IL CAPITOLO 6 DEL VANGELO DI GIOVANNI e il DISCORSO DEL PANE di VITA
[esposizione nella Giornata biblica del seminario San Vitaliano Papa, a Montefiascone (VT), il 25/4/2024] sem. Mottieus Krutulis, IVE.
Secondo Rinaldo Fabris: “il capitolo sesto potrebbe essere chiamato il «capitolo delle contestazioni». Nessuna pagina del QV ha suscitato tante discussioni, ipotesi e interpretazioni come questa, dove viene riportato il racconto della donazione dei pani e il conseguente dibattito tra Gesù e i Giudei sul pane della vita.” Capitolo di contestazioni sia fra coloro che durante 20 secoli cercheranno di penetrare il senso profondo del discorso, ma anche fra coloro che lo ascoltarono come testimoni oculari. “Perfino il gruppo dei «dodici» è chiamato a rinnovare la propria adesione di fede mentre si profila all’orizzonte il tradimento di Giuda.”[1]
Il capitolo include:
- una sezione narrativa, che comprende il racconto del miracolo dei pani e quello della traversata del lago da parte dei discepoli e quindi il miracolo di Gesù che cammina sulle acque, eppure la traversata del lago della folla (Gv 6, 1 -24/25);
- una sezione di «discorso-dibattito», a cui fa seguito la duplice reazione dei discepoli e dei «dodici» (Gv 6, 26-7, 1).
“La contraddizione compare fin dall’inizio quando la folla, che ha visto il segno del pane, acclama Gesù come il «profeta che deve venire nel mondo», mentre egli si sottrae al tentativo di investitura regale ritirandosi nella solitudine sulle colline attorno al lago di Galilea. Le tensioni continuano nella notte. Gesù si fa incontro ai discepoli camminando sull’acqua. Questi sono presi dalla paura, ma egli li tranquillizza con le parole: «Sono io». I discepoli vorrebbero prenderlo sulla barca, ma sono già arrivati a riva. Anche quelli che hanno mangiato i pani fatti distribuire da Gesù sulla riva del lago vanno alla sua ricerca. Ma quando lo trovano a Cafarnao egli li interpella con una parola che li mette in crisi. Da qui prende avvio quello che viene chiamato il “discorso del pane”. In realtà si tratta di un dialogo o dibattito tra Gesù e gli interlocutori «Giudei», che fa leva sui fraintendimenti, le discussioni e gli interrogativi.”[2]
Senza dubbio noi ci centreremo sul discorso stesso, però ci sembra conveniente fare qualche commento sui due miracoli che lo procedano. Sia per alcune loro particolarità, sia, come è comune nel Vangelo di san Giovanni, per il loro carattere introduttivo alla tematica dell’insegnamento che li segue.
Una delle riprese tematiche più evidenti senza dubbio è quella del pane “anche se nel racconto del miracolo ricorre il plurale artoi, «pani» e nel discorso lo stesso vocabolo con l’articolo ho artos, «il pane», al singolare (cf. Gv 6, 23). I pezzi dei pani avanzati devono essere raccolti dai discepoli «perché nulla vada perduto» (Gv 6, 12). Gesù nella sinagoga di Cafarnao dice alla folla che la volontà di colui che lo ha mandato è che «nulla vada perduto» di ciò che gli ha dato (Gv 6, 39). Una chiara anticipazione del discorso sul pane della vita, scandito dalla ripetizione dell’«Io sono», si ha nella presentazione notturna di Gesù ai discepoli sul lago con la formula di rivelazione: «Io sono» (Gv 6, 20)”.[3]
“I tre gesti di Gesù[4] corrispondono a quelli che precedono normalmente il pasto ebraico: prendere i pani, dire la benedizione, distribuirli ai commensali. Manca un esplicito riferimento allo spezzare il pane che, nella tradizione cristiana, viene assunto per designare il pasto fraterno ed eucaristico (At 2, 42.46; 20, 7.11; cf. Lc 24, 35). Tale omissione è compensata dalla duplice menzione dei «pezzi» (avanzati) – klasmata[5] – che devono essere raccolti dai discepoli”.[6] La scelta del verbo εὐχαριστεῖν, “ringraziare”, al posto del più comune εὐλογείν, “benedire”, e l’insistenza sulla «raccolta» dei pezzi avanzati, «perché nulla vada perduta», fanno intuire che il gesto di Gesù rimanda oltre il consumo del pane a sazietà”.[7]
