IL MATRIMONIO CRISTIANO – Catechesi di San Giovanni Paolo II

San Giovanni Paolo II celebrando il sacramento del matrimonio

San Giovanni Paolo II celebrando il sacramento del matrimonio

IL MATRIMONIO CRISTIANO – Commento a tre Catechesi di San Giovanni Paolo II

  1. Il matrimonio come sacramento (San Paolo)  

 A) Testo (Ef 5, 22-33):

            “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.

            E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito”.

B) Commento:[1]

            Abbiamo per primo esaminato le parole di Cristo – rapportati nel Vangelo – sul matrimonio e sul rapporto uomo-donna. Si trattava delle parole, in cui Cristo si richiama al “principio” (Mt 19,4; Mc 10,6), al “cuore” umano, nel Discorso della Montagna (Mt 5,28) e alla futura risurrezione (cfr. Mt 22,30; Mc 12,25; Lc 20,35). Cerchiamo allora di interpretare il menzionato passo della lettera agli Efesini e bisogna farlo alla luce di ciò che Cristo ci disse sul corpo umano. Ricordiamo che Cristo aveva parlato non soltanto richiamandosi all’uomo “storico” nel suo profondo (il “cuore”) ma anche rivelando le prospettive del “principio” (innocenza originaria) e anche la prospettiva escatologica della risurrezione dei corpi.

Le parole della lettera agli Efesini hanno anche significato sul matrimonio uomo-donna e sul corpo, e ciò sia nel suo significato metaforico, cioè sul corpo di Cristo che è la Chiesa, sia nel suo significato concreto, cioè sul corpo umano nella sua perenne mascolinità e femminilità, nel suo perenne destino all’unione nel matrimonio, come dice il libro della Genesi: “L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gen 2, 24).

Il testo di Efesini è ben noto alla liturgia, in cui compare sempre in rapporto con il sacramento del Matrimonio. La ‘lex orandi’ della Chiesa vede in esso un esplicito riferimento a questo sacramento: e la ‘lex orandi’ permette e nello stesso tempo esprime sempre la ‘lex credendi’. Ammettendo tale premessa, dobbiamo subito chiederci: in questo “classico” testo della lettera agli Efesini, come emerge la verità sulla sacramentalità del matrimonio?

Il sacramento, infatti, secondo il significato generalmente conosciuto, è un “segno visibile”. Il “corpo” significa pure ciò che è visibile. Dunque, in qualche modo – anche se il più generale – il corpo entra nella definizione del sacramento, essendo esso “segno visibile di una realtà invisibile”, cioè della realtà spirituale, trascendente, divina. In questo segno – e mediante questo segno – Dio si dona all’uomo nella sua trascendente verità e nel suo amore. Il sacramento è segno della grazia ed è un segno efficace. Non solo la indica ed esprime in modo visibile, a modo di segno, ma la produce, e contribuisce efficacemente a far sì che la grazia diventi parte dell’uomo, e che in lui si realizzi e si compia l’opera della salvezza, l’opera prestabilita da Dio fin dall’eternità e pienamente rivelata in Gesù Cristo.

L’Autore, rivolgendosi ai coniugi, raccomanda loro di esser “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef 5, 21).

Si tratta qui di un rapporto dalla doppia dimensione o di duplice grado: reciproco e comunitario. Uno precisa e caratterizza l’altro. Le relazioni reciproche del marito e della moglie debbono scaturire dalla loro comune relazione con Cristo. Paolo parla del “timore di Cristo” in un senso analogo a quando parla del “timore di Dio”. In questo caso, non si tratta di timore o paura, che è un atteggiamento difensivo davanti alla minaccia di un male, ma si tratta soprattutto di rispetto per la santità, per il ‘sacrum’; si tratta della ‘pietas’, che nel linguaggio dell’Antico Testamento fu espressa anche col termine “timore di Dio” (cfr. Sal 102 [103],11; Pr 1,7; Pr 23,17; Sir 1,11-16). In effetti, una tale “pietas”, sorta dalla profonda coscienza del mistero di Cristo, deve costituire la base delle reciproche relazioni tra i coniugi.

