PERCORSO DELLA FEDE NELLA LETTERA AGLI EBREI: La FEDE IMPLICITA
- Introduzione: L’argomento della Fede nella Lettera agli Ebrei
Lo scopo di questa sezione, dedicata ai lavori esegetici, è soprattutto quello di mostrare lo sviluppo nel trattamento della Fede che fa San Tommaso di Aquino nel suo Commento alla lettera agli Ebrei.
Dobbiamo dire che questa lettera – come indicato dal suo titolo – tratta molti argomenti che erano fondamentali per tanti Ebrei diventati Cristiani, ma che ancora si domandavano sul valore della Legge e delle pratiche mosaiche nelle quali erano stati allevati. Inoltre, dovevano affrontare le calunnie degli Ebrei che non accettavano Cristo, specialmente dei capi del popolo che li accusavano di essere eretici perché confessavano la divinità di Gesù Messia, e di essere traditori di tutta l’eredità ricevuta dalla tradizione ebraica.
Ci sono stati tentavi diversi di discernere la struttura di questa grande lettera – che alcuni chiamano perfino discorso-. Uno di quelli più rilevanti, in epoca moderna, è stato quello del padre (ora Cardinale) Albert Vanhoye. Lui si fondamenta in numerosi indizi letterari, grammaticali, lessicografici (come parole chiavi, inclusioni, ecc.), e determina una struttura di cinque parti che termina con una dossologia finale (13, 20-21). Ogni parte consta di un annunzio del tema o argomento, seguito dallo sviluppo in una o più sezioni. Così che le parti sono:
1 – Nome di Cristo – Cristo, fratello degli uomini (1,5 – 2,18)
2 – Sacerdote degno di Fede, misericordioso (3,1 – 5,10)
3 – Cristo: Autore di salvezza eterna – Sacerdote secondo ordine Melchidesech (5,11 – 10,39)
4 – Pazienza nelle avversità – Fede (11, 1- 12,13)
5 – Attività e condotta cristiana (12,14 – 13,21)
A noi interessa la quarta parte. Questa viene dopo la parte centrale (parte III) perché il sacerdozio di Cristo è il punto centrale della lettera. Questa parte finisce con un’esortazione, che tra altre cose afferma: Ancora un brevissimo tempo, e colui che deve venire verrà e non tarderà. E il giusto vivrà per fede, ma se si tira indietro l’anima mia non lo gradisce (Eb 10, 37-38). E’ un’esortazione a ricevere i benefici del sacerdozio di Cristo tramite la Fede. Ecco perché l’argomento della Fede viene introdotto nell’epistola.
2. La descrizione della Fede secondo San Tommaso e il suo contenuto
Inizia San Tommaso il commento del capitolo 11 della lettera agli Ebrei affermando che la Fede viene descritta in due modi dall’Apostolo: in generale ed in particolare.
La descrizione generale è stata già trattata nel lavoro precedente: Est autem fides sperandarum substantia rerum argumentum non apparentium (11,1).[1] Afferma l’Angelico che inizia a trattarsi la descrizione in particolare, a partire dal v. 2 in poi: in hac enim testimonium consecuti sunt senes; fide intellegimus aptata esse saecula verbo Dei ut ex invisibilibus visibilia fierent.[2]
Abbiamo sottolineato intelligimus (“capiamo”). L’Angelico fa notare che questa esposizione della Fede in particolare appartiene sì alla Rivelazione (non è conoscenza naturale di Dio come in Rom 1). Ma l’uomo può capire intellettualmente i misteri di Dio alla luce della Fede; questa rende intelligibili all’uomo i concetti della Rivelazione.
L’argomento si fondamenta allora sulla Tradizione ricevuta, com’è anche abituale in diversi passaggi delle lettere paoline: Il riferimento è questa volta agli “antichi” (senes). San Paolo, come buon ebreo, credeva che la Fede fosse già testimoniata nell’Antico Testamento, in circostanze, momenti e persone particolari, in alcuni più che in altri. Per San Tommaso, sono specialmente le figure di Abramo e Davide quelli che più rendono testimonianza alla Fede (ai misteri cristiani).
