I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,29)

Apparizione di Dio a Abramo nella quercia di Mamre

Apparizione di Dio a Abramo nella quercia di Mamre

  1. Introduzione

     Recentemente, il 17 dicembre 2015, la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, organismo della curia romana vaticana, emise un documento con il seguente titolo: “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29): Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50º anniversario di Nostra Aetate (n. 4).[1]

     Nel documento viene ripetuta varie volte una frase che, intesa bene, non presenterebbe nessun ostacolo, ma senza i necessari chiarimenti, potrebbe perfino essere capita nel modo sbagliato. Ad esempio, al n. 27: «L’Alleanza offerta da Dio a Israele è irrevocabile. “Dio non è un uomo da potersi smentire” (Nm 23,19; cfr. 2 Tm 2,13).[2] La permanente fedeltà elettiva di Dio espressa nelle alleanze precedenti non è mai stata ripudiata (cfr. Rm 9,4; 11,1-2).[3] La Nuova Alleanza non revoca le precedenti alleanze, ma le porta a compimento.» Il paragrafo, nel n. 33, molto più chiaro a nostro parere, dichiara che il punto di partenza è l’alleanza di Dio con Abramo: «In questa comunione di alleanza (capita sì, questa volta, come continuità dall’alleanza abramitica), deve essere chiaro per i cristiani che l’alleanza stretta da Dio con Israele, in virtù dell’incrollabile fedeltà di Dio al suo popolo, non è mai stata revocata e rimane valida; di conseguenza, la Nuova Alleanza in cui credono i cristiani può essere intesa solo come conferma e compimento dell’Antica». Il problema è che il riferimento all’alleanza abramitica non è uniforme ed a volte sembra che non si riferisca ad essa.

         Vediamo un esempio. Lo stesso documento, verso l’inizio [n. 18], riconosce il problema reale di cercare di interpretare la cosiddetta “teoria della sostituzione” sviluppatasi nella lettera agli Ebrei (cfr. Eb 8, 8-12). Si può, infatti, «osservare, nella Lettera, il contrasto tra una prima Alleanza, puramente terrena, ed una seconda Alleanza, nuova (cfr. Eb 9,15; 12,24) e migliore (cfr. 8,7).[4] La prima Alleanza è definita antiquata, già invecchiata e prossima a sparire (cfr. 8,13), mentre la nuova Alleanza è detta eterna (cfr. 13,20).[5] Per giustificare questo contrasto, l’epistola si riferisce alla promessa di una nuova alleanza nel Libro del profeta Geremia 31,31-34».[6] Malgrado la forza delle espressioni citate, il documento ritiene che la lettera agli Ebrei non pretende di mostrare la falsità della Antica Alleanza e neanche di contrapporla a quella Nuova, ma solo di mostrare «la contrapposizione tra il sacerdozio eterno celeste di Cristo ed il sacerdozio provvisorio terreno». Ad ogni modo, secondo la nostra opinione, il problema persiste poiché la lettera agli Ebrei asserisce, come riconosciuto dal documento stesso, che il sacerdozio levitico aveva effettivamente solo un carattere provvisorio, e ciò equivale a dire che viene sostituito – non esiste altra possibilità – con il sacerdozio definitivo di Cristo. Inoltre, questo manifesta che l’intenzione del documento, almeno in questo numero [18], è il paragone dell’Alleanza di Cristo con quella del Sinai, poiché il sacerdozio è un elemento caratteristico di entrambe le alleanze, ma non del patto rivolto da Dio ad Abramo.

  1. Alleanza e Testamento: Problema del significato e continuità nei documenti magisteriali

             Nell’intendere il rapporto tra l’antica e la Nuova Alleanza come una continuità, il documento asserisce chiaramente che non ci possono essere vie o approcci diversi alla salvezza di Dio. «La teoria che afferma l’esistenza di due vie salvifiche diverse, la via ebraica senza Cristo e la via attraverso Cristo, che i cristiani ritengono essere Gesù di Nazareth, metterebbe di fatti a repentaglio le basi della fede cristiana» [n. 35]. Inoltre, si afferma che confessare la mediazione salvifica e universale (quindi, esclusiva) di Gesù Cristo fa parte del fulcro della fede cristiana.[7]

         Come si possono conciliare ora entrambi i fatti, cioè la permanenza della validità dell’antica Alleanza di Dio e l’unicità della mediazione di Cristo? Il documento rimanda di nuovo al pensiero paolino, affermando: «Per rendere giustizia a entrambi, Paolo ha ideato l’immagine eloquente della radice di Israele nella quale sono stati innestati i rami selvatici dei gentili (cfr. Rm 11,16-21). Si potrebbe dire che Gesù Cristo porta in sé la radice vivente dell’«oleastro» e che, in un senso ancora più profondo, l’intera promessa è in lui radicata (cfr. Gv 8,58). Questa immagine è per Paolo la chiave decisiva per interpretare la relazione tra Israele e la Chiesa alla luce della fede. Con questa immagine, Paolo esprime la duplice realtà dell’unità e della differenza tra Israele e la Chiesa. Da un lato, questa immagine deve essere compresa nel senso che i rami selvatici innestati non sono all’origine i rami della pianta nella quale vengono innestati; la loro nuova situazione rappresenta una nuova realtà e una nuova dimensione dell’opera salvifica di Dio, tanto che la Chiesa cristiana non può essere semplicemente intesa come un ramo o un frutto di Israele (cfr. Mt 8,10-13). Dall’altro lato, questa immagine deve essere compresa anche nel senso che la Chiesa trae nutrimento e forza dalla radice di Israele ed i rami innestati avvizzirebbero o addirittura morirebbero se fossero recisi da tale radice (cfr. “Ecclesia in Medio Oriente”, n.21)» [n. 34].

