Il comandamento nuovo (Gv 13, 34-35)

San Tommaso di Aquino

San Tommaso di Aquino

Dal Commento di San Tommaso di Aquino al vangelo di Giovanni: Il comandamento nuovo

vv. 34-35: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.

        La qualità che pone in evidenza tale suo comandamento è la novità: «Vi do un comandamento nuovo». Ma che forse nell’ Antico Testamento, o nella Legge non era stato dato il comandamento dell’amore verso il prossimo? Esso era stato dato; poiché troviamo in Mt 22,37-39, che quando Cristo fu interrogato dal dottore in Legge su quale fosse il primo dei comandamenti, rispose: «Amerai il Signore Dio tuo»; e subito aggiunse: «e amerai il prossimo tuo come te stesso». E ciò si riscontra nel Levitico (19,18): «Amerai il prossimo tuo come te stesso».

Tuttavia questo comandamento in particolare viene chiamato nuovo per tre motivi: 1 – Primo, per la novità che esso produce, come rilevano le parole di Paolo (Col 3,9s.): «Spogliatevi dell’uomo vecchio con le sue opere; e rivestitevi dell’uomo nuovo, che si rinnovella in modo riconoscibile, secondo l’immagine del suo creatore». Questa novità si produce per mezzo della carità raccomandata da Cristo.

2- Secondo, questo comandamento è chiamato nuovo per la causa che lo ispira, poiché viene dettato da un nuovo spirito. Duplice infatti è lo spirito: antico e nuovo. Lo spirito antico è spirito di servitù; il nuovo è spirito di amore: il primo genera dei servi, il secondo invece genera figli di adozione. Di qui le parole dell’Apostolo (Rm 8,15): «Non avete ricevuto spirito di servitù per ricadere nel timore, ma spirito di adozione a figli». E in Ezechiele (36,26) si legge: «Vi darò un cuore nuovo, e uno spirito nuovo infonderò dentro di voi». Ebbene, questo spirito infiamma alla carità: «poiché la carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori dallo Spirito Santo» (Rm 5,5).

3- Terzo, è detto nuovo questo comandamento per l’effetto che produce, e che è la Nuova Alleanza. Infatti la differenza tra il Nuovo e l’Antico Testamento è quella esistente tra timore ed amore, secondo la profezia di Geremia (31,31ss.): «Stipulerò con la casa d’Israele una nuova alleanza … scriverò la mia legge nel loro cuore». Il fatto che nell’ Antico Testamento talora questo comandamento procedeva dal santo timore e dall’amore, apparteneva già al Nuovo Testamento: perciò esso era stato dato nell’ Antica Legge non come proprio di essa, bensì quale preparazione alla Nuova Legge.

           Un altro aspetto di questo comandamento viene condizionato dalla maniera poi da osservarlo, che è l’amore reciproco: «… che vi amiate gli uni gli altri». Infatti è proprio dell’amicizia non restare ignorata; altrimenti non sarebbe amicizia, ma una certa benevolenza. Quindi per un’amicizia vera e duratura si richiede che gli amici si amino reciprocamente; poiché soltanto allora un’amicizia sarà giusta e duratura e quasi duplicata. Perciò il Signore, volendo che tra i suoi fedeli e tra i suoi discepoli ci fosse un’amicizia perfetta, diede loro il precetto dell’amore reciproco. «Chi teme Dio si procura (avrà) una buona amicizia» (Sir 6,17).

               Indica poi un esempio per questa amicizia, o modello di amare il prossimo, con quelle parole: «… come io vi ho amati». Cristo infatti ci ha amati in questi tre modi: gratuitamente, efficacemente e rettamente. Gratuitamente, perché cominciò lui ad amarci, senza aspettare che cominciassimo noi. «Senza aver noi amato Dio, egli per primo ci ha amati» (1 Gv 4,10). Così anche noi dobbiamo per primi amare il prossimo, senza attendere di essere prevenuti, o beneficati. Efficacemente poi Cristo ci ha amati, il che risulta chiaramente dalle opere: Infatti la prova dell’amore è la prestazione dell’opera. Ora, l’opera più grande che un uomo possa fare per l’amico è quella di sacrificarsi per lui; cosa che Cristo appunto ha compiuto: «Cristo ha amato noi e ha dato se stesso per noi» (Ef 5,2). Perciò diceva (15,13): «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici». Noi perciò siamo spinti da questo esempio ad amarci reciprocamente in modo efficace e fruttuoso: «Non amiamo a parole e con la lingua, ma con l’opera e la verità» (1 Gv 3,18).

              Cristo inoltre ci ha amati rettamente. Ogni amicizia infatti si fonda su qualcosa che ci accomuna (poiché causa dell’amore è la somiglianza); perciò è retta quell’amicizia che nasce dalla somiglianza o comunanza nel bene. Ora, Cristo in tanto ci ha amati, in quanto siamo a lui simili per la grazia di adozione, per attirarci a Dio secondo questa somiglianza. Di qui le parole di Geremia (31, 3): «Di un amore eterno ti ho amato e perciò ti ho attirato a me pieno di compassione». E cosi anche noi dobbiamo cercare in coloro che amiamo non tanto di ricevere benefici, o benevolenza, ma dobbiamo amare in essi quello che è di Dio. E in tale amore del prossimo è incluso anche l’amore di Dio.

                Riguardo il v.34: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri», si deve tener presente che chiunque viene aggregato nell’esercito di un re deve portarne le insegne, il distintivo. Ebbene, il distintivo di Cristo è quello della carità. Perciò chiunque vuole essere aggregato all’esercito di Cristo deve avere il distintivo della carità. Deve essere considerato, inoltre, che pur avendo gli apostoli ricevuto da Cristo molti doni, quali la vita, l’intelligenza, la salute del corpo; e altri nell’ordine spirituale, quale il compimento dei miracoli (Lc 21,15: «Io vi darò una bocca e una sapienza, così che i vostri avversari non potranno resistere né controbattere»), in tutti questi non si riscontra il distintivo di Cristo; perché essi possono appartenere comunemente ai buoni e ai cattivi. Ma il contrassegno speciale del discepolo di Cristo è la Carità e l’amore reciproco. «Ha impresso su di noi l’impronta del suo sigillo, e ci ha dato la caparra dello Spirito» (2 Cor 1,22).[1]

[1] Tommaso di Aquino, Commento al vangelo di San Giovanni, capitolo XIII, lezione VII, num. (ediz. Città Nuova, 74-79).

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