Riguardo allora al contenuto della Fede – i già menzionati misteri cristiani- dirà pure San Tommaso che nell’Antico Testamento ci sono due tipi di insegnamento sulla Rivelazione [564]: uno in modo chiaro, l’altro sotto il velo delle figure: Il primo riguarda l’unicità di Dio e la creazione del mondo; il secondo riguarda i misteri della Incarnazione e della Redenzione.
- aptata esse saecula verbo Dei (v.3): L’espressione latina può venire interpretata con il termine verbo in caso ablativo: Questo secolo (mondo) è stato formato dalla parola di Dio: L’idea è allora che, mediante (per) la Fede, sappiamo che il mondo fu fatto per opera del Verbo, il che vuol dire: per ordine divina. Fede, in questo caso, significa la dottrina dell’A.T. Si aggiunge che l’invisibile (quello che non ha forma) fu reso visibile (formato) anche per volontà divina (Gen 1,3; Sal 32,9).[3]
- L’espressione può essere intesa con verbo come dativo: Allora, il senso è: Per Fede sappiamo che il mondo fu disposto (fatto cioè, ‘conveniente’ e ‘corrispondente’ al Verbo). Il Verbo di Dio è il concetto di Dio; confrontato con la creatura, è come l’artefice riguardo alla sua opera. L’opera corrisponde, secondo una certa misura, all’idea divina di essa (Sir 1,10).[4] Questa misura, proporzioni o ragioni (rationis idealibus secondo San Tommaso), sebbene formino in Dio un’identica cosa, differiscono concettualmente in rapporto alle diverse creature.
3. La descrizione in particolare: i testimoni antichi della Fede
Dopo aver parlato del contenuto oggettivo della Fede, il testo della lettera inizia nel v.4 a descrivere i testimoni di essa, i padri dell’Antico Testamento. L’Aquinate afferma che si dà in tre tappe:
- Quelli prima del diluvio: Abel (v.4); Enoch (v.5); Noè (v.7).
- Quelli tra il diluvio e la Legge: Abramo (v.8).
- Quelli dopo la Legge: Mosè (v.9).
- Abele: 4: Per la fede Abele offrì a Dio un sacrificio più prezioso di quello di Caino, e per essa ricevette la testimonianza di essere giusto, perché Dio rendeva testimonianza ai doni di lui, e per essa dopo la morte continua a parlare.
Abele prova la sua Fede con un sacrificio scelto [568]: L’eccellenza del suo sacrificio è un segno della sua Fede provata (cfr. Mal 1,14).[5] Dalla Fede scaturiscono alla volta due realtà:
1 – Una in questa vita: La testimonianza della giustizia (cfr. Mt 23,35; Sal 33,15).[6]
2 – Un’altra realtà che tocca ed arriva alla vita eterna: Gen 4,10; Eb 12,24.[7]
- Enoch: 5: Per la fede Enoch fu trasportato in modo da non vedere la morte, e non lo si trovò, perché Dio lo aveva trasportato. Prima, infatti, del trasferimento ricevette testimonianza che era piaciuto a Dio.
Afferma la Genesi che Enoch non fu più trovato e che Dio lo prese (cfr. 5,24), e la ragione è: Divenuto gradito a Dio, fu da lui amato, poiché viveva in mezzo ai peccatori, fu trasferito (Sap 4,10). L’esegesi di San Tommaso sottolinea l’unità della Scrittura, citando la Sapienza come conferma della Genesi. Inoltre, così interpreta dicendo: «Così come fu conveniente che un uomo, a causa del peccato, fosse cacciato del paradiso, così era conveniente che il giusto vi fosse introdotto». Affermerà anche che Enoch, essendo il settimo della discendenza di Seth, fu ottimo, mentre che Lamec, il settimo della discendenza di Caino, fu pessimo, avendo introdotto la bigamia sulla terra.[8]
Fu gradito a Dio, e tutto questo in virtù della Fede: Infatti, prima del trasferimento ricevette testimonianza di essere gradito a Dio. Lui “camminò con Dio” (cfr. Mal 2,6; Sal 100,6),[9] e fu trasferito affinché desse la Sapienza alle genti (Cfr. Sir 44,16).[10] Viene anche considerato eccezionale (Sir 49,14): Nessuno fu creato sulla terra uguale a Enoch, perciò fu fatto ascendere dalla terra.