Il testo ha un carattere “parenetico”, cioè di istruzione morale. L’Autore della lettera desidera indicare ai coniugi come si devono stabilire le loro relazioni reciproche e tutto il loro comportamento. Egli deduce le proprie indicazioni e direttive dal mistero di Cristo presentato all’inizio della lettera. Questo mistero deve essere spiritualmente presente nel reciproco rapporto dei coniugi. Penetrando i loro cuori, generando in essi quel santo “timore di Cristo” (cioè appunto la ‘pietas’), il mistero di Cristo deve condurli ad esser “sottomessi gli uni agli altri”: il mistero di Cristo, cioè il mistero della scelta, fin dall’eternità, di ciascuno di loro in Cristo “ad essere figli adottivi” di Dio.

L’Autore parla della mutua sottomissione dei coniugi, marito e moglie, e in tal modo fa anche capire come bisogna intendere le parole che scriverà in seguito sulla sottomissione della moglie al marito. Infatti leggiamo: “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore” (Ef 5,22). Esprimendosi così, l’Autore non intende dire che il marito è “padrone” della moglie e che il patto inter-personale proprio del matrimonio è un patto di dominio del marito sulla moglie. Esprime, invece, un altro concetto: cioè che la moglie, nel suo rapporto con Cristo – il quale è per ambedue i coniugi unico Signore – può e deve trovare la motivazione di quel rapporto con il marito, che scaturisce dall’essenza stessa del matrimonio e della famiglia. Tale rapporto, tuttavia, non è sottomissione unilaterale. Il matrimonio, secondo la dottrina della lettera agli Efesini, esclude quella componente del patto che gravava e, a volte, non cessa di gravare su questa istituzione. Il marito e la moglie sono infatti “sottomessi gli uni agli altri”, sono vicendevolmente subordinati. La fonte di questa reciproca sottomissione sta nella “pietas” cristiana, e la sua espressione è l’amore.

Sottolinea in modo particolare questo amore, rivolgendosi ai mariti. Scrive infatti: “E voi, mariti, amate le vostre mogli …”, e con questo modo di esprimersi toglie qualunque timore che la frase precedente potrebbe suscitare: “Le mogli siano sottomesse ai mariti”. L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito, oggetto di sottomissione unilaterale. L’amore fa sì che contemporaneamente anche il marito è sottomesso alla moglie, e sottomesso in questo al Signore stesso, così come la moglie al marito. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole. Cristo è fonte ed insieme modello di quella sottomissione che, essendo reciproca “nel timore di Cristo”, conferisce all’unione coniugale un carattere profondo e maturo.

Paolo non teme di accogliere quei concetti che erano propri della mentalità e dei costumi di allora; di parlare della sottomissione della moglie al marito; non teme, poi di raccomandare alla moglie che “sia rispettosa verso il marito” (Ef 5, 33). Infatti è certo che, quando il marito e la moglie saranno sottomessi l’uno all’altro “nel rumore di Cristo”, tutto troverà un giusto equilibrio secondo il modello di Cristo. Esiste una sottomissione reciproca “nel timore di Cristo” – sottomissione nata sul fondamento della “pietas” cristiana. Paolo non si limita a porre in rilievo gli aspetti tradizionali del costume o quelli etici del matrimonio, ma oltrepassa l’ambito dell’insegnamento, e scopre in esso la dimensione dello stesso mistero di Cristo, di cui egli è annunziatore e apostolo. Di fatto, lui stabilisce un’analogia tra il mistero del matrimonio e quello dell’unione Cristo-Chiesa.

Ef 5,23

Ef 5,24

Il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti . . .
5,25: E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei

Il rapporto tra i coniugi va inteso dai cristiani a immagine del rapporto tra Cristo e la Chiesa.

