IL NATALE: LA SUA DATA, CHESTERTON e BETLEMME
Natale ancora! Un’altra volta la cristianità si prepara per celebrare una delle due grande feste che hanno contribuito alla sua identità: Pasqua e Natale. Non si può negare che sia il Natale quella che è calata molto più profondamente nella sensibilità della gente, perfino dei non credenti, e nella cultura occidentale.
Vogliamo fare un piccolo accenno alla data precisa di Natale (tematica discussa, dal momento che è diffusa l’opinione che la data si deva a una ricorrenza pagana), per poi passare ad alcuni riflessioni che il grande convertito e scrittore inglese, Gilbert K. Chesterton, ci ha lasciato riguardo propriamente il Natale.
- Riguardo la data (Fonte: Rivista il Timone, n. 158, p. 51).
Si dice che per il Natale cristiano fu scelta la data del 25 dicembre solo per sostituire la festa pagana del Sole invitto.
Di per sé, anche se questo fosse vero, non sarebbe un motivo per screditare il cristianesimo, che ha talvolta voluto innestarsi su pratiche, feste e costumi sociali già esistenti, a volte ri-proponendoli (perché tutto ciò che è umanamente buono e vero il cristianesimo non lo rigetta e lo recepisce: S. Tommaso dice che tutto ciò che è vero viene in ultima analisi da Dio), a volte riformandoli e trasfigurandoli.
Detto questo, oggi numerosi studiosi ritengono che la data del 25 dicembre sia più che fondata. Infatti, basandosi sul calendario solare biblico ritrovato a Qumran (sulle rive del Mar Morto) e ricostruendo i turni di servizio dei sacerdoti ebrei, si è scoperto che Zaccaria, che quando riceve l’annuncio della nascita del figlio Giovanni era in servizio al Tempio di Gerusalemme (cfr. Luca 1,5ss.) esercitava tra il 24 e il 30 dell’ottavo mese (ultima decade del nostro settembre). La nascita del Battista avvenne dunque circa nove mesi più tardi, cioè proprio in prossimità del 24 giugno, giorno della festa liturgica di san Giovanni. Non solo: giacché Luca 1,26 colloca l’annunciazione a Maria nel sesto mese di gravidanza della cugina Elisabetta, la data del concepimento di Cristo andrebbe collocata verso fine marzo. Quindi la data del 25 dicembre (9 mesi dopo il concepimento, avvenuto a fine marzo) è del tutto logica. Inoltre, che la nascita di Cristo sia avvenuta in inverno è confermato dal fatto che i censimenti (il vangelo di Luca accenna a quello eseguito da Quirino) si svolgevano in tale stagione. Non fa difficoltà neanche la presenza dei pastori in quella stagione, perché gli inverni palestinesi erano molto miti e ciò rendeva praticabile la pastorizia. Inoltre, la fonte cristiana più antica che parla del 25 dicembre è Ippolito Romano nel 2014; a Roma invece il culto del dio Sole fu introdotto dall’imperatore Eliogabalo fra il 218 e il 222, lasciando oscillante la data della festa, poi fissata al 25 dicembre da Aureliano solo del 274.
- Il cuore di Betlemme (G. K. Chesterton, 1922)[1]
Il cuore della cittadina di Betlemme è costituita da una grotta, il santuario incavato coerente con il tradizionale scenario della Natività.[2]
Nove volte su dieci le tradizioni come questa sono vere. Le abitudini della vita di campagna la confermano pienamente, poiché è verso queste stalle sotterranee che le persone hanno sempre guidato il loro bestiame; del resto, sono i luoghi dove è di gran lunga più probabile che un gruppo di senzatetto del genere possa trovare rifugio.[3]
È curioso considerare il numero e la varietà delle raffigurazioni della storia di Betlemme. Nessun uomo che capisca il cristianesimo, comunque, si lamenterà del fatto che sono tutte diverse l’una dall’altra e tutte differenti dalla verità, o meglio, dal fatto. Il punto chiave dell’accaduto è proprio questo: il fatto avvenne in un luogo determinato del mondo umano che, però, potrebbe essere stato qualsiasi altro luogo; un colonnato al sole in Italia, per esempio, o un cottage immerso nella neve del Sussex. Ancora più curioso è che, sebbene alcuni artisti moderni abbiano fatto dell’adesione alla realtà puramente topografica delle loro opere un punto d’orgoglio, nessuno ha prodotto granché sulla verità di questo luogo sacro collocato nell’oscurità del sottosuolo.[4] Sembra strano che non sia stata posta enfasi sull’unico caso in cui il realismo lambisce veramente la realtà.
