Riflessioni sullo studio del Greco Biblico

Riflessioni sullo studio del Greco Biblico

Introduzione

Pagina di un manoscritto della lettera di San Paolo ai Romani

         Probabilmente parlando di morfologia e sintassi, i primi pensieri che vengono alla mente di un giovane possono essere: ‘’Lo studio della scuola’’ oppure ‘’la grammatica che mai ho amato’’, ‘’lo studio che mai ho affrontato.’’ o altre cose simili…

        Tuttavia ciò a cui proverò a riferirmi qui, va al di là di questi pensieri.

        Venendo in Grecia l’anno scorso iniziai questa grande avventura che mi ha introdotto nel grande universo del Greco biblico, attonito per la meraviglia dell’occasione che mi era stata concessa ma senza individuare un motivo intrinseco che potesse muovermi, entusiasmarmi o appassionarmi a studiare la materia; senza un chiaro motivo del perché doverlo fare, oltre alla gratitudine, che di certo doveva sgorgare come risposta per una tale elezione, l’obbedienza o altri motivi meno profondi e più personali come il piacere di leggere la Bibbia nella forma più antica che ad oggi si conserva…

            Ma perché sforzarsi per sei mesi per raggiungere le basi per leggere la Sacra Scrittura nella lingua ‘’originale’’, per poi averne una comprensione principiante, incerta, sempre attaccata a dizionari, regole, eccezioni? Perché sforzarsi per memorizzare lunghe liste di verbi all’apparenza tutti uguali o tutti completamente diversi? Perché lottare ore interminabili per analizzare versetti, paragrafi o capitoli a volte senza arrivare a poter determinare un significato certo, senza una traduzione o un commento autorevole? Certamente, non è tutto così tragico. Lo studio del Nuovo Testamento è senza dubbio una delle cose per cui più vale la pena investire il proprio tempo, anche se questo portasse ad esimi frutti personali, e la gratificazione per la comprensione anche di un solo versetto del Vangelo sorpassa e ricompensa in larga misura tutta la lotta e la fatica impiegata in questo studio interminabile; tuttavia non credo che questa gioia personale possa bastare per giustificare l’inizio di un corso intensivo, tanto meno per protrarre la propria motivazione ad uno studio futuro e costante…

Ma allora perché fare uno studio intensivo di Greco biblico? Forse i superiori si sono sbagliati?

Scherzi a parte, se si vuole studiare con accuratezza e proseguire poi nello studio, sono domande a cui si deve trovare una risposta; questo è ciò che cercherò di fare nelle prossime righe. Dio tratta ad ognuno personalmente, come chiama a ciascuno per nome, ma anche in questo caso lo fa inserendo la persona in un contesto. Non mi ha chiamato essendo solo nell’universo, né essendo isolato da una storia.

Il Greco Biblico

Il Greco alessandrino che va dal I Secolo a.C. al II Secolo d.C. circa, è il greco con cui, aggiungendo alcuni ebraismi – forse possiamo dire ‘’molti’’ – ad oggi, abbiamo ricevuto il Nuovo Testamento. È una lingua ricca di sfumature anche se a quel tempo aveva perso molta della ricchezza che gli studiosi riscontrano nel greco Omerico o Classico. Tuttavia, Dio ha utilizzato questo greco e non un altro per farci arrivare e tramandare la sua Parola.

Manoscritto della Septuaginta (LXX) o Bibbia in greco

Gesù nella Scrittura

Nel mistero del Verbo incarnato credo si trovi anche questo: il Verbo si è fatto carne e umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte. Questo tutti noi lo sappiamo, Cristo si fa uomo e muore per noi. Ma una volta morto come perdura la sua presenza? Certamente nell’Eucaristia e attraverso il Vangelo. Attraverso la Sacra Scrittura riempiamo la nostra intelligenza, secondo una prassi ordinaria, con il contenuto teologico che ci mostra chi è Colui che si trova dietro il velo dell’ostia, cosa fece e cosa disse quando in tutto simile a noi tranne che per il peccato era presente in mezzo a noi, nella sua carne.

Dalla morte di Cristo, vero Dio e vero Uomo, la sua presenza si perpetua anche grazie al Vangelo scritto e tramandato. Può sicuramente apparire come una riflessione evidente agli occhi di molti, ma alle volte l’intelligenza deve rendere analitico quello che è già presente per intuizione, perché tornando ad esso più e più volte in maniera consapevole possa rendere quell’idea come un principio di movimento personale, un ‘’motore immobile’’. Se non per lo stesso motivo, almeno ricavandone lo stesso effetto, penso che i santi meditassero con tanta costanza la passione di Cristo.