          Ora, poiché i cristiani sono “innestati” nell’ulivo vecchio (Israele), i cui rami originali sono stati in parte tagliati, viene salvata la continuità di un’alleanza con l’altra e viene risolto, allo stesso tempo, il problema, posto ai cristiani, di congegnare il «ruolo salvifico universale di Gesù Cristo con la convinzione di fede altrettanto chiara che afferma l’esistenza di un’alleanza mai revocata» [n. 37].

         Dobbiamo tuttavia ricordare che San Paolo, proprio nel contesto citato della lettera ai Romani, afferma che gli israeliti, pur essendo nemici del vangelo, “per quanto riguarda l’elezione, sono amati a causa dei padri (Rm 11,28). Sembra che il riferimento venga fatto ad Abramo ed ai “padri”, cioè ai patriarchi. Lo stesso documento che stiamo analizzando, nel numero da noi citato [34], nell’affermare che Gesù porta in sé la promessa radicata in Lui, evoca niente di meno che il passaggio dove Cristo afferma di preesistere ad Abramo (Gv 8,58). Il riferimento è sempre alla promessa fatta ad Abramo senza accennare all’Alleanza del Sinai. E’ allora lecito applicare la nozione di continuità all’Alleanza del Sinai (rispetto a quella di Cristo) o piuttosto bisogna applicarla soltanto alla promessa fatta ai Padri?

            Ci sono ancora altre cose da notare: L’affermazione indubbiamente più decisiva sulla mancata revoca dell’Alleanza si trova al n. 39 del nostro documento. Esaminiamola in due parti: «A motivo della grande svolta teologica apportata, il testo conciliare non di rado è stato sovra-interpretato e vi sono stati letti aspetti che esso in realtà non contiene. Un esempio importante di sovra-interpretazione è la seguente affermazione: che l’alleanza stretta da Dio con il suo popolo Israele è sempre in vigore e non sarà mai invalidata. Per quanto vera sia tale affermazione, questa non si trova esplicitamente espressa in “Nostra aetate” (n. 4).»[8]

          Il “testo conciliare” al quale si fa riferimento è senza dubbio quello della Dichiarazione “Nostra Aetate”, nel n. 4, dalla quale si afferma esplicitamente che non è contenuta la sentenza sull’Alleanza appena sopra riportata.[9] In rapporto all’Alleanza, il nostro documento afferma che quella “con Israele” non è stata cancellata. L’intenzione espressa di andare oltre la lettera del concilio è stata addirittura affermata (“sovra-interpretazione”).

            Proseguiamo con la citazione: «Essa è stata invece espressa per la prima volta con assoluta chiarezza dal Santo Papa Giovanni Paolo II, quando ha osservato, durante un incontro con i rappresentanti della comunità ebraica di Magonza, il 17 novembre 1980, che l’Antica Alleanza non è mai stata revocata da Dio: “La prima dimensione di questo dialogo, cioè l’incontro tra il popolo di Dio del Vecchio Testamento, da Dio mai denunziato [cfr. Rm 11,29] e quello del Nuovo Testamento, è allo stesso tempo un dialogo all’interno della nostra Chiesa, per così dire tra la prima e la seconda parte della sua Bibbia” (n. 3). La stessa convinzione è affermata anche nel Catechismo della Chiesa del 1993: “l’Antica Alleanza non è mai stata revocata” (121).»

            Questa seconda parte risulta più sorprendente della prima. Infatti, si afferma che questa “sovra-interpretazione” del testo del Concilio era stata già espressa “con assoluta chiarezza” dal Santo Papa Giovanni Paolo II. Curiosamente, il testo citato da questo Pontefice è certamente chiaro, ma non nel senso concesso dal documento che stiamo analizzando. Giovanni Paolo II afferma che il “luogo di incontro” di Dio con il suo popolo fu soprattutto la sua Parola, il Vecchio Testamento, ed è questo, senza dubbio, “che è stato mai denunziato” dal Nuovo Testamento o dalla Chiesa, in quanto rimane Parola di Dio in eterno. Questo non fa altro che sottolineare quella che è stata la dottrina da sempre (l’Antico Testamento non va denunziato perché continua ad essere parola di Dio) e mostra la continuità tra l’uno e l’altro Testamento. Questa è la direzione delle parole che seguiranno nel discorso citato da Giovanni Paolo II, coincidente da altra parte con la dichiarazione conciliare, citata anche in quel discorso papale.[10]