C’è qualcosa d’indescrivibile, e stimolante per l’intelletto, nell’idea che i Santi fuggitivi vengano condotti più in basso della terra stessa, come se la terra li avesse inghiottiti: la gloria di Dio come oro posto sottoterra. Forse quest’immagine è per l’arte troppo profonda, anche nel senso che s’inoltra in un’altra dimensione. Giacché sarebbe difficile per qualsiasi arte veicolare il segreto divino della grotta e, simultaneamente, la cavalcata dei re misteriosi, che calpestano la pianura sassosa, facendone vacillare il tetto.
Nondimeno, i quadri medievali rappresentarono frequentemente più scene sulla stessa tela senza rispettare l’unità di tempo o di luogo,[5] e il teatro popolare medievale, che i membri della corporazione trasportavano su ruota, prevedeva talvolta una struttura di addirittura tre piani, con una scena sopra l’altra.[6]
Un parallelo può essere trovato in quei versi eccezionali di Francis Thompson:
A est, oh, a est dell’ Himalaya
le nazioni dimorano sotterra,
celandosi al trauma del giorno,
al suono del sorgere del sole.[7]
Ma nessuna poesia, nemmeno quella dei poeti più grandi, riuscirà mai a esprimere tutti i significati nascosti nell’immagine della luce del mondo che si fa sole sotterraneo: rimangono solo queste prosaiche annotazioni a suggerire quello che un individuo provò per Betlemme.
- Betlemme nell’uomo eterno
Come accennato, presentiamo qua un estratto di quel capitolo consacrato a Betlemme dell’opera L’Uomo Eterno, di G.K. Chesterton.
«La seconda metà della storia umana, che fu come una nuova creazione del mondo, comincia pure da una caverna. C’è anche un’ombra di questa fantasia nel fatto che anche qui degli animali erano presenti: era una caverna usata come stalla dai pastori che vivevano sulle alture sovrastanti Betlemme, i quali tuttora portano le loro mandrie a pernottare in quelle grotte. Là una coppia di senzatetto s’era introdotta sotto terra in mezzo al bestiame, poiché le porte del popoloso caravanserraglio erano state loro chiuse in faccia; e proprio là sotto i piedi dai viandanti, in una cantina sotto il livello della superficie terrestre, venne alla luce Gesù Cristo. C’è davvero in questa seconda creazione qualche cosa di simbolico: le radici della roccia primitiva e le corna dell’armento preistorico. Anche Dio fu un uomo della caverna; e aveva anche tracciato strane forme di creature, colorate curiosamente, sulle pareti del mondo; ma alle sue figure aveva infuso la vita.