San Tommaso aggiunge altre informazioni su Enoch [570], dicendo che fu portato in cielo senza vedere la morte; comunque, un giorno la verrà. Soltanto che questa gli è stata differita, come a Elia, e la ragione è perché l’A.T. si ordina alla promessa del N.T, nel quale viene solennemente promessa la Vita Eterna. E di questa grande promessa partecipano tutti gli ordini temporali: a) per la natura, Enoch; b) per la Legge, Elia; c) per la Grazia: Cristo.
4. La Fede implicita
v.6: Senza fede è impossibile piacere a Dio. Chi si avvicina a Dio deve credere che egli esiste ed è rimuneratore per quelli che lo cercano.
Una volta presentata la figura di Enoch, che fu gradito a Dio, si parla delle condizioni per piacere a Dio, e queste condizioni passano dalla Fede (sine fide autem impossibile placere, cfr. Rom 6,28). Le condizioni principali sono due:
1- Chi si accosta a Dio deve credere che esiste… (Gc 4,8): Necessario per piacergli.[11]
2 – Che è rimuneratore di coloro che lo cercano … (Is 40,10): La ricompensa è quella realtà che si cerca (Mt 20,8), e questa è grande (Gn 15,1).[12]
Sono questi condizioni sufficienti o meno?: Risponderà Tommaso che, dopo il peccato originale, “nessuno può essere salvato senza la Fede nel mediatore”; ma questa Fede è diversa, secondo le diversità dei tempi e delle condizioni: A noi, dopo la venuta di Cristo, viene chiesto più che a quelli vissuti prima della sua venuta; di questi ultimi, certi Padri hanno ricevuto una Rivelazione più speciale e credettero più esplicitamente. Infatti, a quelli vissuti dopo la Legge, viene chiesto più che a quelli che vissero prima di essa, perché a costoro li sono stati rivelati i sacramenti della Antica Legge, con il quale veniva rappresentato Cristo, mentre che per i Gentili e per quelli prima della Legge bastava che credessero che Dio era il rimuneratore, ma la ricompensa non avviene più che per Cristo. Quindi, essi credevano implicitamente nel Mediatore.[13]
Nella Summa Teologica, parlando della Fede, questi argomenti vengono sviluppati con più precisione:
Inanzitutto, si spiega la differenza tra quell’oggetto esplicito e quell’implicito della Fede: «Nell’oggetto di qualsiasi virtù si possono considerare due cose, vale a dire:
1- Ciò che costituisce l’oggetto proprio ed essenziale della virtù, indispensabile per essa;
2 – Ciò che è connesso solo accidentale e secondariamente con la ragione dell’oggetto.
Riguardo la Fede, l’oggetto essenziale è quello che rende l’uomo beato, la prima veritas (II- IIae, q.2, a.2) e l’Eterna Beatitudine (a.3). Sono invece secondarie e accidentali in rapporto ad esse tutte altre le verità che Dio ha insegnato, e che sono nella Scrittura (che Abramo ebbe due figli, che Davide sia figlio di Iesse, ecc.).
Riguardo quindi, ai dogmi fondamentali, che sono gli articoli di fede, l’uomo è tenuto a crederli esplicitamente, come è tenuto ad avere la fede. Invece, le altre verità di fede l’uomo non è tenuto a crederle in maniera esplicita, ma solo implicitamente: è tenuto, cioè, ad avere l’animo disposto a credere quanto si contiene nella Scrittura. Però allora soltanto è tenuto a crederle in maniera esplicita, quando gli consta che esse fanno parte dell’insegnamento della Fede».[14] E anche: «La fede esplicita nelle cose di Dio non è ugualmente necessaria per tutti: perché i maggiorenti, che hanno il compito di insegnare, sono tenuti a credere più cose che gli altri».[15]
Orbene, questo sembra applicarsi per i credenti che hanno ricevuto la Fede cristiana (il Battesimo e una certa istruzione, anche se incompleta o dimenticata dopo). Nell’articolo seguente, l’Angelico si domanda per il resto, cioè «se per tutti sia necessario alla salvezza credere esplicitamente il mistero di Cristo»:
«Il mezzo indispensabile all’uomo per raggiungere la beatitudine appartiene propriamente ed essenzialmente all’oggetto della fede. Ora, la via per cui gli uomini possono raggiungere la beatitudine è il mistero dell’incarnazione e della passione di Cristo; poiché sta scritto: “Non c’è alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci di essere salvati” (Att 4,12). Perciò era necessario che il mistero dell’incarnazione di Cristo in qualche modo fosse creduto da tutti in tutti i tempi: però diversamente secondo le diversità dei tempi e delle persone.