Un altro collegamento tematico interessante che osserva Rinaldo Fabris è che nell’episodio dell’attraversata del mare “l’intera vicenda si svolge attorno a due aspetti della relazione dei discepoli con Gesù: assenza e presenza”.[8] Temi così tanto importanti per capire il dono Eucaristico che Gesù prometterà.[9] Secondo san Tommaso in questo secondo episodio, Gesù compì insieme tre miracoli: “camminò sulle acque del mare, fece cessare all’istante la tempesta, fece raggiungere subito il porto a una barca che ne era distante.”[10]
Arriviamo così al terzo momento narrativo nel quale il giorno dopo la gente trova Gesù nell’altro luogo sulla sponda del lago, cioè nel Cafarnao. San Tommaso fa una osservazione interessante: “Si noti però che mentre sopra, dopo quel pasto prodigioso, volevano farlo re, adesso che l’hanno presente desistono dal farlo. Il motivo sta nel fatto che essi volevano allora farlo re, eccitati dalla gioia passionale causata dal pasto. Ma tali passioni svaniscono presto, cosicché le cose deliberate secondo tali passioni sono transitorie”[11].
Allora entriamo propriamente nel discorso del Pane della vita. La maggioranza degli autori che si ispirano al criterio tematico teologico propongono una divisione del discorso in due unità: la prima di carattere cristologico-sapienziale (Gv 6, 26-50); la seconda eucaristico-sacramentale (6, 51-58). Essendo questo il “capitolo delle contradizioni” non ci sorprenderà che anche riguardo alla struttura del discorso, ci sono state proposte molto diverse. Una parte degli esegeti sostiene che la seconda parte (eucaristico-sacramentale) fosse stata inserita posteriormente ecc. Non intendiamo di entrare in questa discussione, ma ci limitiamo a proporre alcune osservazioni interessanti sulla struttura del discorso di Gesù così come si trova nel testo canonico.
Nel discorso del pane come in analoghe composizioni del QV ci sono alcune particolarità stilistiche e procedimenti letterari che possono servire come indicatori della sua struttura. Tra questi in primo luogo va segnalata la ricorrenza per quattro volte della formula di autopresentazione o identificazione di Gesù in rapporto al pane di vita: ego eimi, «io sono» (Gv 6, 35.41.48.51). Parimenti per quattro volte le sue parole sono introdotte dalla formula: «in verità, in verità vi dico …» (Gv 6, 26.32.47.53.). Va rilevato anche l’intervento degli interlocutori che per quattro volte si rivolgono a Gesù (Gv 8, 25.28.30.34)[12]. Infine saltano agli occhi alcune riprese tematiche in forma circolare o a inclusione. Caratteristica è la corrispondenza in alcuni versetti della sezione centrale (Gv 6, 35. 41-48): [13]
“Queste corrispondenze sono rese possibili dalla ricorrenza di alcune formule fisse e dalla concentrazione lessicale attorno ad alcune aree semantiche. La più evidente è quella indicata dal termine artos, «pane» con ventun ricorrenze sulle venticinque dell’intero QV. Esso è associato ad alcune espressioni tipiche: “pane dal cielo”, sette volte; «pane che discende o disceso (dal cielo)», pure sette volte; «pane di vita» (Gv 6, 35.45.51). il termine zoe, «vita», compare undici volte, di cui cinque con la qualifica ai6nios, «eterna», e sei volte ricorre il verbo zen, «vivere». Per undici volte si parla di «mangiare» il pane o la manna, con i verbi esthiein o phagein; quattro volte si utilizza il verbo più raro trògein (Gv 6, 48.54.56.57). La riposta all’azione di Dio che dona il pane è formulata sei volte con il verbo pisteuein, «Credere», e tre volte con érchesthai, «venire». L’iniziativa di Dio, il Padre – menzionato con questo appellativo undici volte – o di Gesù, il Figlio (dell’uomo) che dà il pane, è indicata nove volte mediante il verbo didonai, “dare”. In questo sistema semantico abbastanza coerente risalta la dissonanza lessicale della sezione di Gv 6, 51-56(63), dove ricorre sette (otto) volte il termine sarx, «carne» e quattro volte haima, “sangue”. Qui per quattro volte si trova il verbo raro trogein, «masticare» e tre volte pinein, “bere”. Invece in questa sezione è del tutto assente il termine “Credere”. Però vi ricorre per la quarta volta la formula caratteristica del discorso, con la quale si esplicita la speranza escatologica della pienezza di vita: «e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 39.40. 54). Nell’ultimo testo chi promette la risurrezione escatologica è il Figlio dell’uomo, mentre negli altri è il Figlio”[14].
