Presentiamo la conclusione di questo bel scritto del padre Gonzalo Ruiz Freites, IVE, sull’argomento: L’uomo non separi ciò che Dio ha unito (soltanto la conclusione del medesimo viene presentata da noi).
Conclusione
L’insegnamento di Gesù su divorzio e seconde nozze, presente sia nei vangeli sinottici che negli scritti di Paolo, è definitivo e forma parte della rivelazione del NT, ricevuta e custodita fedelmente dalla Chiesa. Si tratta di un insegnamento di origine divino-apostolico, assoluto e universale, che proibisce il divorzio e, in caso di seconde nozze di chi ha divorziato, considera questa seconda unione come un adulterio.
In questo senso è chiaro che Gesù ha abolito il precetto mosaico che consentiva il divorzio mediante l’elargizione di un libello di ripudio. Un’ipotesi che pretenda rivendicare il valore di tale precetto non ha nessun sostegno in una esegesi seria dei testi del NT al riguardo, sia nel loro senso letterale, sia nei contesti immediati, sia nell’insieme della rivelazione neotestamentaria. Una tale ipotesi è una forzatura dei testi[1]. Ci vengono in mente le parole di San Girolamo, allorquando egli insegna che chi studia il testo sacro deve attenersi innanzitutto “all’esatta interpretazione” e che “il dovere del commentatore non è quello di esporre idee personali bensì quelle dell’autore che viene commentato”[2]. Altrimenti, egli dice, “l’oratore sacro è esposto al grave pericolo, un giorno o l’altro, a causa di un’interpretazione errata, di fare del Vangelo di Dio il Vangelo dell’uomo”[3].
Nel caso particolare del divorzio, e di una ulteriore unione con chi non è il proprio coniuge, una interpretazione errata dei testi biblici ha conseguenze disastrose. Perché se Gesù approvava, e addirittura perfezionava, il libello di ripudio come una concessione misericordiosa, allora acconsentiva anche l’adulterio che ne derivava. Ma è oltremodo chiaro nel suo insegnamento che bisogna non commettere adulterio per entrare nella vita (Mt 19,18).
D’altra parte, se Gesù non sarebbe venuto ad abolire nulla, ma a tener conto della situazione concreta del peccatore, Egli non sarebbe venuto nemmeno a chiamare tutti i peccatori a uscire di quella situazione chiamandoli alla conversione (cfr. Lc 5,32). Per alcuni, infatti, ci sarebbe un’altra via, quella della legge mosaica, la quale, come afferma S. Paolo, è però incapace di dare la giustificazione. In questo modo Gesù non salverebbe dal peccato, e lascerebbe, invece, che i malati continuino ad essere malati, accontentandosi Egli stesso di non poter raggiungere lo skopòs desiderato.
In una simile ipotesi la confusione è grande, e la concezione della salvezza sembra più protestante che cattolica: manca una adeguata teologia della grazia. Se vogliamo essere coerenti con questo modo di ragionare dovremmo concludere che, almeno in alcuni casi, la natura umana sarebbe irrimediabilmente corrotta dal peccato, senza la possibilità di essere risanata dalla grazia. Questo però è contrario alla fede cattolica. Perché la grazia infusa nel cuore dell’uomo ne fa una nuova creatura, ne risana le ferite dall’interno e lo eleva all’ordine soprannaturale per la formale partecipazione alla vita divina. È in questo modo che si raggiunge lo skopòs dell’opera salvifica di Cristo![4]
Affermare la validità della legge mosaica per la salvezza, seppur per entrare come minimo nel regno dei cieli, è anche gravemente contrario alla rivelazione del NT, e di conseguenza alla fede cristiana. Se la legge mosaica è tuttora via di salvezza, Cristo sarebbe morto invano. È molto grave, inoltre, cercare di imporre la validità dei precetti della legge antica ai cristiani. Più volte, mentre scrivevo queste righe, pensavo al grido di Paolo nella Lettera ai Galati, contro coloro che cercavano di “giudaizzare” in questo senso i cristiani venuti dalla gentilità. Dopo aver detto “non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano” (Gal 2,21), l’Apostolo prosegue: “O stolti Galati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede? Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne?” (Gal 3,1-3).