  1. Indissolubilità del matrimonio[2]

Il testo della lettera agli Efesini (Ef 5, 22-33) parla dei sacramenti della Chiesa – e in particolare del Battesimo e dell’Eucaristia – ma soltanto in modo indiretto e in certo senso allusivo, sviluppando l’analogia del matrimonio in riferimento a Cristo e alla Chiesa. E così leggiamo dapprima che Cristo, il quale “ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef 5,25), ha fatto questo “per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola” (Ef 5,26). Si tratta qui indubbiamente del sacramento del Battesimo, che per istituzione di Cristo viene sin dall’inizio conferito a coloro che si convertono. Le parole citate mostrano con grande plasticità in che modo il Battesimo attinge il suo significato essenziale e la sua forza sacramentale da quell’amore sponsale del Redentore, attraverso cui si costituisce soprattutto la sacramentalità della Chiesa stessa, “sacramentum magnum”. Lo stesso si può forse dire anche dell’Eucaristia, che sembrerebbe essere indicata dalle parole seguenti sul nutrimento del proprio corpo, che ogni uomo appunto nutre e cura “come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo” (Ef 5, 29-30). Infatti, Cristo nutre la Chiesa con il suo Corpo appunto nell’Eucaristia.

La lettera agli Efesini, esprimendo il rapporto sponsale di Cristo con la Chiesa, consente di comprendere che, in base a questo rapporto, la Chiesa stessa è il “grande sacramento”, il nuovo segno dell’alleanza e della grazia, che trae le sue radici dalle profondità del sacramento della Redenzione, così come dalle profondità del sacramento della creazione è emerso il matrimonio, segno primordiale dell’alleanza e della grazia. L’Autore della lettera agli Efesini proclama che quel sacramento primordiale si realizza in un modo nuovo nel “sacramento” di Cristo e della Chiesa. Anche per questa ragione l’Apostolo, nello stesso classico testo di Efesini 5, 21-33, si rivolge ai coniugi, affinché siano “sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef 5,21) e modellino la loro vita coniugale fondandola sul sacramento istituito al “principio” dal Creatore: sacramento, che trovò la sua definitiva grandezza e santità nell’alleanza sponsale di grazia tra Cristo e la Chiesa.

CREAZIONE REDENZIONE
Matrimonio: segno alleanza e grazia Chiesa: segno alleanza e grazia

 

Sebbene la lettera agli Efesini non parli direttamente e immediatamente del matrimonio come di uno dei sacramenti della Chiesa, tuttavia la sacramentalità del matrimonio viene in essa particolarmente confermata e approfondita. Nel “grande sacramento” di Cristo e della Chiesa i coniugi cristiani sono chiamati a modellare la loro vita e la loro vocazione sul fondamento sacramentale.

Questo testo di Ef 5, 21-23 si completa allora con quello ormai visto delle parole di Cristo nel Vangelo: Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19, 4-6). La domanda dei farisei: “È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?” (Mt 19,3) era soltanto di carattere giuridico-morale. La risposta di Cristo invece, si colloca sul piano di quel sacramento primordiale, che viene elevata e poi spiegata da San Paolo come sacramento della Nuova Alleanza, basata sul “grande mistero” di Cristo e della Chiesa. Abbiamo qui un vero orizzonte della “redenzione del corpo”: La Redenzione significa, infatti, quasi una “nuova creazione” – significa l’assunzione di tutto ciò che è creato: per esprimere nella creazione la pienezza di giustizia, di equità e di santità, designata da Dio, e per esprimere quella pienezza soprattutto nell’uomo, creato come maschio e femmina “ad immagine di Dio”.

  1. Dimensione escatologica del matrimonio[3]

            Come espressione sacramentale della potenza salvifica di Cristo, il matrimonio è anche un’esortazione a dominare la concupiscenza (come ne parla Cristo nel Discorso della Montagna). Frutto di tale dominio è l’unità e indissolubilità del matrimonio, e inoltre, l’approfondito senso della dignità della donna nel cuore dell’uomo (come anche della dignità dell’uomo nel cuore della donna), sia nella convivenza coniugale, sia in ogni altro àmbito dei rapporti reciproci.

