DISCORSO ESCATOLOGICO di GESU e COMPOSIZIONE del VANGELO di LUCA

In riferimento al vangelo letto nella domenica XXXIII del tempo ordinario, anno C, del rito romano.

Giudizio universale (parrocchia cattedrale di Cefalu)

Giudizio universale (parrocchia cattedrale di Cefalu)

DISCORSO ESCATOLOGICO di GESU e COMPOSIZIONE del VANGELO di LUCA

            Come capita spesso per la Bibbia, l’opinione di certi esegeti di turno, pure di grandi studiosi in alcuni casi, stabilisce dei luoghi comuni su certi affermazioni riguardo l’autenticità o meno di certi brani biblici (pure evangelici), nonché di un’intera opera. Questi luoghi comuni non godono di altro supporto che l’opinione comune di una certa maggioranza di esegeti o scuole bibliche, i quali oggi non tollerano che si pensi diversamente. In questo senso, capita anche, e non di rado, il fatto che si silenzino le opinioni di esimi esegeti e studiosi che proposero opinioni contrarie. La non conoscenza, sia delle opinioni fondate della tradizione e dei Padri, sia delle dichiarazioni storiche del magistero, così come pure delle analogie interne del testo e del paragone con dei testi paralleli, ci porta a mangiarci l’opinione ormai più diffusa come si trattasse dell’unico e necessario boccone. Eppure, tante volte si scopre che non era così, e che quell’opinione ha più punti deboli di quello che prima si pensassi …

            In questo caso, vorremo fornire un esempio al quale accenneremo brevemente: Il problema della data di composizione del vangelo di Luca, e la relazione riguardo al così chiamato discorso escatologico di Gesù in detto vangelo (Lc 21, 8-36).

  1. Sulla data di composizione del vangelo

Riguardo la data di composizione del vangelo di Luca, l’opinione più tradizionale, ma ripresa da parecchi autori, la collocava usualmente prima dell’anno 67 d.C., l’anno in che sarebbe stata la morte di Paolo Apostolo, ossia probabilmente intorno al 62-63 d.C. (o perfino prima), precedente al fine della prima prigionia romana dell’Apostolo delle genti.

Alcuni esegeti, guidati da diversi indizi, hanno azzardato una data molto più tardiva, in genere dopo l’anno 70 d.C., vale a dire, dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme.[1] Gli indizi sembrano parecchi ma nessun argomento decisivo. Questi indizi sono:

1 – Secondo un parere quasi unanime, Luca utilizza, per il vangelo, quello di Marco, dai più datato verso il 65-71 (anche questo solo probabile), come una delle sue fonti; si obietta però da parecchi che Luca pare adoperi la prima edizione di Marco, o le stesse fonti di Marco (come Phil. Rolland), che al dire di R. Pesch potrebbero risalire già agli anni 30-36!

2 – Luca avrebbe scritto nel decennio 80-90, prima della persecuzione di Do­miziano, dato che non vi è accennata; si obietta però che non vi è accen­nata neppure quella di Nerone, e perciò l’argomento potrebbe valere anche per porre la datazione prima del 64.

3 – Luca scrive dopo il 70, perché sembra precisare la predizione di Gesù sulla distruzione di Gerusalemme del 70 con due particolari che sarebbero conoscibili solo dalla distruzione già avvenuta:

– la frase «ti circonderanno di trincee (o palizzate)» (19,43) che cor­risponde a ciò che secondo Giuseppe Flavio i Romani realmente fece­ro a Gerusalemme nel 70; [2]

– in specie Luca (21, 20-24) sembra conoscere che la comunità cri­stiana fuggì prima della distruzione della città, che gli abitanti di Geru­salemme sono stati deportati fra tutti i popoli e che la città è ora calpestata dai pagani.

