Temi esegetici di Natale: SAN GIUSEPPE il GIUSTO nel VANGELO DI MATTEO

Temi esegetici di Natale: SAN GIUSEPPE IL GIUSTO nel VANGELO DI MATTEO

            Il vangelo di Matteo e quello di Luca sono gli unici due testi canonici che presentano scene della vita nascente di Gesù e dei misteri che la preparano, come l’Annunciazione, la Visitazione, annuncio ai padri di Giovanni Battista, Fuga in Egitto, ecc. Questi racconti, in uno e altro vangelo canonico, ricevono il nome di vangeli dell’infanzia.        

Philippe de Champaigne: Il sogno di SanGiuseppe

    La figura di Giuseppe – chiamato “uomo giusto” dal testo sacro (Mt 1,19) – si delinea con speciale rilievo nel vangelo di Matteo, in particolare quando, ancora promesso sposo di Maria, seppe della grande opera che Dio aveva operato in Lei, pur se questa superava enormemente tutte le sue aspettative e la sua comprensione.[1] Giuseppe prese allora una decisione, la quale, senza dubbio, è stata frutto di un gran sacrificio e dolore, e che l’antico e tradizionale testo dell’edizione Vulgata presenta in questo modo: Ioseph autem vir eius cum esset iustus et nollet eam traducere voluit occulte dimittere eam (Mt 1,19).[2]

            La sentenza in questione è stata tradizionalmente tradotta in questo modo: Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto.[3] La versione nuova del lezionario, che ne riproduce il testo biblico revisionato, pure esso dalla CEI, presenta un testo assai diverso: Giuseppe suo sposo, perché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Il commento accanto afferma che: «La traduzione è più rispettosa del originale e più comprensibile in italiano dalla precedente: non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto».[4] Non entriamo in merito né in discussione circa la comprensione in italiano di questa nuova traduzione. Una frase può essere più comprensibile per la maggior parte delle persone oggi perché è più appropriata per la lingua corrente o perché più semplificata in termini di idea o concetti espressi, ma questo non è necessariamente sinonimo di fedeltà all’originale e non garantisce che la ricchezza dei contenuti dei concetti originali rimarrà invariata. In questo caso, saremo in presenza di un cambiamento di contenuto della frase, il quale, pur se fatto con buona volontà e intenzione, non rifletterebbe lo scopo per il quale si confeziona una traduzione ufficiale. Cercheremo appunto di rispondere a questa domanda, tramite questo umile contributo. Sappia il lettore scusare la limitatezza della nostra analisi; benché speriamo nonostante di sforzarci al massimo.

  1. Il testo originale greco, i termini e i paralleli

Allo scopo di esaminare la fedeltà al testo originale, conviene dunque analizzare il testo greco, il quale, secondo le edizioni critiche più autorevoli, si presenta in questo modo per Mt 1,19: Ἰωσηφ δε ὁ ἀνήρ αὐτῆς, δίκαιος ὢν και μη θελων αὐτην δειγματίσαι, ἐβουλήθη λάθρᾳ ἀπολῦσαι αὐτήν.[5] Esiste solo una lezione variante di poca importanza che analizzeremo dopo.

Abbiamo sottolineato il verbo δειγματίσαι (deigmatìsai), forma infinita dell’aoristo attivo di δειγματίζω. È il verbo che dettaglia la volontà di Giuseppe di non esporre Maria a una situazione infamante. Il prestigioso dizionario di Lidell-Scott espone i seguenti significati.[6] Come transitivo: fare uno spettacolo di (Col 2,15), fare un esempio di (per Mt 1,19), fornire un prototipo (specialmente con il verbo apolyúo); come intransitivo: apparire (per pubblica ispezione); esporre, far vergognare. Il senso è sempre peggiorativo, nel senso di esporre a infamia o vergogna. È così come ricorre in Col 2,15, l’altro testo dove appare in forma aoristo dell’indicativo, e in questo caso la differenza fra le traduzioni non è molto grande. Il testo è: ἀπεκδυσάμενος τας ἀρχας καὶ τας ἐξουσίας ἐδειγμάτισεν ἐν παρρησίᾳ, θριαμβεύσας αὐτους ἐν αὐτῷ.[7]