Ma leggere il Nuovo Testamento dal greco è tutt’altro che semplice. Ad una lettura veloce e con una traduzione accanto (o ricordandone una a memoria), certamente può risultare semplice, ma a cosa serve studiare greco facendo così? Equivale a dire, in altre parole: l’interpretazione della traduzione fatta da ‘’Tizio’’ sembra rientrare nelle parole che vedo scritte in greco; ma a questo punto è forse preferibile leggere direttamente la traduzione, perché questo oltre ad una soddisfazione personale e a qualche altro piccolo profitto, che ne viene probabilmente in modo accidentale, non può essere una motivazione convincente per condurre uno studio così arido e pieno di variabili come lo è lo studio di una lingua antica (e morta).

I gradini dello studio

Dopo aver seguito, durante il primo anno, gli studi della morfologia, il secondo anno si passa allo studio della sintassi. Sono passi cruciali per l’assimilazione della lingua, imprescindibili. La morfologia dà allo studente le basi per riconoscere materialmente la forma delle parole, ma da sola, davanti ad un testo, rimane poco utile.

La sintassi invece dà allo studente la capacità di conoscere la relazione che le parole hanno tra di loro all’interno della frase e delle frasi tra di loro. Con la sintassi unita alla morfologia ed alla conoscenza del vocabolario si arriva ad una certa conoscenza del testo. Morfologia e sintassi contengono come le categorie che applicate alla lingua, danno ordine e chiarezza a ciò che si ha davanti.

Di certo è uno studio che richiede molta pazienza ed esercizio ma è la sola strada per entrare, in punta di piedi, nel campo della semantica, dell’interpretazione del testo, e quindi è il primo inevitabile passo per l’esegesi biblica e la conoscenza approfondita del Nuovo Testamento.

Implicazioni

Questo implica varie cose. Se è vero tutto questo e se a questo si aggiunge che il testo greco che oggi ci è pervenuto – ragionando con un po’ d’approssimazione senza considerare la critica testuale – è il testo che riconosciamo come Parola Rivelata, si conclude che la conoscenza di Cristo è tramandata e custodita anche grazie alla tradizione e alla custodia di quelle parole; e che una teologia autentica e solidamente fondata non può che partire dall’analisi del testo greco, e da questo aprirsi alla teologia ed alla esegesi, sempre in comunione con Tradizione e Magistero.

L’evangelizzazione della cultura e il rapporto personale con Cristo

Guardare a questa conclusione sotto un certo punto di vista credo faccia arrivare ad un buon motivo (comprensione, insegnamento e ampliamento del dato rivelato) per studiare questa materia. Non voglio dire che tutti quelli che si avvicinano allo studio di questa materia debbano arrivare all’apice e diventare esegeti – cosa che ritengo ardua e riservata a pochi – ma che per quanto riguarda le persone che sono chiamate ad avere un contatto più diretto e decisivo con le Scritture e quindi con Cristo, conoscere il greco sia cruciale.

Conoscerlo, significa partecipare alla evangelizzazione della cultura, insegnarlo, significa partecipare alla evangelizzazione della cultura, approfondirlo, significa partecipare alla evangelizzazione della cultura. Se vogliamo, anche se il discorso non fosse valido oggi per quanti vivono nel mondo, o per alcuni che hanno abbandonato implicita o esplicitamente la tradizione della Chiesa e la sana dottrina, per noi, membri dell’Istituto del Verbo Incarnato, sembra non essere una questione di poca rilevanza.

Lo smarrimento dell’uomo moderno

Citando in gran parte un discorso del Papa Benedetto XVI; l’occidente, da molto tempo, è minacciato da un’avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e continuando così la verità ne potrebbe subire solo un grave danno.

Se negli ultimi secoli anche le discipline che riguardano le cose umane hanno cercato di avvicinarsi ad un certo canone di scientificità, non è da dimenticare che con questo si sono anche allontanate da Dio, escludendolo, fin dall’impostazione del proprio metodo, inquadrando la questione come cosa ascientifica; lasciando così gli interrogativi propriamente umani, quelli del ‘’da dove’’ e del ‘’verso dove’’, gli interrogativi della religione, senza un posto nello spazio della ‘’scienza’’ e riponendoli nell’ambito del soggettivo. La religione così intesa però perde la sua forza di creare una comunità e scade nell’ambito della discrezionalità personale.

Nessuno rifiuta i progressi fatti dall’utilizzo della ragione ma solo quando ragione e fede si ritrovano unite, superando la limitazione auto decretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, la ragione potrà dischiudersi in tutta la sua ampiezza.

La moderna ragione propria delle scienze naturali insieme con le sue possibilità metodiche porta in sé un interrogativo che la trascende. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata, dalle scienze naturali, ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia.

La vera ragione dunque, non può restare sorda di fronte al divino ne può respingere la religione nell’ambito della sottocultura. Certo, sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell’irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull’essere e lo denigrasse, tuttavia non sarebbe la scelta giusta chiudersi per la ferita ricevuta, poiché è solo aprendosi alla vastità della ragione nella sua interezza che l’uomo coscientemente trova se stesso e si realizza come persona. Non agire in questo modo non fa altro che allontanarci dalla verità dell’essere fino a farcela perdere con gravi conseguenze.