            Lo stesso succede con il numero 121 del Catechismo della Chiesa Cattolica, che viene citato: «L’Antico Testamento è una parte ineliminabile della Sacra Scrittura. I suoi libri sono divinamente ispirati e conservano un valore perenne, poiché l’Antica Alleanza non è mai stata revocata.» Inoltre, i numeri che seguono parlano tutti dell’Antico Testamento e della sua perennità. Come nel documento conciliare, così anche nella dichiarazione di Giovanni Paolo II, «Alleanza» viene capita come Testamento ed in particolare, quello scritto (la Bibbia). Non c’è niente a riguardo, tranne che il carattere di “non invalidità” o “non revocabilità”, viene attribuito all’Antico Testamento nel suo insieme, come Parola di Dio, ma non necessariamente come un riferimento univoco alla sola Alleanza del Sinai.

           L’esortazione apostolica del papa Francesco, Evangelii Gaudium, non citata nel documento in analisi, afferma nel n. 247: «Uno sguardo molto speciale si rivolge al popolo ebreo, la cui Alleanza con Dio non è mai stata revocata, perché “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29).»[11] Sebbene l’affermazione sull’Alleanza è la stessa dei documenti precedenti, il richiamo al versetto citato di Romani (lo stesso che porta come titolo il nostro documento) sembra un elemento nuovo che merita un analisi, giacché in questo versetto di San Paolo il termine “Alleanza” non viene propriamente citato.

            Alla luce di quanto abbiamo esposto, sembra che si profilino due aspetti che avrebbero bisogno di maggiore chiarimento:

1 – Come deve prendersi effettivamente “Alleanza”? Ha più di un significato o valore di supplenza, e in tal caso, come va considerata d’ora in poi? Come sinonimo di Testamento biblico, come l’alleanza rivolta ad Abramo e poi ai patriarchi e che rimane viva nella Fede, o come l’alleanza del Sinai, che aveva un aspetto fondante e specifico per Israele come nazione?

2 – E’ lecito applicare senza riguardi e senza chiarimenti il testo di Rm 11,29, dove San Paolo parla di “doni e chiamata di Dio”, all’Alleanza rivolta da Dio a Israele nel Sinai? Se fosse così, in quale dei suoi aspetti? In tutti o solo in alcuni? (Abbiamo visto, ad esempio, come San Paolo disautorizza fortemente il sacerdozio levitico, legato all’Alleanza).

            Cercare di rispondere a questi quesiti sarà la preoccupazione e compito dei seguenti punti.

  1. Significati di Alleanza nel testo sacro[12]

            Cercando di rispondere al primo quesito, esaminiamo il senso di Alleanza soprattutto nel Antico Testamento, dove viene significata dal termine ebraico «berīt». Queste sono:

  1. Berīt = impegno preso

            Nella berīt data da Dio a Noè, Dio s’impegna da parte sua senza esigere nulla in cambio. Non si tratta dunque di un’alleanza, ma di una promessa. L’aspetto formale o “segno” che Dio dona è l’arcobaleno (cfr. Gen 9, 8-18).

            Nella berīt data da Dio ad Abramo in Gen 15,18, similmente, Dio solo s’impegna, senza chiedere un impegno reciproco. Una dichiarazione solenne dona forma giuridico-religiosa all’impegno (15, 9-10.17-18).[13] Si noti l’espressione che d’ora in poi sarà comune: “tagliare un’alleanza”.

  1. Berīt = impegno preso in riconoscenza di benefici ricevuti

Nella berīt stabilita da Dio con Fines in Num 25,11-13, solo Dio s’impegna; il motivo però è un atto di zelo compiuto prima da Fines.[14]

  1. Berīt = impegno imposto

          Nella berīt conclusa in Es 24,4-8, il solo elemento espresso è l’impegno imposto da Dio al popolo, cfr. 24,3.7.[15] Mosè la sigilla con il sangue delle vittime animali nel v.8.

  1. Berīt = impegno imposto in virtù di benefici fatti

La berīt di Dt 29,8 si presenta come un impegno imposto: “Osservate dunque le parole di questa berīt…”, fondato però in ciò che Yhwh ha fatto per il popolo (29,1): “Voi avete visto quanto Jaweh ha fatto…”

  1. Berīt = impegno preso accompagnato da un impegno imposto

Nella berīt di Gen 17, Dio prende un impegno verso Abramo e allo stesso tempo gli impone un impegno, l’obbligo della circoncisione. Questo impegno costituisce un segno della berīt.

  1. Berīt = impegno reciproco

Gli esempi più chiari sono di berīt fra uomini: accordo reciproco tra Abimelech e Abramo (cfr. Gen 21, 22-34), tra Abimelech e Isacco (cfr. Gen 26, 27-31), tra Labano e Giacobbe (Gen 31,44).[16]

           La parola “alleanza” conviene soltanto per certi casi di quest’ultimo tipo. Non è dunque una buona traduzione della parola berīt, perché non corrisponde al significato fondamentale, il quale è “impegno”, ma corrisponde solo a una delle applicazioni possibili. Viene tuttavia adottata sistematicamente in nostri tempi, perché piace di più alla sensibilità moderna. Alcuni fanno notare che in molti casi la traduzione con alleanza non si accorda con il testo biblico. Ad esempio, quando la Bibbia dice che Dio “ha prescritto per sempre la sua berīt” nel Sal 111,9, il verbo è siwwah, comandare; la CEI cambia il uso del verbo per poter mettere “alleanza” e dice: “stabilì la sua alleanza per sempre”.