Altri però obiettano che non si deve esagerare neppure la portata di questi indizi, perché frasi simili le troviamo già nei clichés profetici precedenti (cfr. Dn 12,7; Zc 12,3 LXX; Tb 14,5 LXX) e corrispondevano a quello che era la prassi comune di distruzione di ogni antica città.[3]

4 – Alcuni (R. Maddox) presentano come indizi per una datazione intorno al 85, il fatto che dall’opera lucana appare già avvenuta la rottura tra l’Israele ufficiale e la Chiesa cristiana, senza più speranza che i Giudei accettino il vangelo; ora tale rottura sarebbe avvenuta solo verso l’85 col sinodo di Iamnia. Si osserva però che il rifiuto dell’ambiente ufficiale di Israele si è presentato come già avvenuto nella Lettera ai Romani cc. 9-11 (datata nel 55 d.C.), ed anzi, ancora prima (1 Ts 2, 14-16).[4]

Da questi argomenti che sono presentati, il più utilizzato è senz’altro il terzo, che guarda relazione con il chiamato discorso escatologico di Gesù, sulla distruzione di Gerusalemme e sugli eventi finali, che secondo il presupposto dei cosiddetti metodi storico-critici, dovrebbe trattarsi di una “profezia post-eventum”, la descrizione cioè, di un fatto avvenuto già in passato come si fosse ancora futuro, con linguaggio profetico. Ma tale argomento parte di un presupposto gnoseologico, non biblico, l’ammettere ‘a priori’ che non possano trovarsi profezie autentiche in un determinato testo. Svilupperemo in seguito l’argomento del discorso escatologico di Gesù nei Sinottici.

Il principale argomento invece, per supporre una datazione prima del 68 d.C. (e conseguente problema per la datazione tardiva) è il silenzio degli Atti degli Apostoli sul martirio di Paolo a Roma, il quale è sì preannunciato in questo libro, pur se non possiamo affermare che tale velate allusioni possano garantire una redazione posteriore all’evento. Gli Atti degli Apostoli sono stati scritti da Luca, che è fedele biografo di Paolo a partire del capitolo 15 in poi – ed in particolare nelle chiamate sezioni “noi” -, senza ommettere dettagli di importanza. Conclude con la prima prigionia di Paolo a Roma (At 28, 30-31), senza nemmeno indicare l’esito e la liberazione dell’Apostolo, segnale probabile che voleva pubblicare il suo volume quanto prima. Se fosse stato protagonista della morte di Paolo, l’avrebbe messo per scritto. Tenendo in conto che gli Atti vengono presentati da Luca come “il suo secondo libro” (in chiaro riferimento al “mio primo libro”, nel prologo a Teofilo; 1,1), e se il primo non è altro che il Vangelo, come si deduce della somiglianza di ambedue prologhi, questo vuol dire che il vangelo è stato composto e finito abbastanza prima dell’anno 63 – 64, che è quando Paolo si trovava sicuramente nella prima prigionia. Il parere unanime dei padri e delle testimonianze antiche, tra quelli Clemente di Alessandria, Origene, il codice muratoriano, Sant’Ireneo e San Girolamo, è che il vangelo corrisponde a Luca, proselito di Antiochia, compagno di Paolo e che è stato il terzo in essere scritto.[5] Come compagno di Paolo, non avrebbe nessun senso che avessi lasciato passare tanti anni dopo la morte di quest’ultimo per mettere la sua opera per scritto. Esiste una dichiarazione della Pontificia Commissione Biblica (PCB) al riguardo, che menzioneremo dopo.

Diversi esegeti recenti ritengono o possibile o attendibile che Luca abbia scritto il Vangelo e gli Atti verso gli anni 50-67, prima del martirio di Paolo (almeno una prima edizione). Per esempio, Ph. Rolland, che riesaminando la questione sinottica e aggiornando una sua posizione simile precedente del 1984, nel 1994 ha proposto una prima edizione del Vangelo di Luca a Efeso o Filippi verso il 54, la definitiva a Roma verso il 64.[6] Ci sono stati pure degli esegeti che avventurano una composizione primaria del vangelo in ebraico od aramaico, in cui caso la data di composizione si anticipa senza difficoltà.[7]

La dichiarazione della PCB alla quale facevamo riferimento (testo ritrovabile on-line)[8] questo afferma nel numero 6:

Domanda: E’ lecito differire la data della composizione dei Vangeli di Marco e Luca fino alla distruzione della città di Gerusalemme; oppure, visto che in Luca la profezia del Signore circa la distruzione di quella città pare più circostanziata, si può sostenere che in quel Vangelo fu scritto quando l’assedio della città era già cominciato?

Risposta: No per entrambe le parti. Non si può dunque dire che si tratti di una profezia “post-eventum”, cioè, composta dopo l’avverarsi degli eventi descritti.