Si capisce pure che si tratta di esporre a una vergogna o disonore pubblico. In conseguenza, sia la traduzione: esporre all’infamia, come: al pubblico ludibrio sembrano giuste. Ci domandiamo dunque: La traduzione dell’antico lezionario della CEI: ripudiarla, è giusta o meno? Sembra far riferimento al libello di ripudio che Mosè aveva prescritto di concedere alla moglie in certi casi, per congedarla e cancellare il matrimonio. Il secondo vocabolo che ci interessa nel testo di Mt 1,19 è il verbo ἀπολῦσαι (apolyùo), che significa: congedare, mandare via, comune nei Vangeli ma che molto frequentemente viene usato per il soggetto del divorzio matrimoniale, in concreto quando si interroga a Gesù su la legittimità di congedare la moglie. Così in Mt 19,3.7.8; Mc 10,2.4.[8] Non sembra dunque esagerato tradure la frase come ripudiarla, poiché in questo modo, il primo dei due verbi: deigmatìsai, fa riferimento al ripudio della sposa o promessa sposa (il che significava, in effetti, esporla al pubblico ludibrio), e il secondo verbo: apolyùo, al fatto di congedarla, e a farlo segretamente, precisamente per non infamarla.

Sembra invece totalmente esagerato tradurre il primo verbo come: accusarla pubblicamente, dal momento che una accusa richiede un’azione molto più attiva e decisa, e una convinzione di colpevolezza da parte di Giuseppe in questo caso, cosa che né il testo né il contesto permette di supporre, e che risulta inoltre contraria all’opinione della maggioranza dei commentatori di sempre.

Alcune lezioni varianti, come abbiamo anticipato, leggono: παραδειγματίσαι per Mt 1,19, del verbo παραδειγματίζω (paradeigmatìzo), che ricorre in Eb 6,6 e può avere un senso più forte.[9] Ad ogni modo, non è la lettura maggioritaria né quella scelta dalle edizioni critiche più autorevoli.

Per quanto riguarda ἀπολῦσαι (apolyùo), significa in genere congedare, sciogliere. Se per il verbo precedente si abbia scelto di tradurre: accusare, sembra quasi un imperativo tradurre ora apolyùo come ripudiare, solo che abbiamo visto che la traduzione del primo verbo sembra esagerata. È molto più logico tradurre allora come: rimandarla o licenziarla, perché è conseguenza di una decisione, da parte di Giuseppe, di non contrarre matrimonio; ambedue non erano infatti ancora sposi. Qundi, ripudiare non dovrebbe essere la lettura più adatta per questo secondo verbo, essendo più conveniente invece quella di licenziare o rimandare.

  1. Il testo latino

Il testo latino della Volgata di San Girolamo, secondo quanto già esposto, legge del seguente modo: Ioseph autem vir eius cum esset iustus, et nollet eam traducere: voluit occulte dimittere eam. La versione Neo Vulgata riproduce esattamente, il che è un indicativo che non si è vista la necessità di correggere la lettura per alcun motivo.

Traducere in latino, del verbo “traduco”, inoltre all’aspetto grammaticale, ha una pluralità di significati molto grande nella lingua latina, superiore sicuramente alla comprensione del verbo in greco che pretende tradurre. Secondo la maggioranza dei dizionari, questi sarebbero i significati in ordine di importanza o utilizzazione:

  • Trasportare, trasferire, condurre al di là, far passare attraverso, davanti, oltre; condurre, far andare o venire in un luogo, vale a dire: significati che esprimono un certo moto locale.
  • Riferito invece a una opinione o idea: indirizzare, volgere l’animo, rivolgere il discorso, impiegare forze.
  • Riferito a un grado o carriera o pure a un partito o fazione: promuovere, far avanzare, conquistare, far passare dalla propria parte, guadagnare a una causa.
  • Esibire, sfoggiare, esporre, mettere in mostra, ridicolizzare, svergognare, esporre allo scherno, prendere in giro.

Si conclude, da quello sposto, che i significati che ci interessano sono in quarto luogo; essendo perciò una derivazione del significato del verbo, dovuta all’ampiezza del suo campo semantico. Si potrebbe capire perché la Vulgata abbia scelto traducere; si cercava di esprimere la difficile decisione di Giuseppe di non mettere Maria a rischio o infamia, cosa che potrebbe aversi seguita dovuto allo straordinario dell’intervento di Dio in lei, e all’impossibilità, per il comune della gente, di essere in grado di capire quel mistero. Avendo delle sfumature leggermente diverse, traduco si adatta alla delicatezza del caso. Con ogni probabilità, se San Girolamo avesse voluto dire: “non voler accusarla pubblicamente”, avrebbe utilizzato il verbo accuso, di perfetto e preciso significato in latino.