            Da queste osservazioni non si deve passare all’altro estremo sostenendo che berīt non si applichi mai nella Bibbia a ciò che noi chiamiamo “alleanza”, cioè a un accordo di due parti per un aiuto mutuo e una fedeltà reciproca. Al contrario, è evidente che parecchi testi applicano la parola berīt ad accordi di questo tipo. La traduzione “alleanza” diventa allora coerente, anche se va al di là del senso proprio di berīt. Vediamo ad esempio l’accordo bilaterale tra Abramo e Abimelech (Gen 21,23.27: “e i due conclusero una berīt”; “tu userai verso di me la stessa benevolenza che ho usata con te”), o tra Giacobbe e Labano, è un impegno reciproco; benché tuttavia è più un patto di non-aggressione che un’alleanza positiva: “io giuro di non oltrepassare questo mucchio di sassi tra la tua parte… e tu giuri di non oltrepassarlo dalla mia parte per fare il male…” (cfr. Gen 31, 51-52).

           Tra Yhwh e Israele, l’esistenza di un’alleanza viene fortemente affermata in molti testi, con o senza la parola berīt. Vediamo ad esempio che in Dt 16,17-19 si riporta la conclusione di un’alleanza reciproca, senza adoperare la parola berīt; in 29,11-13 invece, si usa tale parola.[17]

             In Giosuè 24,25 una frase parla di “tagliare (definire) una berīt” per il popolo, che significa imporre al popolo un impegno.[18] Il contesto precedente insiste però sulla decisione libera del popolo nel prendere l’impegno. Yhwh ha fatto tante cose per il popolo (cfr. Gio 24, 2-13); è dunque normale che il popolo lo serva. Tuttavia, Giosuè dichiara che è possibile prendere un’altra via: “Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire” (24,15). Il popolo considera i benefici ricevuti e si decide per Yhwh. Ma Giosuè fa l’avvocato del diavolo e dice: “Voi non potrete servire il Signore, perché è un Dio santo, un Dio geloso” (24,19), sarà troppo difficile. Il popolo non accetta l’obiezione: “No, dice, noi serviremo il Signore”; allora Giosuè conclude: “Voi siete testimoni contro voi stessi, che vi siete scelto il Signore per servirlo”. Si tratta dunque di un impegno libero, dell’accettazione libera di un’appartenenza reciproca: Dio ha preso Israele come suo popolo, Israele prende Yhwh come suo Dio. C’è poi una formalità giuridica. L’impegno è registrato in un libro e una stele viene eretta per servire da memoriale ufficiale e duraturo (cfr. 24,26).

  1. Problema della rottura dell’Alleanza

             Questa osservazione ci introduce a un altro punto, quello della rottura della berīt. Quando questa è un impegno preso unilateralmente da Dio, non c’è mai motivo di rottura; questo è il caso della berīt data a Noè in Gen 9, e di quella data ad Abramo in Gen 15.

       Quando invece la berīt è un impegno imposto ad Israele e accettato da Israele, le cose sembrano andare diversamente [19]. L’Antico Testamento riferisce ripetutamente che Israele non è stato fedele ai suoi impegni solenni; il popolo eletto ha trasgredito (verbo ‘abar) la berīt divina, l’ha trascurata (verbo ‘azab), se ne è scordato (shakah), anzi l’ha completamente violata, rotta (hepher, forma hiphil di prr).

              La rottura riguarda l’esigenza essenziale, la quale è stata violata dagli Israeliti. Il popolo ha abbandonato Yhwh per servire altri dei, oppure hanno mancato ad alcune delle stipulazioni fondamentali dell’Alleanza. In tali casi, Yhwh notifica la rottura, denuncia il patto e mette in atto le maledizioni invece di fare del bene al popolo. I profeti hanno continuamente lottato contro le infedeltà dei re e del popolo, hanno minacciato e annunziato le maledizioni, e infine hanno dichiarato la rottura. La loro forma è molto variata, ma il contenuto di fondo è costante.