- Prima del peccato, l’uomo ebbe la fede esplicita dell’incarnazione di Cristo in quanto questa era ordinata alla pienezza della gloria; ma non in quanto era ordinata a liberare dal peccato con la passione e con la resurrezione; perché l’uomo non prevedeva il suo peccato.
- Dopo il peccato, il mistero di Cristo fu creduto esplicitamente non solo per l’incarnazione, ma anche rispetto alla passione e alla resurrezione, con le quali l’umanità viene liberata dal peccato e dalla morte. Altrimenti (gli antichi) non avrebbero prefigurato la passione di Cristo con dei sacrifici, sia prima che dopo la promulgazione della legge. E di questi sacrifici i maggiorenti conoscevano esplicitamente il significato; mentre le persone semplici ne avevano una conoscenza confusa sotto il velo di quei sacrifici …
- Dopo la rivelazione della grazia tanto i maggiorenti che i semplici sono tenuti ad avere la fede esplicita dei misteri di Cristo; e specialmente di quelli che sono oggetto delle solennità della Chiesa, e che vengono pubblicamente proposti, come gli articoli sull’incarnazione …»[16]
Cosa succede invece con i pagani, quelli che ignorano completamente la Rivelazione e non la attendono nemmeno? San Tommaso risponde a un’obiezione dicendo:
«A molti pagani furono fatte rivelazioni sul Cristo, come è evidente dalle loro predizioni (Giobbe [cfr. 19,25],[17] la Sibilla) … Tuttavia anche se alcuni si salvarono senza codeste rivelazioni, non si salvarono senza la fede nel Mediatore. Perché, anche se non ne ebbero una fede esplicita, ebbero però una fede implicita nella divina provvidenza, credendo che Dio sarebbe stato il redentore degli uomini nel modo che a lui sarebbe piaciuto, e secondo la rivelazione da lui fatta a quei pochi sapienti che erano nella verità; essendo egli, come dice il libro di Giobbe: “Colui che insegna a noi più che alle bestie della terra” (35,1)».[18]
Rimane chiaro dunque, che sia prima o dopo la Legge, sia perfino anche nei pagani di oggi, si può parlare di Fede implicita in queste condizioni; fede nella Divina Provvidenza, o fede riguardo a certi misteri cristiani.
5. Riguardo al vocabolo Fede nella Lettera agli Ebrei
Nel capitolo 11 della Lettera agli Ebrei, San Paolo usa il termine “Fede” in nominativo (pístis) soltanto una volta, nel primo versetto; poi usa ripetute volte pistei, in dativo (“per Fede”; “dalla Fede”). In nominativo viene usato per la descrizione generale, in dativo per la descrizione tramite gli esempi.
Di tutti quegli esempi esposti, è quello di Enoch sul quale ci siamo fermatii di più. I libri biblici dove Enoch viene citato per nome sono la Genesi, la Sapienza e il Siracide, nel A.T. In nessuno di questi ricorre il termine “fede” o “per la fede” associato a Enoch. Nella Genesi e nella Sapienza neppure assolutamente ricorre il termine, ma sì nel Siracide: Quattro vuole il termine in dativo (Sir 41,16; 45,4; 46,15; 49,10), due volte in nominativo (Sir 1,27; 40,12).
In nominativo sembra che il senso sia più quello di ‘fiducia’, ‘lealtà’(1,27): La sapienza, in effetti, l’insegnamento del timore del Signore e la sua benevolenza sono lealtà e mitezza; orbene ‘onestà’: Ogni dono e ogni ingiustizia sarà cancellata, ma l’onestà (fiducia) resterà per sempre (40,12).[19] In quest’ultimo potrebbe pure tradursi per ‘fede’ nel senso teologico, e andrebbe di accordo con la teologia sulla virtù, ma la contrapposizione a ‘onestà’ e ‘dono’ fa sì che non sembri il senso più ovvio.