“La composizione del testo ruota attorno al motivo unificante definito dal termine artos, “pane”. Nella prima parte della sentenza il pane è identificato con Gesù: «io sono». Nella seconda il pane è la sua “Carne”. Alla determinazione del pane come «disceso da cielo», corrisponde nella seconda parte la frase che precisa il vocabolo “pane”: «quello che io darò» (Gv 6, 51c)”[15].
Ci possiamo allora soffermarci un attimo che significa il pane della vita con il quale si identifica il Nostro Signore. Commenta san Tommaso il versetto 35 nel quale per la prima volta si presenta come “pane della vita”: Infatti, il Verbo, o parola di sapienza, è il cibo specifico dell’anima, poiché da esso l’anima viene sostentata, come troviamo nell’Ecclesiastico (15, 3): «Lo nutrirà col pane della vita e dell’intelletto». Ora, si dice che il pane della sapienza è il pane della vita, per distinguerlo dal pane corporale che è pane di morte, essendo fatto per ristorare o riparare le deficienze della mortalità, cosicché è necessario solo in questa vita mortale. Invece il pane della sapienza è per se stesso vivificante, e non gli si contrappone la morte. Inoltre il pane materiale non dà la vita, ma solo sostenta per un certo tempo una vita preesistente; invece il pane spirituale è cosi vivificante da dare la vita. Infatti l’anima comincia a vivere per il fatto che aderisce al Verbo di Dio, cosicché il Salmista (35, 10) può dire: «Presso di te è la sorgente della vita». E poiché ogni parola di sapienza deriva dal Verbo unigenito di Dio (vedi Eccli 1, 5: «Fonte della sapienza è la Parola di Dio che risiede nell’alto»), il Verbo stesso di Dio è per eccellenza il pane di vita. Di qui le parole di Cristo: «lo sono il pane della vita». E, poiché la carne di Cristo è unita al Verbo di Dio, è divenuta anch’ essa vivificante, cosicché il suo corpo ricevuto sacramentalmente dà la vita. Infatti con i misteri che Cristo ha compiuto nella sua carne dà la vita al mondo. E cosi la carne di Cristo, per la presenza del Verbo, è pane non della vita consueta, ma di quella vita che non è troncata dalla morte. Ecco perché la carne di Cristo viene denominata pane. Quel pane che nella Genesi (49, 20) è il vanto della tribù di Aser: «Aser, eccellente è il suo pane»”[16].
Riprendiamo ciò che abbiamo detto all’inizio: “il capitolo sesto potrebbe essere chiamato il «capitolo delle contestazioni». Nessuna pagina del QV ha suscitato tante discussioni, ipotesi e interpretazioni come questa”. E ciò non sorprende se guardiamo i temi che vengono toccati da Gesù in questo discorso: cominciando evidentemente con la promessa Eucaristica che era sempre vista in questo capitolo dall’esegesi tradizionali, però se guardiamo attentamente qui si parla pure della giustificazione, anzi, della giustificazione per la fede (“In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna”[17]), viene sviluppato pure il tema della predestinazione (“Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”[18]). Sono temi di grandi scontri teologici suscitati da Lutero contro la Chiesa. Però è il “capitolo delle contestazioni” non a causa di solo Lutero. Infatti, possiamo vedere pure altri temi particolari come p. e. la volontà umana di Cristo che si conforma, però non si identica con la volontà del Padre (“Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato”[19]), altri hanno trovato in questo capitolo perfino un’occasione di contestare la Chiesa insistendo sulla necessità della comunione sotto le due specie per la salvezza bassandosi sulle parole: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 6, 56).