Nella prima lettera ai Corinzi, l’Apostolo, confrontando il matrimonio con la verginità (ossia con la “continenza per il regno dei cieli”) e dichiarandosi per la “superiorità” della verginità, costata ugualmente che “ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro” (1 Cor 7,7). In base al mistero della Redenzione, al matrimonio corrisponde dunque un “dono” particolare, ossia la grazia (viene utilizzato ca,risma per ‘dono’, il che fa riferimento alla grazia). Nello stesso contesto, dando l’Apostolo consigli ai suoi destinatari, raccomanda il matrimonio “per il pericolo dell’incontinenza” (1Cor 7,2), e in seguito raccomanda ai coniugi che “il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito” (1Cor 7,3). E continua così: “È meglio sposarsi che ardere” (1Cor 7,9). Il verbo “ardere” significa il disordine delle passioni, proveniente dalla stessa concupiscenza della carne (analogamente viene presentata la concupiscenza nell’Antico Testamento dal Siracide).[4] Il matrimonio rappresenta l’ordine etico in questo ambito.

Allo stesso tempo, è anche sacramento scaturito dal mistero della Redenzione. Come sacramento della Chiesa, esso è anche parola dello Spirito, che esorta l’uomo e la donna a modellare tutta la loro convivenza attingendo forza dal mistero della “redenzione del corpo”.[5] In tal modo, essi sono chiamati alla castità come allo stato di vita “secondo lo Spirito” che è loro proprio (cfr. Rm 8, 4-5; Gal 5,25).[6] I coniugi, che secondo l’eterno disegno divino si uniscono così da divenire, in certo senso, “una sola carne”, sono anche a loro volta chiamati, mediante il sacramento, ad una vita “secondo lo Spirito”, tale che corrisponda al “dono” ricevuto nel sacramento. La vita “secondo lo Spirito” si esprime dunque anche nel reciproco “unirsi”, con cui i coniugi, divenendo “una sola carne”, sottopongono la loro femminilità e mascolinità alla benedizione della procreazione: “Adamo si unì a Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì . . . e disse: Ho acquistato un uomo dal Signore” (Gen 4,1).

Il matrimonio, come sacramento primordiale ed insieme come sacramento nato nel mistero della redenzione del corpo dall’amore sponsale di Cristo e della Chiesa, “viene dal Padre”. Non è “dal mondo”, ma “dal Padre”. Di conseguenza, anche il matrimonio, come sacramento, costituisce la base della speranza per la persona, cioè per l’uomo e per la donna, per i genitori e per i figli, per le generazioni umane. Da una parte, infatti, “passa il mondo con la sua concupiscenza”, dall’altra “chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Gv 2,17). Con il matrimonio, quale sacramento, è unita l’origine dell’uomo nel mondo, e in esso è anche iscritto il suo avvenire, e ciò non soltanto nelle dimensioni storiche, ma anche in quelle escatologiche.

Cristo afferma che il matrimonio – sacramento dell’origine dell’uomo nel mondo visibile – non appartiene alla realtà escatologica del ‘mondo futuro’ (“non prenderanno moglie”). Tuttavia l’uomo, chiamato a partecipare a questo avvenire escatologico mediante la risurrezione del corpo, è il medesimo uomo, maschio e femmina, la cui origine nel mondo temporaneo è collegata col matrimonio quale sacramento primordiale del mistero della creazione. Anzi, ogni uomo, chiamato a partecipare alla realtà della futura risurrezione, porta nel mondo questa vocazione, per il fatto che nel mondo visibile temporaneo ha la sua origine per opera del matrimonio dei suoi genitori. Così, dunque, le parole di Cristo, che escludono il matrimonio dalla realtà del “mondo futuro”, al tempo stesso svelano il significato di questo sacramento per la partecipazione degli uomini, figli e figlie, alla futura risurrezione. Tramite le parole di Cristo, come ethos – il matrimonio sacramentale si compie e si realizza nella prospettiva della speranza escatologica. Esso ha un significato essenziale per la “redenzione del corpo” nella dimensione di questa speranza. Proviene, difatti, dal Padre ed a lui deve la sua origine nel mondo. E se questo “mondo passa”, e se con esso passano anche la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, che vengono “dal mondo”, il matrimonio come sacramento serve immutabilmente affinché l’uomo, maschio e femmina, dominando la concupiscenza, faccia la volontà del Padre.

In tale senso il matrimonio, come sacramento, porta in sé anche il germe dell’avvenire escatologico dell’uomo, cioè la prospettiva della “redenzione del corpo” nella dimensione della speranza escatologica, a cui corrispondono le parole di Cristo circa la risurrezione: “Alla risurrezione…. non si prende né moglie né marito” (Mt 22,30); tuttavia, anche coloro che, “essendo figli della risurrezione … sono uguali agli angeli e … sono figli di Dio” (Lc 20,36), devono la sua origine nel mondo visibile e temporaneo al matrimonio e alla procreazione.