Tutta una letteratura leggendaria, che cresce sempre e non finirà mai, aveva ripetuto e cantato le trasformazioni di quel semplice paradosso: che le mani che avevano fatto il sole e le stelle erano troppo piccole per arrivare alle grosse teste degli animali. Su questo paradosso – possiamo quasi dire su questo scherzo – è basata tutta la letteratura cristiana. Per lo meno lo scherzo sta in ciò; che il critico scientifico non lo capisce (…)
Ogni ateo o agnostico, che nella sua infanzia abbia conosciuto veramente il Natale, avrà poi sempre nella sua mente, voglia o non, un’associazione di due idee che moltissima gente deve considerare come remote l’una all’altra: l’idea di un bambino e di una forza sconosciuta che regge le stelle (…) Ma le due idee non coincidono naturalmente o necessariamente. Non sarebbero necessariamente connesse per un greco antico o per un cinese, fossero pure Aristotele o Confucio. L’associazione di idee è stata creata nelle nostre menti dal Natale perché noi siamo cristiani; perché siamo cristiani psicologi, anche se non siamo teologi (…) Onnipotenza e impotenza, divinità ed infanzia, formano in definitiva una sorta di epigramma che un milione di ripetizioni non farà diventare banale. Non è sragionato chiamarlo unico. Betlemme è superlativamente il luogo in cui gli estremi si toccano».[8]
Quando ero bambino, una generazione più puritana non voleva su una chiesa parrocchiale una statua rappresentante la Vergine col Bambino.[9] Dopo molte discussioni, si venne a patti e fu tolto il Bambino; il che potrebbe sembrare anche più inquinato di idolatria per Maria, a meno che non si voglia giudicare la madre meno pericolosa una volta privata della propria arma. Ma la stessa difficoltà pratica ha valore di parabola. Voi non potete levare la statua della madre e lasciare il neonato. Non potete sospendere il neonato a mezz’aria; insomma, non potete fare una statua a un neonato. Egualmente non potete sospendere nel vuoto l’idea del neonato, o pensare a lui senza pensare alla madre. Non potete visitare il figlio senza pensare alla madre. Non potete visitare il figlio senza visitare la madre; non potete, nella comune vita umana, avvicinare il bambino se non attraverso la madre. Se dobbiamo pensare a Cristo sotto codesto aspetto, l’altra idea – quella della madre – ne consegue naturalmente, come nella storia. Dobbiamo o lasciare Cristo fuori del natale, o il Natale fuori di Cristo, o dobbiamo ammettere – almeno come lo accettiamo in un vecchio quadro – che quelle sante teste son troppo vicine perché le aureole non debbano confondersi insieme e sovrapporsi».[10]
[1] Di una versione non edita di un volume di Raccolte di Natale di G. K. Chesterton; introduzione di Mons. L. Negri; prefazione di F. Trevisan (gentilezza di Fabio Trevisan), pp. 20-22.
[2] A Betlemme, l’attuale Santuario della Natività a cinque navate è il frutto di progressivi restauri e ampliamenti della basilica originaria costruita su impulso di sant’Elena (248 ca. – 329) madre dell’imperatore Costantino I (274 – 337). Questa fu edificata sulla grotta che, già all’epoca, una tradizione consolidata indicava come il luogo dove Gesù è nato: «In accordo con ciò che è scritto nei Vangeli, a Betlemme si mostra la grotta in cui nacque Gesù e dentro la grotta la mangiatoia dove fu deposto, avvolto in fasce. E questo luogo è ben conosciuto anche dalle persone lontane dalla fede; in questa grotta, si dice, è nato quel Gesù amato e adorato dai cristiani» (Origene di Alessandria (185 – 254), Contra Celsum, 1,51). La Grotta della Natività costituisce la cripta dell’attuale Santuario.
[3] Cioè uomini con animali al seguito. L’uso del vocabolo homeless, «senzatetto» ben rappresenta l’acuta ironia chestertoniana: certamente stravagante se riferita a un mandriano e le sue bestie, consente al solo lettore avveduto di collegarlo a Giuseppe, a Maria prossima al parto, e all’asino che, probabilmente, avevano portato con sé per il viaggio.
[4] Uno dei capitoli centrali de L’uomo eterno, pubblicato nel 1930, sarà interamente dedicato alle implicazioni antropologiche e teologiche, cui anche qui nel seguito si fa cenno, del luogo scelto dal Figlio di Dio per nascere. Cfr. G. K. Chesterton, L’uomo eterno, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) pp. 211-230. Cfr. anche Edoardo Rialti, Quel dinamitardo di Dio, in Il foglio quotidiano del 23-12-2010 ora in Idem, L’uomo che ride. L’avventura umana e letteraria di G. K. Chesterton, Cantagalli-Il Foglio, Siena 2011.