  1. Il problema del discorso escatologico

            Abbiamo già riferito che il principale argomento – pur se non l’unico – per rimandare la composizione del vangelo lucano a dopo l’anno 70 d.C., era la descrizione che l’evangelista presenta sul cosiddetto “discorso escatologico di Gesù”, discorso che, con delle differenze, l’evangelista presenta insieme a Marco e Matteo. Non è dunque, un problema solo per Lc 21, 8-36, ma anche per Mt 24, 4-51 e per Mc 13, 5-36.

Abbiamo già affermato che il problema del discorso escatologico risiede nel suppore una profezia post- eventum, redatta cioè dopo gli avvenimenti descritti e non prima. Questo verte anche un’ombra di dubbio sull’autenticità della cosiddetta profezia nelle labbra dello stesso Gesù. In questo senso, il grande esegeta e fondatore della Ecole Biblique di Gerusalemme, il gran dominico M.-J. Lagrange, afferma riguardo al discorso nel vangelo di Marco: «I critici, compressi i più radicali, sono di accordo nel riconoscere l’autenticità di questa profezia. Gesù ha predetto la rovina del Tempio, essendo proprio questa una delle accuse lanciate contro di lui (Mc 14,58; Mt 26,61). Il senso della profezia è che il Tempio sarà distrutto e cesserà di essere un edificio consacrato al culto ebraico. I termini si assomigliano a quelli di Michea nell’annunciare la rovina di Gerusalemme (Mi 3,12). Il compimento è stato letterale».[9] E più avanti ancora: «Gesù, infatti, parlando ai discepoli del tempo anteriore a la rovina del Tempio, si è espresso dentro dello stile generale dei profeti che non implica più una spiegazione tropo precisa».[10] Per Lagrange, il fatto che nelle parole di Gesù si trovino annunci della distruzione del Tempio combinati, in modo un po’ velato, con degli annunci in apparenza apocalittici, è una prova dell’autenticità della profezia; ergo, della sua distesa per scritto prima che i fatti siano avvenuti.

Nel commento a Matteo, troviamo un’affermazione pure essa assai chiara: «L’accordo dei tre sinottici ci porta su un discorso comprendente due temi: la rovina di Gerusalemme e l’avvenimento del Figlio dell’uomo dopo dei segni nel cielo; questi due temi sono stati trattati sulla stessa prospettiva. Da questo accordo tra i sinottici sembra che si deva concludere che Gesù ha pronunciato questo discorso in questa circostanza e di questo modo (…) Abbiamo certo come sicuro che Gesù ha pronunciato nella circostanza indicata, un discorso dove, dopo aver predetto la rovina del Tempio prima che l’attuale generazione scompaia, annunciava anche che lui verrebbe come Maestro, a un ora che nessuno saprà».[11]

Riguardo ora il vangelo di Luca, lo stesso esegeta commenta ancora che «l’accordo tra i Sinottici mostra, infatti, che il discorso è stato pronunciato da Gesù (pur ammettendo che Luca lo presenta forse di un modo diverso)».[12] Afferma pure che i “segni che si vedranno in cielo”, menzionati da Gesù, fanno riferimento alla distruzione del Tempio, e si sono infatti annoverati secondo la testimonianza che Giuseppe Flavio, storico ebreo, racconta nella sua storia delle guerre palestinese.[13]

Ricordiamo la dichiarazione della PCB ormai citata, essendo questa commissione tale che, di accordo al suo statuto fondazionale, aveva in quegli primi anni del secolo XX la funzione di definire questione bibliche dibattute in qualità di organismo ausiliare del Magistero.[14]