Le tendenze dell’interpretazioni di sesto capitolo Fabris riassume così: “In linea generale si può dire che si passa da una lettura in chiave prevalentemente cristologica -all’epoca dei padri- a una interpretazione determinata da polemiche o questioni sacramentali eucaristiche nei tempi moderni. Invece nella fase più recente i commentari e gli studi si concentrano sulle questioni di critica letteraria, alla quale si fa ricorso per risolvere i problemi un tempo affidati al dibattito e alle argomentazioni di carattere teologico.”[20] Degno di menzione sant’Agostino chi viene ripreso molto dai Riformatori. Commentando il versetto 50 sant’Agostino dice così: “La promessa va intesa per ciò che si riferisce alla virtù spirituale del sacramento, non alla sua forma esteriore e visibile: chi mangia nell’intimo, non nell’apparenza esterna, chi mangia il pane con il cuore, non si limita a romperlo con i denti”[21]. Durante la Riforma Lutero “polemizza contro l’interpretazione eucaristica della formula giovannea «pane di vita»: «Esso – dice Lutero – è un pane vivente che attraverso la parola viene distribuito come cibo e questo avviene per mezzo della voce del predicatore» (Lutero, Das Evangelium n. Johannes, 23, 1)”[22]. Lo stesso Fabris distingue fra i cattolici che rispondevano a Lutero Giovanni Maldonado. “Egli si premura di precisare, sulla linea di Agostino, che l’«attirare» di Dio, di cui parla il vangelo di Giovanni, non comporta violenza. Si sottolinea invece l’efficacia dell’azione di Dio a favore dell’uomo che non è morto, né è del tutto sano, ma solo ammalato (Maldonado, Comm. in Ev. 6 1 6). Riguardo poi alla predestinazione – perché Dio non attira tutti? – Maldonado dice: «Dio non attira colui che non vuole seguirlo, attira chi lo vuole seguire» (Ibid. 6 1 9)”[23]. “Il Maldonado riporta i testi dei padri a favore dell’interpretazione eucaristica e discute quei pochi documenti contrari allegati dai negatori del senso eucaristico (Clemente di Alessandria, Origene e alcuni testi di Agostino). E conclude che è temerario negare il riferimento sacramentale del testo evangelico alla luce della istituzione eucaristica, dove si mangia il corpo e si beve il sangue in rapporto con il pane e il vino (Maldonado, Comm. in Ev. 630)”[24].
Comunque, anche se non sorprende, perché già sappiamo bene che ciò è proprio di san Tommaso, però sì, che meraviglia come lui era capace anticipare i futuri errori. Troviamo infatti nel commento di san Tommaso le risposte praticamente a tutte le problematiche teologiche sopra accennate. Vediamo brevemente alcune di queste soluzioni.
La comunione sotto le due specie: “questo non contraddice la sentenza del Signore, perché chi si comunica con il corpo lo fa anche con il sangue, poiché Cristo è contenuto interamente in entrambe le specie: sia nel corpo, sia nel sangue. In forza però della consacrazione stessa il corpo di Cristo è contenuto sotto le specie del pane; il sangue invece vi si trova per naturale concomitanza. Al contrario, sotto le specie del vino il sangue di Cristo è contenuto in forza della consacrazione, il corpo invece vi si trova per naturale concomitanza”[25].