            Ecco alcuni esempi:

  • Is 5,1-6: allegoria della vigna: “Il mio diletto aveva una vigna sopra un fertile colle”, aveva fatto tanto per questa vigna e poi invece di produrre uva buona, questa vigna produsse uva acerba (= infedeltà). Adesso che cosa farà il padrone della vigna? Egli la devasterà… (= maledizioni). E’ un oracolo di minaccia.
  • Os 1,2; 2,4: immagine dell’alleanza nuziale; l’infedeltà è come l’adulterio, la prostituzione: “Va prenditi in moglie una prostituta e abbi figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi, allontanandosi dal Signore”. La dichiarazione di rottura: “Accusate vostra madre, accusatela perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito” (arrivando a dire, più forte ancora): (1,9) “Perché voi non siete il mio popolo e io non sono il vostro Dio!”.
  • Ger 7, 23-29: il profeta ha ricordato le tante infedeltà (7,9: “rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dei che non conoscevate”, sono tutte violazioni delle stipulazioni della berīt, cioè del decalogo); in 7,23 riassume l’esigenza centrale dell’alleanza: “Questo comandai loro (cioè: ai vostri padri): Ascoltate la mia voce, allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo”. L’esigenza della fedeltà, che condiziona il mantenimento del legame reciproco; una frase poi riassume in modo generico le stipulazioni e la promessa di benedizione: “camminate sempre sulla strada che vi prescriverò” (= stipulazioni) “perché siate felici” (= benedizioni).

In 7,24-26 Dio si lamenta delle continue violazioni. In 7,27 Dio prevede che la missione del profeta non cambierà niente. In 7,28 viene constatata e denunciata la rottura da parte del popolo. In 7,29, Geremia viene invitato a fare un gesto profetico di lutto per significare la rottura da parte di Dio: “Yhwh ha rigettato e abbandonato la generazione che è oggetto della sua ira”.

              Tutto questo senza la parola berīt, ma la realtà espressa è sempre la rottura dell’alleanza tra Dio e il popolo. In altri contesti, la stessa realtà viene descritta come rottura della berīt, ad esempio in Ger 31,32: “La berīt che ho conclusa con i loro padri quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, la mia berīt essi l’hanno violata, benché Io fosse il loro Signore”.

             Come abbiamo osservato, il testo di Geremia, specialmente alla luce degli altri riferimenti, è decisivo nel parlare di “Nuova Alleanza” (31,31), diversa da quella stipulata con il popolo all’uscire dall’Egitto (riferimento inequivocabile all’alleanza sinaitica: 31,32), diversa nella sua qualità specifica (non sarà più scritta nella pietra come il decalogo, ma nei cuori). Lo stesso testo viene citato nella lettera agli Ebrei (8, 8-10), dove inoltre si dice che se la prima alleanza fosse stata irreprensibile (àmempos), non ci sarebbe posto per una seconda (8,7), quando, invece, il posto è stato trovato, e il mediatore della Nuova Alleanza è Gesù e solo Lui, come viene più volte ripetuto (7,22, dove si afferma che la nuova alleanza è “migliore”; 8,6; 9,15; 12,24).

           Nella lettera agli Ebrei, il brano definitivo è 8,13: Dicendo: «Un nuovo patto», egli ha dichiarato antico il primo. Ora, quel che diventa antico e invecchia è prossimo a scomparire,[20] dove si afferma il carattere temporale e provvisorio dell’alleanza sinaitica.

  1. Sostituzione e revocabilità: Problemi proposti

            Nei testi più forti presentati, quello della lettera agli Ebrei e quello di Geremia, non viene usato mai il concetto di “revocabilità” o “caducità” applicato all’Alleanza sinaitica. In tal senso, parlare di “Alleanza non caduca”, come fanno il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) e l’Evangelii Gaudium, è tecnicamente corretto, ricordando però che questi testi si riferiscono all’Antico Testamento (AT) nel suo insieme. Ciononostante, gli stessi testi del Nuovo Testamento parlano molto chiaramente del carattere provvisorio dell’alleanza, della sua violazione da parte di Israele, della sua inefficacia salvifica (ricordiamo che perfino il documento che analizziamo è di accordo nel dire che non ci sono due vie parallele di salvezza [nn. 35 e 37]). Inoltre, San Paolo usa un’espressione ben decisa in 2Cor 3,14: Quel medesimo velo rimane quando si legge l’antica alleanza e non si rende manifesto che Cristo lo ha abolito (verbo katargèo: “rendere in nulla”, “abolire”). Come afferma il cardinale Vanhoye: “Paolo non vuole certamente dichiarare che gli scritti ispirati dell’«antica diathēkē» abbiano perduto ogni valore. Non ha mai contestato l’autorità dell’AT come rivelazione divina. Da questo punto di vista si può e si deve dire che “l’antica alleanza non è mai stata revocata da Dio”. Va tuttavia notato che in genere, quando si vuole parlare degli scritti ispirati, non si dice «l’Antica Alleanza» ma «l’Antico Testamento»”.[21]