  1. Commento

Sposalizio della Vergine – Giotto – Basilica superiore Assisi

Sales si fa eco dell’opinione tradizionale, secondo la quale Giuseppe era convinto non solo dell’innocenza di Maria, ma perfino di trovarsi di fronte a un grande e incomprensibile mistero, del quale sceglie di allontanarsi per non ostacolare i piani di Dio: «Giuseppe… essendo giusto… vale a dire zelante dell’osservanza della legge, non poteva accettare in sposa una donna nelle condizioni di Maria; ma d’altra parte, non potendo fondatamente dubitare della fedeltà di lei, non voleva esporla al disonore di darle un pubblico libello di ripudio, o di trascinarla davanti ai tribunali, dai quali sarebbe stata condannata alla lapidazione. Egli perciò pensava al modo di disfarsi segretamente di lei».[10]

La tradizione al riguardo è molto antica e ancorata nei grandi Padri e dottori della Chiesa. Così commenta questo brano San Bernardo, ad esempio: «Ma perché licenziarla? … Per la stessa ragione, dicono i Padri, che spingeva Pietro a respingere il Signore con le parole: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore” (Lc 5,8). Allo stesso modo il centurione non volle che il Signore entrasse nella sua casa: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto” (Mt 8,8). Giuseppe, che si considerava peccatore, pensava di essere indegno di tenere più a lungo a casa sua una donna la cui eccellenza e superiorità gli ispiravano venerazione e timore. La vedeva portare il segno sicuro della presenza divina; incapace di comprendere il mistero, voleva licenziarla. San Pietro ha avuto timore dell’onnipotenza divina; il centurione è stato intimidito dalla presenza della maestà di Cristo. Giuseppe, in quanto uomo, si è spaventato di fronte a un miracolo così nuovo e a un mistero così impenetrabile; perciò ha pensato nel segreto di licenziare Maria. Non stupitevi di vedere Giuseppe stimarsi indegno di vivere accanto alla Vergine incinta; anche Santa Elisabetta, alla vista di Maria è stata presa da timore e rispetto: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1,43)».[11]

Nel suo commento a Matteo, Tommaso di Aquino presenta diverse opinioni: Secondo lui, Agostino mantiene che Giuseppe sospettò di Maria e di una sua possibile infedeltà, ma essendo giusto non solo in genere ma in particolare (vale a dire, “più pio che giusto”) non voleva denunciarla né far pubblica la sua situazione (nella stessa linea di Raban che afferma che “era giusto e devoto”). Origene e Girolamo invece, ritengono che Giuseppe non ebbe affatto sospettato di Maria. «Lui conosceva realmente la castità di Maria; aveva letto nella Scrittura che una vergine avrebbe concepito (Is 7,14 e 11,1): Una stirpe uscirà dalla stirpe di Jesse, e un rampollo spunterà dalle sue radici, ecc. Sapeva anche che Maria discendeva dalla linea di David. Era più facile per lei credere che (queste promesse) stessero accadendo in lei che [credere] che lei avesse fornicato. E così, considerandosi indegno di coesistere con tale santità, ha voluto mandarla via segretamente, come disse Pietro: Lungi da me, Signore, perché sono un peccatore (Lc 5,8). Non ha quindi voluto tradurla [in giustizia], vale a dire [secondo l’etimologia di traducere] attirarla o trascinarla a lui e prenderla come moglie, ritenendosi indegno».[12]

  1. Conclusione

Il primo scopo di una traduzione consiste nell’essere fedele al testo originale, e nel possibile, anche a tutte le sue sfumature e significati, e sempre dentro questi limiti si cercherà pure di essere accessibile al lettore odierno. Ma senza un senso di stretta fedeltà ai termini originali una traduzione non può mai essere considerata giusta, giacché per forza cambierà il significato del testo, non ne rispetterà il contenuto e l’essenza del suo messaggio.

Adattarsi a un pubblico udente non significa forzare il linguaggio per renderlo popolare o usare parole con le sfumature con le quali oggi vengono usate, al meno non sempre. È da pensare che il pubblico lettore deve prima possedere un certo livello di conoscenza della propria lingua per leggere la Scrittura, lo stesso che serve per legger un libro di facile o mediana accessibilità. Non significa avere come stemma e scopo l’usare sempre e in ogni circostanza un linguaggio popolare, e meno se questo cambia il senso dei termini originali. Per questo serve, inoltre a una conoscenza delle lingue originali della Scrittura, essere al corrente di come il testo è stato tradizionalmente interpretato dagli autori più autorevoli, il che è particolarmente utile nel caso dei testi difficili, là dove i termini presentano pure un ventilabro di significati più grandi. Così come è utile il contesto prossimo del termine stesso, lo è pure il contesto storico della sua interpretazione.