Nella stessa linea si traduce l’aggettivo pistós (fedele, degno di fede) che ricorre anche tante volte nel Siracide: L’amico fedele è solido rifugio, chi lo trova, trova un tesoro. L’amico fedele non ha prezzo, non c’è misura per il suo valore (6,14-15).
Quando ricorre invece nel dativo greco – nello stesso senso che lo usa San Paolo in Ebrei- sebbene alcune volte potrebbe significare anche fiducia o fedeltà, è possibile tradurlo anche per Fede, e così lo fa la Vulgata (46,15 a proposito di Samuele; 49,10 a proposito dei Dodici Profeti):
- Sir 46,15: Per la sua fede fu riconosciuto profeta e per le sue parole si dimostrò veggente verace (fedele). Vg 46,17: In lege Domini iudicavit congregationem et vidit Dominus Iacob et in fide sua probatus est propheta.[20] Una ragione testuale importante per leggere ‘fede’ nella prima parte del versetto, è che se si dovesse leggere ‘fedeltà’ si avrebbe una ripetizione o tautologia.
- Sir 49,10: et duodecim prophetarum ossa pullulent de loco suo nam rogaverunt Iacob et redimerunt se in fide virtutis (spei). Possano le ossa dei dodici profeti germogliare dalla loro tomba, perché hanno consolato Giacobbe, l’hanno riscattato nella fiducia della speranza (o nella ‘fede’).[21]
Ma il testo più chiaro sembra riferirsi a Mosè: (Sir 45,4) Per la sua fede e umiltà l’ha consacrato, scegliendolo fra tutta l’umanità.[22] Ricordiamo che Mosè verrà pure nominato nella Lettera agli Ebrei come esempio di Fede.
Nel Siracide, viene detto nel versetto precedente (45,3) che: gli ha fatto (Dio) vedere la sua gloria. Questo vedere la gloria, San Tommaso lo tratta nel trattato di profezia, a proposito di Mosè, dove afferma, seguendo Sant’Agostino, che vide l’essenza di Dio come San Paolo nel suo rapimento, perché aveva avuto una visione intellettuale, non immaginaria né con i sensi, essendo in questo senso superiore ai profeti.[23] Comunque, non è stata questa la visione Beatifica, come d’altronde la stessa Bibbia lo lascia capire: (Es 33,23) Ritirerò la mano e mi vedrai di spalle; ma la mia faccia non si può vedere. Allora, rimane sempre una visione di Fede.
6. Considerazioni finali
I principali esempi che San Paolo mostrerà in seguito sono quelli di Noè, e poi Abramo e Sara. Le considerazioni su ognuno che San Tommaso fa nel Commento sono diverse, tutte intorno alla Fede. Di Noè afferma che per Fede temette Dio ma aggiunge la nota di ubbidienza; questo, infatti, obbedì costruendo l’Arca.
Riguardo ad Abramo, si sottolinea anche la sua obbedienza, sotto tre aspetti: riguardo alla sua abitazione (Per fede soggiornò; Eb 11,9), alla generazione (Egli aspettava infatti; v.10), alla propria condotta (il sacrificio di Isacco).
Infine, Sara, che ricevé ‘per Fede’ la possibilità di concepire. Sara non sorrise dal dubbio ma della meraviglia, e sebbene non credé la prima promessa, credé nella seconda, secondo afferma l’Angelico.[24]
Nella esposizione dei Padri antichi, l’Apostolo mostra ogni volta esempi più rilevanti di ubbidienza, e allo stesso tempo, ogni volta viene più fortemente figurato il mistero dell’Incarnazione (concepimento di Isacco da Sara è una figura ancora più forte delle precedenti). Questi esempi degli antichi padri ci preparano di modo graduale per la migliore ricezione della Fede in Cristo.
A.m.d.g.
- Carlos Pereira, IVE
[1] La fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono.
[2] Infatti, per mezzo di essa gli antichi ricevettero testimonianza. Per fede intendiamo che l’universo è stato formato dalla parola di Dio, sì che le cose visibili vennero all’esistenza da quelle invisibili.