È chiaro che l’insegnamento del Signore è nuovo nel mondo ebraico, dove era consentito il divorzio e le seconde nozze a condizione di elargire un libello di ripudio. È in questo contesto che Gesù vieta la possibilità di divorziare e risposarsi con il suo precetto assoluto: “l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto” (Mc 10,9; Mt 19,6). La Chiesa primitiva, dunque, dovette affrontare questo problema sia per gli ebrei che abbracciavano la fede, sia per i pagani, che erano abituati alla validità legale della prassi del divorzio[5]. Fin dall’inizio, però, la Chiesa è stata fedele al suo Signore. Il testo paolino di 1 Cor 7,10-11 attesta come l’autorità del comandamento del Signore sia prevalsa di fronte a tutta la permissività del mondo antico, sia ebraico che pagano. Questa fermezza è dovuta alla fede nel comandamento che è stato dato dallo stesso Gesù: “l’uomo non separi ciò che Dio ha congiunto”. La salda convinzione della sua validità universale ha sostenuto lungo i secoli i constanti insegnamenti della Chiesa in questa materia.
La missione di Gesù è tutta caratterizzata dalla misericordia verso i peccatori. È però una misericordia che spinge alla conversione e al cambiamento del cuore, come Egli stesso la definisce: “io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano” (Lc 5,32). Gesù non ha condannato la donna sorpresa in adulterio, ma nemmeno le ha detto “va e fatti dare il libello di ripudio, così puoi continuare a vivere nello stesso modo”. Invece, chiaramente, le ha comandato: “va e non peccare più” (Gv 8,11), perché per il necessario cambiamento del cuore Egli ha portato con sé la legge nuova, la grazia dello Spirito Santo effusa nei cuori (cfr. Rm 5,5). Anche alla donna samaritana, che aveva avuto cinque mariti e viveva ancora con uno che non era il suo sposo, Gesù le presenta il mistero del dono di Dio, dell’acqua viva che soltanto Lui può dare, e che zampilla per la vita eterna (Gv 4,11-15).
Con la sua grazia, infatti, è possibile compiere tutti i suoi comandamenti, compreso il precetto di non unirsi more uxorio ad una persona che non è il proprio coniuge, anche se questo significa dover portare la croce ogni giorno (cfr. Lc 9,23). Pensare che vivere la castità non è possibile per chi ha fallito nel proprio matrimonio significa non credere, di fatto, nella grazia interiore di Dio, che fa dell’uomo vecchio una nuova creatura (cfr. 2 Cor 5,17; Gal 6,15). Significa anche pensare che il Signore ci comanda di compiere ciò che è impossibile, annullando di fatto la grazia di Dio con la quale tutto è possibile, malgrado le nostre debolezze[6].
Una chiave ermeneutica di lettura del pensiero del Prof. Gargano si trova nella sua lettera a S. Magister, quando egli distingue tra “verità oggettiva” e “verità soggettiva” nel campo morale-esistenziale. La distinzione è inaccettabile nel senso proposto dall’autore, e apre la porta a qualsiasi tipo di relativismo morale, dove la propria coscienza diventa la norma suprema dell’agire, anche quando non corrisponde con la verità oggettiva della legge di Dio, rivelata nella sua pienezza in Gesù. La verità per definizione è oggettiva. La realtà soggettiva può corrispondere alla verità o può non corrispondere. In questo ultimo caso non si tratta di “verità soggettiva”, ma di un errore, ed è un’opera di misericordia correggere chi sbaglia. Amare il peccatore significa anche questo, secondo l’insegnamento del Signore (Mt 18,15-17; cfr. Ef 6,4; Eb 12,5-11).
Il Concilio Vaticano II ha indicato che l’uomo deve governarsi per la sua coscienza, ma ha anche insegnato che “tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli”[7]. Questo a motivo della dignità della persona umana, per cui gli uomini “sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze”[8]. E più avanti: “Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza qualora si consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con sapienza e amore ordina, dirige e governa l’universo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l’essere umano della sua legge, cosicché l’uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l’immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità[9] in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza”[10].
Nella formazione della loro coscienza, i cristiani devono però considerare anche la dottrina della Chiesa, orientata alla salvezza di tutti secondo il proposito di Dio salvatore, “il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). È per volontà di Cristo che la Chiesa cattolica è maestra di verità. La sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell’ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana[11]. Nell’insegnare tutta la verità contenuta nei vangeli, dunque, la Chiesa non fa altro che obbedire il comandamento del Signore risorto: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19-20). In questo “tutto” è incluso anche il suo l’insegnamento sul divorzio e seconde nozze.