Il prologo del libro del Siracide, confezionato dal nipote dell’autore sacro, espone in modo meraviglioso queste idee: Chiederà perfino delle scuse se, per caso e nonostante l’impegno posto nella traduzione, «sembrerà che non siamo riusciti a rendere la forza di certe espressioni. Difatti, le cose dette in ebraico non hanno la medesima forza quando vengono tradotte in altra lingua. E non solamente quest’opera, ma anche la stessa legge, i profeti e il resto dei libri nel testo originale conservano un vantaggio non piccolo». Quanto detto dall’ebraico dell’Antico Testamento, sarà anche utile per il greco del Nuovo Testamento. Se ci sarà sempre un certo difetto nel rendere la traduzione giusta, sarà al meno necessario che questa cerchi di essere il più giusta e precisa possibile. Pur se importante e degno di certa considerazione, non è il cercare di essere popolare o aggiornato il primo scopo che un traduttore deve avere in vista, ma la fedeltà al testo che traduce.

P. Carlos Pereira, IVE

[1] Mt 1,18: Prima che fossero venuti a stare insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.

[2] La edizione ufficiale chiamata Neo (nova) Vulgata presenta lo stesso testo. Questa nuova edizione, ispirata sulla edizione critica di San Pio X del 1907, fu commissionata dal Concilio Vaticano II e completata nel 1979, considerata quella sulla quale tutte le altre traduzioni devono fare riferimento.

[3] Versione del lezionario della Conferenza episcopale italiana (CEI), 1981; vol. Tempi forti, 67. Altre versioni: Or Giuseppe marito di lei, essendo giusto e non volendo esporla all’infamia, prese consiglio di segretamente rimandarla (La Sacra Bibbia: Il Nuovo Testamento commentato; di P. Marco M. Sales, O.P. [Testo latino Vulgata e versione italiana]; Torino 1911 (Matteo 1, 17-23); p.7). Il suo sposo Giuseppe, che era giusto e non voleva esporla al pubblico ludibrio, decise di rimandarla in segreto (La Bibbia: nuovissima versione dai testi originali; ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 19906, 1319).

[4] Cfr. Bibbia: Via, verità e vita (secondo il testo della CEI); ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 20092, 2055.

[5] Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece, Sttutgart 199327, 2.

[6] Cfr. H.G. Lidell- R. Scott, Greek English lexicon, Oxford 1996, 372.

[7] Avendo privato della loro forza i Principati e le Potenze, ne ha fatto pubblico spettacolo, trionfando su di loro in Cristo (La Sacra Bibbia; CEI, ed. San Paolo 2009, 2055); Spogliati i principati e le potestà, li menò, gloriosamente in pubblica mostra, avendo di essi trionfato in sé stesso (Sales, Il Nuovo Testamento commentato, Torino 1911, 332).

[8] «È lecito ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?» (Mt 19,3).

[9] Un senso di: contendere, che è vicino ad accusare. Ad ogni modo, per Eb 6,6 molte delle versioni leggono di uguale modo che con l’altro verbo: Poi sono caduti, è impossibile ricondurli di nuovo al ravvedimento perché crocifiggono di nuovo per conto loro il Figlio di Dio e lo espongono a infamia.

[10] M. Sales, O.P., La Sacra Bibbia: Il Nuovo Testamento; op.cit.; p.7.

[11] San Bernardo, Omelie sulle parole del Vangelo: “L’angelo fu inviato”, n. 2, 13-15.

[12] Tommaso d’Aquino, Lecture de l’évangile selon St. Matthieu, c. I, lez.4 [17-20], traduzione nostra dell’edizione di http://docteurangelique.free.fr.

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2 commenti

  1. Ugo Biheller

    Buon pomeriggio, Padre, vorrei sapere se il ripudio era presso gli ebrei al tempo di Gesù un atto pubblico. Ilcapitolo 24 del Deuteronomio indicherebbe che il ripudio era un atto pubblico. Come poteva San Giuseppe, il Giusto, ripudiare Maria in segreto? Ho capito bene l’intenzione dello sposo che considerava innocente Maria anche se non riusciva capire la gravidanza,ma il ripudio in segreto, mi sembra che non fosse possibile-

    • P. Carlos Pereira, IVE

      Appunto per questo ho detto che preferisco la traduzione classica: “Licenziarla (congedarla) in segreto”, il che consisterebbe in quel caso nel non andare oltre con le nozze (erano promessi sposi). Di fatto, per me ripudiare in segreto non va bene, dal momento che non erano ancora sposi. Buon Anno e che Dio la benedica.

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