  1. Significato sponsale; significato redentore

L’immagine paolina del matrimonio, iscritta nel «grande mistero» di Cristo e della Chiesa, accosta la dimensione redentrice dell’amore alla dimensione sponsale. In certo senso unisce queste due dimensioni in una sola. Cristo è divenuto sposo della Chiesa, ha sposato la Chiesa come sua sposa, perché «ha dato se stesso per lei» (v. 25). Mediante il matrimonio come sacramento (come uno dei sacramenti della Chiesa) ambedue queste dimensioni dell’amore, quella sponsale e quella redentrice, insieme con la grazia del sacramento, penetrano nella vita dei coniugi. Il significato sponsale del corpo nella sua mascolinità e femminilità, che si è manifestato per la prima volta nel mistero della creazione sullo sfondo dell’innocenza originaria dell’uomo, viene collegato nell’immagine della lettera agli Efesini col significato redentore, e in tal modo confermato e in certo senso «nuovamente creato».

Questo è importante riguardo al matrimonio, alla vocazione cristiana dei mariti e delle mogli.

Il testo della lettera agli Efesini (5,21-33) si rivolge direttamente a loro e parla soprattutto a loro. Tuttavia, quel collegamento del significato sponsale del corpo con il suo significato «redentore» è ugualmente essenziale e valido per capire l’uomo in generale: per il fondamentale problema della comprensione di lui e dell’auto-comprensione del suo essere nel mondo. E se il «grande mistero» dell’unione di Cristo con la Chiesa ci obbliga a collegare il significato sponsale del corpo con il suo significato redentore, vuol dire che per i coniugi e soprattutto a loro sia indirizzato questo testo della lettera dell’Apostolo. Essi desiderano confermare con la loro vita che il significato sponsale del corpo – della sua mascolinità o femminilità -, profondamente inscritto nella struttura essenziale della persona umana, è stato aperto in un modo nuovo, da parte di Cristo e con l’esempio della sua vita, alla speranza unita alla redenzione del corpo.

Il testo della lettera agli Efesini è indirizzato ai coniugi e costruito secondo l’immagine del matrimonio, che attraverso l’analogia spiega l’unione di Cristo con la Chiesa: unione nell’amore redentore e sponsale insieme. L’unione di Cristo con la Chiesa ci consente di intendere in quale modo il significato sponsale del corpo si completa con il significato redentore, e ciò nelle diverse strade della vita: non soltanto nel matrimonio o nella «continenza» (ossia verginità o celibato), ma anche, per esempio, nella multiforme sofferenza umana, anzi: nella stessa nascita e morte dell’uomo.

[1] Catechesi del 27/07 (http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1982/documents/hf_jp-ii_aud_19820728.html) e del 11/08/1982 (http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1982/documents/hf_jp-ii_aud_19820811.html).

[2] Catechesi del 27/10/82 (http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1982/documents/hf_jp-ii_aud_19821027.html)

[3] Catechesi del 1/12/82 (http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1982/documents/hf_jp-ii_aud_19821201.html)

[4] Sir 23,17: La passione ardente come fuoco che brucia e non si spegne finché non si consuma; l’uomo sensuale nel suo corpo che non s’acquieta finché il fuoco non lo divora. All’uomo sensuale ogni pane è soave, non si stanca fino a quando muore.

[5] Secondo Rm 8,23: Non solo essa, ma anche noi, che abbiamo il primo dono dello Spirito, a nostra volta gemiamo in noi stessi, in attesa dell’adozione a figli, del riscatto del nostro corpo, con il termine avpolu,trwsij (redenzione, riscatto).

[6] Rm 8, 4-5: affinché ciò che è giusto nella legge si compia in noi, che non ci regoliamo secondo la carne ma secondo lo Spirito. Coloro infatti che sono secondo la carne, pensano e aspirano alle cose della carne, quelli invece che sono secondo lo Spirito, pensano e aspirano alle cose dello Spirito.

 

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