           Il problema che si pone gira intorno alla cosiddetta “teoria della sostituzione”, e si può formulare nel seguente modo: La Nuova Alleanza (annunciata ben chiaro nei profeti dell’AT) in Gesù Cristo sostituisce veramente quell’Alleanza sinaitica? E’ questo il panorama presentato nella lettera agli Ebrei? Ci sono contributi moderni che affermano di no, tra cui il nostro documento, al n. 34.[22] Resta comunque il fatto della forza di molte delle espressioni che abbiamo presentato. Vanhoye aggiunge che San Paolo oppone due alleanze bibliche (pur menzionando una sola diathēkē, il che mette di nuovo sul tappetto la distinzione dei termini) in Gal 3, 15-18, quella di Abramo e quella del Sinai. Per la seconda riserva il nome di nomos (legge). Fa capire che la prima aveva un valore definitivo e ha trovato il suo compimento in Cristo, mentre che la seconda era una disposizione provvisoria, “aggiunta in vista delle trasgressioni, sino alla venuta della discendenza a cui era destinata la promessa” (Gal 3,19). Paolo ritorna sull’argomento in 4, 21-31, e questa volta, utilizza il nome diathēkē e menziona il Sinai. Segue un’interpretazione tipologica, identificando la promessa fatta ad Abramo con la donna libera di costui (Sara) e l’Alleanza del Sinai con la schiava (Agar). Il punto che ci interessa è l’insistenza rinnovata sull’alleanza-promessa (con Abramo), come in Gal 3, 15-18, e d’altra parte, l’evidente svalutazione della diathēkē del Sinai.[23]

             Dopo di aver analizzato altri testi paolini, Vanhoye dichiara: “Il capitolo finale del 2 libro delle Cronache descrive una situazione di rottura completa, diventata effettiva quando “la colera di YHVH contro il popolo fu tale che non vi fu più rimedio” (2 Cr 36,16ss.). Possiamo tuttavia dire che da parte di Dio la rottura non è stata mai definitiva. Al momento del fallimento completo dell’alleanza del Sinai, Dio ne annuncia la sostituzione con una «nuova alleanza» che sarà differente” (Ger 31, 31-32).[24]

  1. Conclusione

              Se termini come “revocabilità” non sono stati mai usati della Scrittura e del Magistero riguardo all’Alleanza antica (ricordando però, che questa “non revocabilità” è applicata in modo costante soprattutto all’AT nel suo insieme), sono stati tuttavia utilizzati: “annullamento” (in San Paolo), “prossimo a scomparire” e concetti simili. Riguardo al termine “sostituzione”, sebbene gli studiosi attuali e i membri della commissione redattrice mostrino tanta paura nell’impiegarlo, il cardinale Vanhoye ha intravisto la vera necessità di usarlo, considerando il panorama presentato dai testi paolini nel suo complesso.

              Il documento della commissione porta come titolo la frase di San Paolo in Rm 11,29: I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili, e l’applica senza riguardi a “l’Alleanza di o con Israele”, concetto che viene ripetuto più volte, facendo intendere, suggestivamente, che si deve capire dell’Alleanza sinaitica, e non dell’Antico Testamento in quanto Scrittura sacra, come lo fanno il CCC o il discorso di Giovanni Paolo II o perfino l’Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Inoltre non viene presentata una distinzione ben chiara fra l’alleanza o la promessa ad Abramo e quella fatta a Israele come popolo, con impegno da parte del popolo, come fa San Paolo nel contesto dello stesso capitolo 11 dei Romani, nel capitolo 8 della stessa lettera, e pure in Galati. Abbiamo visto come sia necessario chiarire questa differenza a partire dell’esposizione di A. Vanhoye.[25] Con questa terminologia il documento conclude che la non confessione di Cristo da parte degli Ebrei non li esclude della salvezza, e “questo rimane un mistero insondabile” [cfr. n. 36] allorché rimane fermo il “rifiuto di ogni missione istituzionale della Chiesa rivolta agli Ebrei” [cfr. n. 40], due affermazioni che almeno, meriterebbero delle sfumature di chiarimento e perfino essere soggette ad un’analisi particolareggiato.

            E’ lecito uguagliare “doni” e “chiamata” con Alleanza ed Alleanza sinaitica? Ovviamente ogni Alleanza di Dio è un dono. Nonostante questo, nell’alleanza sinaitica, come abbiamo visto, era richiesto l’impegno del popolo come condizione per la sua validità. D’altronde, i termini utilizzati da San Paolo in Rm 11,29 sono charìsmata (tradotto come “doni”) e klēsis per “chiamata”. Il primo è molto significativo, infatti, San Paolo ha ovviato il termine comune per significare “doni” che sarebbe doréa e ha utilizzato un altro con delle chiare risonanze a “doni gratuiti e soprannaturali di Dio” (si veda l’esposizione che lo stesso San Paolo fa dei carismi in 1Cor 12, ad esempio). Riguardo al secondo, “chiamata” segnala chiaramente chi ha l’iniziativa, che in questo caso, è Dio. Proprio nel versetto precedente (11,28) San Paolo affermava che “gli Israeliti, per quanto riguarda l’elezione (chiamata) sono amati a causa dei padri. E’ un chiaro indizio, specialmente la menzione dei “padri”, che il riferimento è fatto ai Patriarchi e non al popolo nel Sinai.

              Concludendo:

1 – Il documento (che richiama se stesso la condizione di non magisteriale) ha scelto un titolo, preso da San Paolo, che dopo pretende di utilizzare in maniera forzata per giustificare il suo sviluppo;

2 – Il termine “Alleanza non revocata” è usato in tutte le dichiarazioni ufficiali (due di esse citate nel documento) con il chiaro significato di Antico Testamento. Questo non è il significato al quale il documento si riferisce, pur restando una certa ambiguità in parecchie sentenze.