[3] Sal 33 (32), 9: Poiché egli parlò e la cosa fu; egli comandò e la cosa sorse.
[4] Il Signore stesso l’ha creata, l’ha vista e l’ha misurata, l’ha riversata in tutte le sue opere.
[5] Mal 1,14: Maledetto il fraudolento! Egli ha nel suo gregge un maschio e ne fa voto, ma al Signore lo offre difettoso!
[6] Mt 23,35: Che ricada su di voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele …;
[7] Gen 4,10: Il Signore riprese: «Che hai tu fatto? Sento il fiotto di sangue di tuo fratello che grida a me dal suolo!
[8] Thomae Aquinae: Super Epistolam ad Hebraeos, cap. XI, l. 2 [573].
[9] Mal 2,6: Nell’integrità e rettitudine camminò con me e molti ritrasse dal male! Sal 101 (100), 6: Chi va nella via dell’innocenza, questi sarà mio ministro.
[10] Enoch piacque al Signore e fu portato in cielo, vero esempio di conversione per le generazioni seguenti.
[11] Gc 4,8: Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi; nettate le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o voi dal cuore doppio!
[12] Is 40,10: Ecco, il Signore Dio si avanza con potenza, col suo braccio egli domina; ecco: è con lui il suo premio, la sua ricompensa lo precede; Mt 20,8: Chiama gli operai e da’ loro la mercede cominciando dagli ultimi fino ai primi; Gen 15,1: La parola dell’Eterno fu rivolta in visione ad Abramo, dicendo: “Non temere o Abramo, io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà grandissima”.
[13] Cfr. Super Epistolam ad Hebraeos, cap. XI, l. 2 [576].
[14] Cfr. II- IIae, q.2, a.5
[15] Cfr. II- IIae, q.2, a.6, ad1
[16] Cfr. II- IIae, q.2, a.7
[17] Gb 19,25: Io so che il mio Vendicatore è vivo …
[18] Cfr. II- IIae, q.2, a.7, ad3
[19] Prendiamo de la versione LXX, leggermente diversa di quella della Volgata, per il primo dei versetti, con traduzione nostra: (1,27) σοφία γὰρ καὶ παιδεία φόβος κυρίου καὶ ἡ εὐδοκία αὐτοῦ πίστις καὶ πραότης (40,12) πᾶν δῶρον καὶ ἀδικία ἐξαλειφθήσεται καὶ πίστις εἰς τὸν αἰῶνα στήσεται.
[20] Sir 46,15: ἐν πίστει αὐτοῦ ἠκριβάσθη προφήτης καὶ ἐγνώσθη ἐν ῥήμασιν αὐτοῦ πιστὸς ὁράσεως ; 49,12: οὕτως Ἰησοῦς υἱὸς Ιωσεδεκ οἳ ἐν ἡμέραις αὐτῶν ᾠκοδόμησαν οἶκον καὶ ἀνύψωσαν ναὸν ἅγιον κυρίῳ ἡτοιμασμένον εἰς δόξαν αἰῶνος (Sir 49:12 LXT)
[21] Sir 49,10: καὶ τῶν δώδεκα προφητῶν τὰ ὀστᾶ ἀναθάλοι ἐκ τοῦ τόπου αὐτῶν παρεκάλεσαν γὰρ τὸν Ιακωβ καὶ ἐλυτρώσαντο αὐτοὺς ἐν πίστει ἐλπίδος (Sir 49:10 LXT)
[22] 45,4: In fide et lenitate ipsius sanctum fecit illum et elegit illum de omni carne ; ἐν πίστει καὶ πραΰτητι αὐτὸν ἡγίασεν ἐξελέξατο αὐτὸν ἐκ πάσης σαρκός (Sir 45:4 LXT).
[23] S. Th., II-IIae, 174, a.4, con riferimento a Num 12,8: Con lui io parlo faccia a faccia, facendomi vedere, e non con detti oscuri; ed egli contempla la sembianza dell’Eterno.
[24] Riguardo al commento su questi patriarchi e personaggi dell’A.T. in San Tommaso: Cfr. Super Epistolam ad Hebraeos, cap. XI, l. 3 [581-591].