Tornando a Lagrange, lui, tanti anni dopo, riafferma ancora la sua opinione: «In qualità di Messia, è profeta e come tale annunzia l’avvicinarsi della distruzione del Tempio. Egli avverte pure i discepoli di star sempre all’erta giacché il Padre si è riservato il secreto della fine dei tempi …»[15]. La citazione è di rilievo, perché ci permette di capire che, infatti, la domanda rivolta a Gesù dagli Apostoli è doppia, da una parte gli si domanda sulla rovina del Tempio, giacché Gesù aveva detto che non resterebbe di esso pietra su pietra che non fosse distrutta, dall’altra gli si domanda sui segni della sua venuta.[16] E’ difficile pensare che l’espressione “pietra su pietra”, che tutti i tre evangelisti riportano esattamente dopo l’osservazione fatta dagli Apostoli sul Tempio di Gerusalemme, possa riferirsi ad altro che al tempio stesso. Supporre diversamente sarebbe come dire che Gesù risponde di un modo equivoco.[17] Quest’ultimo viene sottolineato riguardo a quelli che suppongono che Gesù solo parla della sua Passione, ormai vicinissima, e del Tempio come il suo corpo, secondo l’uso che gli dà in Gv 2, 19-21. Si risponde, tuttavia, che quando Gesù annuncia la Passione (in tutte e tre sinottici e fino a tre volte lungo la sua vita pubblica) lo fa di un modo chiaro e preciso, senza usare nessuna immagine né metafora. Non sarebbe logico pensare che l’abbia usata proprio nella stessa settimana della sua passione e all’interno di un discorso ormai impostato in linguaggio e categorie di profezia. Tocca aggiungere anche, che la menzione che troviamo in Giovanni capita all’inizio della vita pubblica di Gesù, che è quando questo evangelista colloca la cacciata dei mercanti del tempio. I sinottici, che la collocano alla fine, evitano di menzionarla.[18]

  1. Considerazioni finali

            Gli esegeti che datano tardivamente i vangeli, trovano nel fatto storico della distruzione del Tempio e della città nell’anno 70 d.C., lo scoglio più difficile per sostenere la loro tesi, vale a dire, propriamente in quello che li dovrebbe servire di punto più fisso di riferimento. Se i sinottici fossero stati redatti dopo della caduta di Gerusalemme, non si capisce che gli autori non abbiano fatto allusione al compimento della profezia, quando sono precisamente i sinottici ad insistere nel “così si compiva la Scrittura” nei fatti della vita di Gesù.[19] E nessuno afferma che il Tempio fosse già stato devastato o distrutto nel loro tempo, lo quale è almeno strano, perché sarebbe un argomento ideale per sostenere che le profezie di Cristo si erano annoverate come lui le aveva pronunciato. Così si esprime J. Robinson (d’altronde di tradizione liberale): «Uni dei fatti più strani del Nuovo Testamento è quello che in qualsiasi proiezione sembrerebbe essere il singolo evento più databile e culminante del periodo – la caduta di Gerusalemme nell’anno 70 dell’era cristiana, e con quella il fracasso del giudaismo tradizionale basato nel Tempio – non viene menzionato nemmeno una volta come un fatto ormai successo. E’ senz’altro, predetto, ed almeno in certi casi, si assume che quelli predizioni furono scritte … dopo l’evento. Ma il silenzio è ad ogni modo tanto significativo come, per Sherlock Holmes, lo è il silenzio del cane che non abbaglia (…) Certamente che si è cercato di dare delle spiegazioni di questo silenzio. Eppure, la spiegazione più semplice [è che] nel Nuovo Testamento troviamo estremamente poca informazione posteriore all’anno 70 e che gli eventi rispettivi, che non sono menzionati, è dovuto al fatto che non erano ancora accaduti. Al mio giudizio quest’opinione esige più attenzione che quella ricevuta finora negli ambienti della critica».[20]

P. Carlos Pereira, IVE

[1] Tra questi: J. Ernst, tra il 70 – 80 d.C.; G. Rossé, tra il 80 – 90; J. A. Fitzmeyer, tra il 80 – 85; R. Pesch intorno al 90. Questi dati in: G. Leonardi, Comunità destinataria dell’opera di Luca e identità dell’autore, in San Luca evangelista, Testimoni della Fede che unisce (Atti del congresso internazionale di Padova 2000) I; Padova 2002, 187 – 215, in particolare p. 189.

[2] Cfr. Giuseppe Flavio, Bellum Iudaicum, V, 1, 1 – 2; VI,1,6.

[3] In alcune di queste ricorrenze si dà pure somiglianza con i termini impiegati in Lc (vbg. κύκλῳ: “circolo; cerchio” ed alcuni verbi composti: περικυκλόω: “circondare”); in altre la somiglianza è soltanto concettuale, benché di rilievo.

[4] Cfr. G. Segalla, Evangelo e vangeli: quattro evangelisti, quattro vangeli, quattro destinatari (La Bibbia nella storia), EDB, Bologna 1993, 249 – 244.