3 – L’analisi mostrata da San Paolo insegna che è necessario almeno far la distinzione tra i diversi usi di berīt o alleanza, quando si vuole toccare l’argomento dell’efficacia salvifica o della continuità delle alleanze o della possibilità che venga riprovata o meno. Da questo il documento si trova molto lontano.

4 – San Paolo manifesta una forte convinzione dell’insufficienza dell’alleanza legale del Sinai, e pure parla di abolizione di certi aspetti (Ef 2, 14-15: Lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia, la legge fatta di comandamenti in forma di precetti, per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace). San Tommaso di Aquino, al suo tempo, aveva distinto in modo ammirevole tra gli aspetti o precetti “necessari” della Legge, portati da Cristo alla perfezione (Non sono venuto per abolire, ma per portare a compimento; cfr. Mt 5,17), e quelli transitori, che si applicano senza riguardo alle frasi viste di San Paolo.[26]

            Crediamo che un documento – anche se non magisteriale, come asserito – emanato da una commissione teologica che deve svolgere un compito di discernimento e illuminazione nella Chiesa Cattolica, dovrebbe riportare tutti i chiarimenti e le distinzioni necessarie a fin di essere il più preciso possibile e di evitare malintesi, in un argomento tanto importante oggi per il dialogo con i leader religiosi ebrei. L’essere precisi permette di dialogare con chiarezza, da una posizione di chiara identità cristiana, che i nostri interlocutori vogliono pure da noi, per sapere con chi si dialoga e come farlo. Evitare l’ambiguità è un servizio che si rende alla verità, e che inoltre viene reso pure verso la Carità fraterna e l’amore dei fedeli che si devono illuminare.

 

[1] Il documento afferma – come non potrebbe essere diversamente date le caratteristiche della commissione-: «Il testo non è un documento magisteriale o un insegnamento dottrinale della Chiesa cattolica, ma una riflessione preparata dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo su questioni teologiche attuali, sviluppatesi a partire dal Concilio Vaticano Secondo. Esso vuole essere un punto di partenza per un ulteriore approfondimento teologico, teso ad arricchire e ad intensificare la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico» (www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/relations-jews-docs/rc_pc_chrstuni_doc_20151210_ebraismo-nostra-aetate_it.html) [cfr. prefazione].

[2] Nm 23,19: Dio non è un uomo, da dover mentire, né un figlio d’uomo, da doversi pentire (ecco perché tutte le affermazione della Scrittura su “pentimento di Dio” devono venire presse in senso metaforico); 2 Tm 2,13: Se siamo infedeli, egli rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso. La dottrina cristiana, d’altronde, sempre aveva affermato l’immutabilità di Dio, perfino nella sua volontà o decreti (cfr. Tommaso di Aquino, Summa Teologica, I, 19,7); bisogna chiarire, comunque, che il fatto che Dio abbia prescritto certe cose nei tempi antichi e che poi le proibì, non mostrano che “Lui ha una volontà mutevole, ma soltanto che vuole dei mutamenti”, cioè, che vuole, con volontà immutabile, che ci siano cambiamenti nella storia umana.

[3] Rm 11, 1-2: Dico dunque: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? No di certo! (…) Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha riconosciuto già da prima.

[4] Eb 9,15: Egli è il mediatore dell’alleanza nuova; 12,24: Gesù, mediatore di una alleanza nuova; 8,7: Se infatti quella antica fosse stata irreprensibile, non si sarebbe cercato il posto per una seconda.

[5] Eb 8,13: Nel parlare di un’alleanza nuova, Dio ha reso antiquata la precedente. Ora, ogni cosa che viene resa antiquata e che invecchia è vicina a scomparire; 13,20: Il grande Pastore delle pecore nel sangue dell’alleanza eterna.

[6] Ger 31, 31-32: Ecco: verranno giorni, oracolo del Signore, in cui stipulerò con la casa di Israele e con la casa di Giuda un’alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho stipulato con i loro padri nel giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese di Egitto, poiché essi violarono la mia alleanza, benché io fossi loro Signore, oracolo del Signore.

[7] Viene citato anche un documento del 1985 della stessa commissione, dove si afferma che la Chiesa e l’ebraismo non possono essere presentate come “due vie parallele di salvezza” (cfr. «Circa una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella Predicazione e nella Catechesi della Chiesa cattolica», I,7).

[8] Conc. Vat. II, Dichiarazione Nostra Aetate, n. 4: «Tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede, sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell’esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l’Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i gentili. La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso.» Notare che la dichiarazione segue la linea del “ulivo innestato”, e parte sempre dalla promessa ad Abramo, che diventa padre dei credenti. (Cfr. http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decl_19651028_nostra-aetate_it.html).