Considerando il momento storico attuale, credo sia importante non retrocedere, nonostante la distanza del mondo dalla religione, proseguendo il nostro studio di essa. Credo sia necessario anche per i fedeli arricchirsi alla fonte della propria vita, conoscendola e approfondendola, per più amarla ed essere pronti a rispondere alle grandi domande del mondo contemporaneo, per una evangelizzazione autentica, che sgorghi dalla consapevolezza di quanto sia oggettivo il proprio oggetto e quanto, realmente, da esso dipenda tutto il resto.

Dio però non è intrappolabile nella limitatezza di una mente umana, ma ha voluto rivelarsi a noi; ed anche se vi sono ancora molte altre cose che potrebbe rivelarci, queste se fossero scritte, il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere; tuttavia, nella sua sapienza, ciò che serviva per la nostra salvezza c’è lo ha rivelato, attraverso la lingua Greca.

Un tempo chi si avvicinava allo studio della lingua lo faceva principalmente per approfondire la Parola di Dio; erano pochi e privilegiati forse? Anche se lo fosse stato, oggi non è così. L’istruzione è di dominio pubblico e ogni persona ha diritto ad una scuola, cosa manca? Abbiamo perso la cosa più importante. Il Centro, la Roccia su cui poggiare la nostra civiltà. Ci siamo persi dietro l’apparenza e tutto quello che abbiamo ‘’conquistato’’ lo stiamo perdendo clamorosamente con conseguenze peggiori di quelle che avremmo sperimentato se mai avessimo fatto tali conquiste. Di certo è un tema molto più complesso e articolato che non credo sia il caso trattare qui e del quale probabilmente non sarei in grado di parlare in modo adeguato; tuttavia la dirotta dell’uomo è evidente e non è possibile sanarla senza Cristo. Se si fanno grandi passi in nome del progresso, della scienza, del benessere, se molti oggi sono disposti a fare sacrifici per questi ideali umani, tanto più, se non vogliamo perdere il cammino, dobbiamo imparare a farli anche verso Dio, per più conoscerlo e più amarlo così come a noi si è voluto rivelare; allo stesso modo che per sanare la fame nel mondo non è possibile continuare a sfamare intere popolazioni senza dargli gli strumenti per camminare da sole e senza che esse si sforzino per rendersi autonome e allo stesso modo che un padre non desidera per il proprio figlio provvedere a lui anche quando sarà grande ma spera che sia capace di sviluppare la propria personalità e imparare a procurarsi autonomamente ciò di cui ha bisogno, così Dio merita di essere conosciuto cosi come si è Rivelato e noi non dovremmo considerare accessorio o superfluo approfondire la Sua Parola.

Lui che è l’aspirazione più grande di ogni cuore, è anche il più dimenticato.

Conclusione

Approfondire la parola di Dio non sarà mai abbastanza; richiederà tempo, sforzo e molta umiltà forse, ma sembra un passo inevitabile per evangelizzare lo smarrimento dell’uomo moderno e del mondo contemporaneo. Non tutti conosceranno il greco allo stesso modo, né lo approfondiranno allo stesso modo, tantomeno lo useranno allo stesso modo; ne questo mezzo è l’unico per arrivare a Dio, ma certamente ne suppone molti altri; tuttavia la conoscenza delle Sacre Scritture è conoscenza di Cristo e custodire, tramandare, promuovere lo strumento per averne accesso diretto è un punto importante nell’evangelizzazione.

Insegnanti, traduttori, commentatori, specialisti, interpreti, esegeti, incaricati di ecumenismo, un fedele devoto, tutti, anche se in modi differenti dovrebbero possedere la conoscenza di questo strumento per approfondire il loro rapporto con Gesù Cristo e da questo approfondimento, per chi ha la fede, sono innumerevoli le strade che si aprono all’uomo contemporaneo; il fatto che oggi la nostra cultura non lasci spazio ad una tale proposta educativa è solo un ulteriore segno di come la modernità sia sempre più lontana dalla religione.

Personalmente ringrazio per questa grande opportunità, ringrazio in particolare l’Istituto per l’esempio che dà nello scegliere e seguire, a costo di tutti i sacrifici che questo comporta, la strada stretta che porta al vivere il carisma, ringrazio al nostro fondatore, padre Buela, per la sua inerme tenacia nel vivere e incentivare a vivere il carisma che ha ricevuto e spero con l’aiuto di Dio di portare avanti ciò che mi è stato consegnato perché da queste fondamenta possano germogliare quei frutti d’evangelizzazione che Lui vorrà, a Lui graditi, a lode della sua gloria.

Sem. Davide De Luca

Tinos 2022 – 2023

 

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