[5] La tradizione lo presenta come “proselito (e medico) di Antiochia”, proveniente cioè dalla gentilità. Alcune nuove ricerche avventurano, con molto fondamento, che perfino potrebbe essere stato un giudeo e discepolo del Signore (forse dai settantadue). Cfr. M. L. Rigatto, «Luca originario giudeo, forse di stirpe levitica, seguace dei “testimoni oculari” (Lc 1, 2-3). Una rilettura delle fonti più antiche …» in San Luca evangelista, Testimoni della Fede che unisce (Atti del congresso internazionale di Padova 2000) I; Padova 2002, 391 – 422. Anche G. Leonardi, Comunità destinataria, p. 192.

[6] Cf. Ph. Rolland, L’origines et la date des évangiles. Les témoins oculaires de Jésus, Éditions du Seuil, Paris 1994.

[7] La discussione in G. Leonardi, Comunità destinataria, 195-6. Cfr. anche J. Carmignac, La nascita dei vangeli sinottici, ed. Paoline, Cenisello Balsamo, 19862.

[8] Cfr. PCB http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19120626_vangelo-marco_it.html. Autore, tempo di composizione e verità storica dei vangeli secondo Marco e secondo Luca (26/6/1912).

[9] M.-J. Lagrange, Evangile selon Saint Marc, ed. Gabalda, Parigi 19202, 310-311 [traduzione nostra].

[10] Cf. Ibid., 314.

[11] M.-J. Lagrange, Evangile selon Saint Matthieu, ed. Gabalda, Parigi 1923, 453-454 [traduzione nostra].

[12] M.-J. Lagrange, Evangile selon Saint Luc, ed. Gabalda, Parigi 1924, 524 [traduzione nostra].

[13] Cfr. Giuseppe Flavio, Belli, VI, V, 3.

[14] Si può consultare il profilo originale e la storia della Pontificia Commissione Biblica (PCB) in: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_pro_14071997_pcbible_it.html. Si spiega che questo profilo viene cambiato a partir della bula Sedula cura, di Paolo VI (1971), dove la commissione inizia a prendere il carattere di organismo di consultazione, ma rimane certo che i documenti e dichiarazioni emanate in precedenza continuano a conservare il suo carattere di decisioni definitive.

[15] M.-J. Lagrange, L’evangelo di Gesù Cristo, ed. Morcelliana, Brescia 19556, 436.

[16] La domanda degli Apostoli a Gesù si legge in Mt 24,3; Mc 13,3 e Lc 21,7. Sebbene tutti e tre presentano la domanda come doppia, si può dire che sia Matteo quello che distingue i due aspetti più adeguatamente. Ad ogni modo, sarà Luca quello che, nella risposta di Gesù, esporrà i due momenti in modo più circostanziato, con quel riferimento al “tempo delle nazioni” (21,24). Le differenze trovate fra tutti i tre evangelisti si può spiegare forse alla interdipendenza di un sinottico riguardo all’altro, anche a intenzioni redazionali diverse da ogni evangelista, insieme alle differenze apparse nella traduzione in greco di un discorso così lungo e difficile, partendo dal supposto – come è ovvio – che Gesù lo ha pronunciato in lingua semitica.

[17] Ricordiamo che Luca ancora usa la stessa espressione, riferita questa volta alla distruzione dell’intera Gerusalemme, in 19,44.

[18] Sia che si tratta di due fatti diversi della vita di Gesù, sia che si tratti di un unico evento che i evangelisti piazzano in momenti diversi, rimane vero che i sinottici non menzionano “tempio” al posto di “corpo” in vicinanza alla Passione.

[19] In Mc 15,28; Lc 4,21 e altrove.

[20] Cfr. Robinson J., Redating the New Testament, Wipf and Stock Publishers, Eugene-Oregon, 2000, 13-14; citato da M. Fuentes IVE, Comentario al evangelio de San Lucas, Ed. Ap. Biblico, San Rafael 2015 (ed. digitale), 454-5 [traduz. nostra].

Se vuoi la versione del articolo in PDF, la trovi qui.

Articolo sul discorso escatologico nei tre sinottici ed interpretazione particolare (soltanto in spagnolo), in: http://biblia.verboencarnado.net/2014/11/23/el-discurso-escatologico-de-cristo/

 

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