[9] L’importanza del riferimento alla dichiarazione Nostra Aetate si può capire leggendo il profilo della Commissione per i rapporti con l’ebraismo. Si dice, infatti: “deve dirigere e sviluppare le sue attività per una effettiva e giusta realizzazione delle orientazioni date dal Concilio Vaticano II, particolarmente nella 4ta sezione della dichiarazione Nostra Aetate (28/10/1965)”. (www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/relations-jews-docs/rc_pc_chrstuni_doc_19740101_commission-jews_en.html)

[10] SS.PP. G.P.II, Incontro con i rappresentanti della comunità ebraica, Magonza (17/11/80) [//w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1980/november/documents/hf_jp_ii_spe_19801117_ebrei-magonza.html]

[11] (w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html) SS. PP. Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, 247.

[12] In questo punto e nel prossimo seguiamo liberamente la presentazione fatta da A. Vanhoye, s.j. in La Nuova Alleanza nel Nuovo Testamento, dispensa a uso degli studenti PIB, Roma 21995, 5-11.

[13] Gen 15, 18-21: In quel giorno il Signore tagliò il patto con Abram in questi termini: «Alla tua razza io do questo paese, dal torrente d’Egitto fino al fiume grande, il fiume Eufrate: i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, gli Hittiti, i Perizziti, i Refaim, gli Amorrei, i Cananei, i Gergesei e i Gebusei».

[14] «Fines, figlio di Eleazaro, figlio del sacerdote Aronne, ha fatto ritirare la mia ira dai figli d’Israele, perché è stato animato della stessa mia gelosia in mezzo a loro, e non ho sterminato i figli d’Israele nella mia gelosia. Perciò di’: “Ecco, io gli do la mia alleanza di pace. Per lui e il suo seme dopo di lui sarà un’alleanza di sacerdozio perenne, perché ha avuto zelo per il suo Dio e ha espiato per i figli d’Israele”».

[15] Es 24,7: Prese il libro dell’alleanza e lo lesse agli orecchi del popolo e dissero: «Faremo e ascolteremo tutto quello che il Signore ha detto».

[16] Gen 31,44. Vieni, stringiamo un patto io e te; il Signore sia testimonio tra me e te.

[17] Dt 29,11: Per entrare nell’alleanza del Signore tuo Dio e nel patto che il Signore tuo Dio stringe con te oggi.

[18] Gio 24,25: Così Giosuè in quel giorno strinse un patto con il popolo e impose loro uno statuto e una regola a Sichem.

[19] Si veda il carattere di alleanza proposta da Dio in Es 19,5: E ora, se ascoltate la mia voce e osservate la mia alleanza, sarete mia proprietà fra tutti i popoli, perché mia è tutta la terra. Israele accetta liberamente con la formula che si legge in Es 19,8: Tutto il popolo, insieme, rispose dicendo: «Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo». Mosè riportò le parole del popolo al Signore (formula che si ripete in Es 24,3).

[20] Si utilizza l’espressione engys aphanismoū, di significato letterale: “prossimo a non essere manifesto”. Forse un avviso della sparizione totale dei sacrifici del Tempio, segni visibili dell’Alleanza sinaitica. Inoltre, bisognerebbe notare l’espressione usata per dire invecchiare. Sono infatti due participi verbali: palaioùmenon (“divenire antico”) e geràskon (“invecchiare in età”). Non sono semplici ripetizioni: Il primo dice rapporto ad una immediata perdita di attualità (perché è già arrivata la Nuova alleanza), il secondo al fatto, che nonostante rimanga ancora, invecchia, perde efficacia (forse che non sia più salvifica, coincidendo con quello che si afferma del Mediatore).

[21] A. Vanhoye, Salvezza universale nel Cristo e validità dell’Antica Alleanza, La Civiltà Cattolica IV (1994), 433-445; (435).

[22] Cfr. J. Svartvik, Leggere la Lettera agli Ebrei senza presupporre la teologia della sostituzione, in P.A. Cunningham – J. Sievers et al. (ed.), Gesù Cristo e il popolo ebraico. Interrogativi per la teologia di oggi, GBP, Roma 2012, 129-147 e anche G. Ghiberti, Documento della commissione biblica sul popolo ebraico e le sue sacre scritture nella bibbia cristiana, (http://www.christusrex.org/www1/ofm/sbf/dialogue/Ghiberti_NuovoDocumento.pdf ), 16.

[23] Cfr. A. Vanhoye, op.cit., 438-439.

[24] Cfr. A. Vanhoye, op.cit., 445. Il grassetto è nostro.

[25] C’è una menzione dell’alleanza fatta con Abramo al n. 33, che viene chiamata tre volte “alleanza abramitica” allo stesso numero. Questo mostra chiaramente, in quel numero, una volontà di differenziarla delle altre volte nelle quali viene nominata. Tuttavia, il seguente numero [34] utilizza il termine “antica Alleanza”, che in questo contesto risulta almeno ambiguo, giacché con questo nome la riflessione cristiana conosce l’Alleanza del Sinai e non quella di Abramo. Vanhoye afferma che “è più naturale” che si capisca in questo modo [come quella del Sinai] poiché corrisponde alla distinzione espressa dall’oracolo di Geremia che annuncia la «nuova alleanza» (cfr. A. Vanhoye, op.cit., 445).

[26] Cfr. Tommaso di Aquino, Somma Teologica, I-II, q. 99, e q. 107, a.2.

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