La Chiesa, seguendo il modello e l’insegnamento del suo Signore, ha sempre insegnato che si devono trattare con squisita misericordia le persone che si trovano in situazioni irregolari riguardo il matrimonio. Una misericordia, però, che non tenga conto di tutti gli insegnamenti del Signore in questa materia sarebbe una falsa misericordia, perché privata, in parte o in tutto, della verità. Sarebbe, anzi, causa e fonte di molti mali, come insegna San Tommaso nel suo commento alle beatitudini del Discorso della Montagna: “La giustizia senza la misericordia è crudeltà; la misericordia senza la giustizia è madre di dissoluzione”[12].
Solo la verità rende completamente libero l’uomo[13]. Quella verità che è la persona di Gesù, Verbum abbreviatum[14] che compendia tutte le Scritture, antiche e nuove. Egli è la verità che si esprime in tutte le sue parole, senza tagli o sconti. Egli è la verità, che è allo stesso tempo via alla vita, all’eterna salvezza, unica meta della nostra esistenza cristiana (Gv 14,6)[15]. Così lo confessò San Pietro, primo Papa, quando molti abbandonavano il Signore perché trovavano “dure” le sue parole (cfr. Gv 6,60): “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna” (Gv 6,68).
[1] I testi debbono essere studiati alla luce della precomprensione della fede dell’insieme della rivelazione biblica (cfr. Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, 15/IV/1993). Non debbono, dunque, essere scelti e trattati in base ai preconcetti estranei alla fede, e nemmeno debbono essere studiati senza fare un’analisi esegetica accurata che tenga conto anche dei contesti prossimi e più larghi (l’insieme della rivelazione biblica). Altrimenti si rischia di arrivare a conclusioni inesatte, che vanno magari d’accordo con i preconcetti con cui si aveva iniziato.
[2] Ep. 49 al. 48, 17, 7.
[3] In Gal. 1, 11 ss. Cfr. Benedetto XV, Lettera enciclica Spiritus Paraclitus in occasione del XVº Centenario della morte di S. Girolamo (15/IX/1920).
[4] La grazia dello Spirito Santo è l’essenza della legge nuova ed è l’unica causa formale della giustificazione; cfr. Concilio Tridentino, Decretum de iustificatione, Sessione VI, 7: DS 1528ss.; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1987-2005.
[5] Per esempio, Seneca afferma, con certa ironia, che il divorzio abbondava negli ambienti romani: va di moda, dice, che le donne facciano il conto dei loro anni non per il numero dei consoli, ma per quello dei loro mariti; cfr. De beneficiis, III, 16, 2-3. Sulla risposta della Chiesa dei primi secoli a questa realtà sociologica si veda M. Aroztegi, “La renovación cristiana del matrimonio y la familia: la interpretación de los Padres de la Iglesia”, en Anthropotes 30 (2014) 111-162.
[6] “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13); “Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo di uscirne per poterla sostenere” (1 Cor 10,12-13).
[7] Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1.
[8] Dignitatis humanae, 2.
[9] Cfr. S. Tommaso, Summa Theologiae, I-II,91,1; 93,1-2.
[10] Dignitatis humanae, 3.
[11] Cfr. Dignitatis humanae, 14.
[12] “Iustitia sine misericordia crudelitas est, misericordia sine iustitia mater est dissolutionis”; in Super Evangelium S. Matthaei Lectura, Marietti Ed. (Torino 1951) cap. V. lectio 2, n. 429. Nel contesto il termine “dissolutio” va inteso come disgregazione o corruzione di ciò che è giusto, sia nel senso di essere conforme e gradito a Dio, sia nel senso di dare a ciascuno il suo (la giustizia). Perché le cose di Dio esigono una giustizia o verità, e in questo senso verità e giustizia sono sinonimi (cfr. Summa Theologiae, I, 21,3-4). Da qui che nelle cose di Dio non si possa contrapporre la misericordia alla giustizia, perché non si è veramente misericordiosi se non si compie anche la giustizia (o verità) delle cose secondo il volere di Dio. Anzi, se si adopera una falsa “misericordia” contro la giustizia o verità delle cose, si pongono le fondamenta per la dissoluzione o corruzione delle cose di Dio, e della partecipazione dell’uomo alle cose di Dio.
[13] “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8,31-32).
[14] Su questa espressione applicata a Cristo dai Padri della Chiesa e dagli autori del Medioevo si veda Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Postsinodale Verbum Domini (30/IX/2010), 12. I Padri della Chiesa si erano basati nel testo di Is 10,23 (LXX), citato da S. Paolo in Rm 9,28.
[15] “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6).