[5] Ne sono esempi la Natività (1308-1311) di Duccio da Buoninsegna (1255 ca.- 1318), ora conservata presso la National Gallery of Art a Washington; quella dipinta nello stesso periodo da Giotto di Bondone (1267-1337) custodita nella Basilica inferiore di Assisi; e il pannello del pulpito nel Battistero di Pisa (1257-1260) scolpito da Nicola Pisano (secolo XIII, date di nascita e di morte incerte): in questo caso, la Madonna compare due volte nello stesso pannello – nell’episodio dell’Annunciazione e quello della Natività vera e propria –, come pure il Bambino – in basso mentre viene lavato dalle due levatrici, in alto a destra mentre è nella culla che riceve la visita dei Pastori.
[6] Dalla fine del secolo XIV e per tutto il secolo successivo, si diffuse in Inghilterra il genere teatrale dei mystery cycles: nel corso della stessa giornata venivano messi in scena vari drammi – i «plays» – ispirati a episodi tratti dalla Bibbia, dalla creazione del mondo al Giudizio universale. Questa forma di Sacra rappresentazione avveniva su speciali carri chiamati pageant wagons. Ogni carro, su due, quattro o sei ruote, poteva avere fino a tre livelli e ospitare macchine di scena per gli effetti speciali. I carri venivano portati lungo le strade della città; quindi, ogni dramma veniva rappresentato più volte durante lo stesso giorno. In questo modo gli spettatori potevano assistere sempre a un episodio nuovo del mystery cycle senza dover abbandonare la loro postazione (Cfr. Paul Kuritz, The Making of Theatre History, Prentice Hall, Englewood Cliffs (New Jersey) 1988, pp. 138-138 e Milly S. Barrenger, Theatre: A Way of Seeing, 6a ed. Thomson Wadsworth, Belmont (California) 2006, pp. 28-29).
[7] Francis Thompson (1859-1907), The Mistress of Vision in Brigid Boardman (a cura di) The Poems of Francis Thompson, John J. Burns Library, Chestnut Hill (Massachusetts) 2001, pp. 96-102 (p. 99). Una traduzione italiana dell’opera si trova in Francis Thompson Il Segugio del Cielo e altre poesie, a cura di Maura Del Serra, Editrice C.R.T., Pistoia 2000.
[8] Cfr. G. K. Chesterton, L’uomo eterno, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) pp. 211-213.
[9] Parla della società puritana (solo culto di Cristo) protestante dell’Inghilterra dai finali del sec. XIX.
[10] Cfr. G. K. Chesterton, L’uomo eterno, 214.
Citando dall’articolo: “Ogni ateo o agnostico, che nella sua infanzia abbia conosciuto veramente il Natale, avrà poi sempre nella sua mente, voglia o non, un’associazione di due idee che moltissima gente deve considerare come remote l’una all’altra: l’idea di un bambino e di una forza sconosciuta che regge le stelle (…)”
Vero….ma di quale bambino si tratta e che cosa rappresenta?
Le Scritture non riportano affatto alcuna data nè comandano di commemorare la nascita del Messia Yahushua, nè lo facevano i suoi primi veri discepoli, ai quali era stato comandato di commemorare soltanto la sera del suo sacrificio di riscatto!!
Cosa c’è dietro al rituale collettivo del Natale?
I discepoli seguirono moltissimi altri dati della Scrittura inoltre a quello comandato espressamente di Gesù, come perfino il calendario della Pasqua negli inizi e anche l’insistenza nei comandamenti, le frequenti citazioni della Scrittura che si trovano in San Paolo e gli Atti e gli stessi vangeli.
Riguardo alla nascita del Messia; almeno due profezie, confermate poi dal vangelo di Matteo:
Issaia 9:6 Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace,
Michea 5:2 Ma da te, o Betlemme, Efrata, sebbene tra le più piccole città principali di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni.
Matteo 2:6 “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele”».
Dunque, l’elemento della nascita del Messia è ben documentato nella Scrittura e fu portato in considerazione dagli Apostoli. Era logico che si cominciasse a celebrare come evento religioso.
D’altronde, Lei dice che il Messia precettuò di celebrare e commemorare il suo Sacrificio Redentore!! Grazie!! E’ già un inizio di capire la verità sacramentale dell’Ultima Cena. Pensavo che Lei non ci credeva afatto …