La predestinazione: “Rimane però un problema: se è vero che vanno a Cristo tutti quelli che il Padre gli dà, come lui dice, si volgono a Dio quelli soltanto che il Padre gli dà; quindi a tutti coloro che non si volgono a Dio, non essendo stati dati a lui, ciò non dovrebbe essere imputata la colpa”. E risponde: “A ciò si risponde, che non viene loro imputato il fatto di non poter giungere alla fede senza l’aiuto di Dio; ma viene imputato di non venire alla fede a chi mette impedimento a quella venuta, allontanandosi dalla salvezza, la cui via è aperta a tutti”[26]. E sviluppa l’argomento più avanti: “Infatti nella natura integra non c’era nessun impedimento che si opponesse a tale attrazione; cosicché allora tutti gli uomini erano in grado di assecondare tale attrattiva. Ma nello stato di natura corrotta tutti vengono ugualmente ostacolati in questa attrazione dall’impedimento del peccato: e quindi tutti hanno bisogno di essere come trascinati. Dio però, per quanto sta in lui, porge la mano a tutti per attirarli; anzi, e questo è ancora più mirabile, non solo prende la mano di chi accoglie l’invito, ma converte a sé anche quelli che gli hanno voltato le spalle, come accenna quel passo delle Lamentazioni (5, 21): «Convertici a te, Signore, e ritorneremo»; nonché la frase del Salmista (84, 7): «Tu nel convertirci tornerai a darci vita». Per il fatto, dunque, che Dio è pronto a dare a tutti la sua grazia e ad attirarci a sé, non deve essere imputato a lui, se uno non la riceve, bensì a colui che la rifiuta”.
La presenza reale nell’Eucaristia: Commentando il versetto 51: “E il pane che io darò è la mia carne…”, san Tommaso osserva: “Aveva detto infatti di essere il pane vivo; ma affinché non si pensasse che lo era in quanto Verbo, oppure per la sola anima, spiega che anche la sua carne è vivificante. Essa infatti è strumento della divinità: e poiché lo strumento agisce per la virtù dell’agente, come è vivificante la divinità di Cristo, così (a detta del Damasceno[27]) anche la carne vivifica per la virtù del Verbo unito con essa. Ecco perché Cristo col toccarli sanava gli infermi. Perciò la frase riportata sopra, «lo sono il pane della vita», si riferisce alla virtù del Verbo; invece le frasi che seguono si riferiscono alla comunione del suo corpo, ossia al sacramento dell’Eucarestia”[28]. E dopo aver precisato quali sono le specie dell’Eucarestia e chi è l’artefice di questo sacramento, commenta riguardo la verità della presenza di Cristo in esso. “Viene poi affermata la verità di questo sacramento con quelle parole: «… è la mia carne». Non dice già: «significa la mia carne», ma «è la mia carne»; poiché quanto qui si summe è in realtà il vero corpo di Cristo.” In questo sacramento c’è tutto Cristo – il suo corpo e sangue, anima e divinità. “Ha preferito però parlare della carne – segue san Tommaso –, perché questo sacramento è commemorativo della passione del Signore, come insegna l’Apostolo (1 Cor 11, 26): «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore»”[29]. E ancora più avanti afferma: “questo cibo non si trasforma affatto in colui che lo summe, ma trasforma in sé chi lo mangia, secondo la frase che gli attribuisce sant’ Agostino: «lo sono il cibo dei grandi: cresci e mangerai di me; però non sarai tu a trasformarmi in te, ma sarò io a trasformarti in me»[30]. Perciò è un cibo il quale è in grado di rendere l’uomo divino, e di inebriarlo con la sua divinità.”[31]
Giustificazione per la sola fede: finalmente, e degno di nota il commento al versetto che apparentemente si presta alla interpretazione protestante della giustificazione per la sola fede. Il versetto 47, viene commentato dal santo così: “Il suo proposito è di mostrare che egli è il pane della vita. Ora, il pane vivifica in quanto viene mangiato. D’altra parte è evidente che chi crede in Cristo lo assimila e lo introduce in sé, secondo la frase paolina (Ef 3, 17): «Che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori…». Perciò se chi crede in Cristo ha la vita, è evidente che viene vivificato mangiando di questo pane; dunque detto pane è il pane della vita. Ed è quanto qui viene affermato: «In verità, in verità vi dico: chi crede in me (evidentemente con una fede formata, la quale non arricchisce solo l’intelletto, ma anche la volontà; poiché non si cerca una cosa con fede senza amarla) ha la vita eterna». Ora, Cristo è in noi in due maniere: è nell’intelletto mediante la fede; ed è nella volontà mediante la carità, la quale «informa» la fede, secondo le parole di Giovanni (1 Gv 4, 16): «Chi sta nella carità dimora in Dio, e Dio dimora in lui». Perciò chi crede in Cristo così da tendere in lui, lo possiede nella volontà e nell’intelligenza. E se aggiungiamo che Cristo è la vita eterna – come insegna ancora l’apostolo citato (1 Cv 5, 20): «… affinché siamo nel vero suo Figlio, Gesù Cristo, che è il vero Dio e la vita eterna»; come pure sopra (1, 4): «In lui era la vita» -, ne possiamo dedurre che chiunque crede in Cristo ha la vita eterna. Per ora ce l’ha in causa, possiamo dire, e nella speranza; ma per averla a suo tempo nella realtà”[32].
