrum fosse del tipo taxillatum, ossia dotato di taxilli (piccoli ossicini di animale, altrimenti noti come astragali).

È opportuno precisare, però, che il termine taxillatum non è mai usato nelle fonti storiche: è stato infatti coniato solo nel XVI secolo dal filologo e umanista Giusto Lipsio per rendere la parola greca “astragalato”. Meglio quindi, per riferirsi a questo strumento, parlare di flagrum ‘dotato di astragali’. È inoltre opportuno considerare che questo tipo di flagrum non era usato dai soldati Romani a scopi punitivi, ma veniva utilizzato dai sacerdoti della dea orientale Cibele durante rituali di autoflagellazione. L’associazione tra Gesù, l’Uomo della Sindone e il flagrum ‘astragalato’ è quindi molto improbabile.

Tuttavia, diverse fonti databili all’epoca romana e ai primissimi secoli dell’Era Cristiana ci parlano di flagra dotati di estremità contundenti, quindi compatibili con le tracce sindoniche: il Codice Teodosiano, così come vari autori – tra cui Zosimo e Prudenzio – descrivono le plumbatae, palline di metallo che erano poste all’estremità degli orribili flagelli per imprimere ancor più orribili punizioni.

Numerosi dizionari di Archeologia Romana e Cristiana, datati tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, ci informano che esemplari di questo tipo di flagrum sarebbero stati rinvenuti a Ercolano e nelle catacombe di Roma, e sarebbero quindi databili a periodi vicinissimi a quello in cui visse Gesù. Ad oggi, non abbiamo notizie in merito ai flagra di Ercolano: essi sono stati probabilmente dispersi in qualche collezione privata, o potrebbero essere stati smembrati in più parti.

Discorso diverso vale per i flagra delle catacombe, di cui quattro esemplari sarebbero oggi conservati presso i Musei Vaticani, dove essi sono catalogati come flagelli bronzei romani (invv. 60564-60567). La comprovata esistenza di questi flagra dalla forma compatibile con le tracce sindoniche sembrerebbe togliere ogni dubbio circa la possibilità che l’Uomo della Sindone sia stato flagellato con strumenti utilizzati in ambito romano nell’epoca in cui visse Gesù.

È però necessario precisare che i quattro flagelli erano esposti insieme ad altri reperti, a loro volta classificati come strumenti di tortura, ma che in realtà avevano ben altri usi: uno di questi, inventariato come ‘graffione’, è stato in seguito identificato con un porta lucerne etrusco. Da qui il dubbio che anche i flagelli siano in realtà qualcosa di diverso, non legato all’ambito della tortura; tale eventualità è avvalorata dalla somiglianza tra le terminazioni di questi reperti con quelle di alcuni oggetti rinvenuti nella necropoli villanoviana di Verucchio (RN), classificati come pendenti ornamentali o stimoli per cavalli. Il problema circa l’esatta identificazione dei quattro ‘flagelli’ dovrà quindi essere oggetto di ulteriori approfondimenti.

Ciò non toglie che l’uso di flagelli dotati di corregge terminanti con oggetti contundenti, quindi compatibili con i segni visibili sull’impronta sindonica, fosse sicuramente diffuso in un’epoca prossima al periodo in cui visse Gesù: questo dato è attestato da fonti storiche e letterarie, come abbiamo visto.

Inoltre, il fatto che in un’epoca non lontana dal I secolo si facesse uso di flagelli terminanti con estremità contundenti è dimostrato anche da altre testimonianze: all’interno di un numero del Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica datato al 1859, l’etruscologo Gian Carlo Conestabile della Staffa riporta la notizia del ritrovamento, nella zona di Volterra, di un oggetto identificato con un flagello di bronzo, formato da «sei lunghe catenelle che vanno a riunirsi tutte in un’asta serpeggiante […]; tre di quelle catenelle sono doppie, e tre semplici, formate da anelli e fornite in punta di una pallina».

Gli Etruschi, quindi, usavano flagelli terminanti con estremità contundenti; dagli Etruschi, i Romani avevano mutuato non solo la pratica della flagellazione, ma anche l’uso di alcuni strumenti per flagellare: è ipotizzabile, quindi, che i Romani avessero ‘ereditato’ anche questo oggetto.

Sebbene, quindi, le testimonianze archeologiche ad oggi in nostro possesso non siano totalmente sicure, ciò non toglie che esista compatibilità tra gli strumenti in uso per la flagellazione nei primissimi secoli dell’Era Cristiana e i segni visibili sull’impronta lasciata dall’Uomo della Sindone.

Ovviamente questo dato, da solo, non rappresenta la prova definitiva del fatto che Gesù e l’Uomo della Sindone siano la stessa persona; tuttavia, l’analisi delle fonti porta ad avvalorare la possibilità che l’Uomo della Sindone abbia subito una tortura tipica dei luoghi e dei tempi in cui Gesù visse, operò e accettò di caricare sulle proprie spalle la croce più grande per la salvezza dell’umanità.

 

 

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