Sem. Mottieus Krutulis, IVE
[1] Rinaldi Fabris, Giovanni, Borla 2003. p. 296
[2] Ibid.
[3] Ibid. p. 297
[4] Gv 6, 11: ἔλαβεν οὖν τους ἄρτους ὁ Ἰησοῦς καὶ εὐχαριστήσας διέδωκεν τοῖς ἀνακειμένοις, ὁμοίως καὶ ἐκ τῶν ὀψαρίων ὅσον ἤθελον
[5] Il vocabolo klasma nella preghiera eucaristica della Didaché indica il pane spezzato simbolo della chiesa dispersa che deve essere radunata, synagein, in unità (Didaché IX, 4).
[6] Rinaldi Fabris, Giovanni, Borla 2003. pag. 311
[7] Ibid. pag. 312
[8] Ibid. pag. 298
[9] Lo stesso indica pure san Tommaso: Ebbene, Cristo volle sottrarsi momentaneamente ai discepoli, prima di tutto perché sperimentassero che cos’è la sua assenza. E lo sperimentarono nella tempesta del mare. Geremia (2, 19) aveva scritto: «Ti accorgerai e proverai quanto trista e amara cosa è stare lontano dal Signore». In secondo luogo lo fece perché lo cercassero con più diligenza, com’è scritto nel Cantico dei Cantici (5, 17): «Dov’è andato il tuo diletto, o bellissima tra le donne? … e lo cercheremo con te?». (Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di san Giovanni/1 (I-VI), Città Nuova 1990. p. 474).
[10] Ibid. p. 477.
[11] Ibid., n. 891, p. 481.
[12] Rinaldi Fabris, Giovanni, Borla 2003. p. 300.
[13] Fabris riporta questi schemi attribuendoli a R. Schnackenburg e J. Becker.
[14] Ibid. pag. 301
[15] Ibid. pag. 325
[16] Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di san Giovanni/1 (I-VI), p. 492
[17] Conferenza Episcopale Italiana and Unione Editori e Librai Cattolici Italiani, La Sacra Bibbia I° coedizione. (Italia: Unione Editori e Librai Cattolici Italiani, 2008), Jn 6, 47.
[18] Gv 6, 44.
[19] Gv 6, 37–38.
[20] Rinaldi Fabris, Giovanni, Borla 2003 p. 331.
[21] Agostino, In Ioh. 26, 12. Citato da Fabris nella pag. 333.
[22] Rinaldi Fabris, Giovanni, Borla 2003. p. 334.
[23] Ibid. pag. 334
[24] Ibid. pag. 335
[25] Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di san Giovanni/1 (I-VI), pag. 521.
[26] Ibid. pag. 494-495
[27] Cfr. «De Fide orthodoxa», 1. 3, cc. 15-17 (PG 94, 1047-1072).
[28] Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di san Giovanni/1 (I-VI), pag. 515.
[29] Ibid. Pag. 516.
[30] Confessioni, l. 7, c. lO, 16; NBA 1, 200.
[31] Tommaso d’Aquino, Commento al Vangelo di san Giovanni/1 (I-VI), pag. 522.
[32] Ibid. pag. 511-512