Si afferma che Giovanni abbia plasmato nel suo Vangelo, il tentativo più nobile ed elevato riguardo la contemplazione del mistero di Cristo. Cercheremo di mostrare il perché di: Giovanni evangelista e la contemplazione del mistero di Cristo
Sappiamo che la visione del profeta Ezechiele su “i quattro viventi”, è stata applicata, nella tradizione della Chiesa, ai quattro evangelisti. Ognuno dei viventi avevano una faccia di uomo, tutti e quattro una faccia di leone a destra, una di bue a sinistra, e tutti e quattro una faccia di aquila (cfr. Ez 1,10).
Al apostolo Giovanni è stato sempre attribuita l’immagine dell’aquila, dal momento che si considerava l’evangelista che più alto ha volato nella contemplazione del mistero di Cristo. Scriveva già Sant’Agostino, nella sua opera De Consensu Evangelistarum (“Della concordanza degli evangelisti”), che «gli altri Evangelisti nei loro Vangeli ci istruiscono sulla vita attiva; Giovanni invece ci istruisce sulla vita contemplativa».
A questo proposito, San Tommaso di Aquino, nel suo commento al quarto vangelo, afferma su Giovanni: «Poiché mentre gli altri tre Evangelisti, che si sono interessati di quello che Cristo ha operato come uomo, sono raffigurati da esseri viventi che camminano sulla terra (uomo, vitello o bue, leone); Giovanni, il quale si è elevato al di sopra della nube della fragilità umana, come un’aquila che vola, ha fissato con gli occhi acutissimi dell’anima la luce della verità immutabile, cogliendo la Divinità stessa di nostro Signore Gesù Cristo per cui questi è uguale al Padre, cercando di esprimerla e di inculcarla nel suo Vangelo, nella misura che ritenne accessibile alle esigenze di tutti. A proposito di questo volo di Giovanni leggiamo nel libro di Giobbe (39,27): Che forse al tuo comando si leva in alto l’aquila? ossia Giovanni. E ancora: I suoi occhi scrutano lontano, appunto perché egli contemplò con l’occhio della mente il Verbo di Dio nel seno del Padre».
Aggiungerà pure che la contemplazione di Giovanni viene caratterizzata con tre aggettivi, corrispondenti ai tre modi in cui viene contemplato il Signore Gesù: essa viene descritta come sublime, ampia e perfetta. Sublime, perché “vidi il Signore assiso sopra un trono eccelso ed elevato” (parafrasando Is 6,1); ampia, perché “tutta la terra era piena della sua divina maestà”; perfetta, perché “ciò che era sotto di lui riempiva il tempio”.
Circa la prima di tali caratteristiche si noti che la sublimità del contemplare consiste soprattutto nella conoscenza e nella contemplazione di Dio, in concreto del Verbo Incarnato. Ora, in tale contemplazione di Giovanni relativa al Verbo Incarnato troviamo quattro tipi di altezza: quella della causalità o potenza (perché è un modo di giungere alla conoscenza di Dio il contemplare la sua potenza e come ha creato le cose), quella dell’eternità, perché ha la massima immutabilità, quella dell’eccellenza o nobiltà di natura, e quella della sua infinitudine o incomprensibilità, il che vuol dire – come lo stesso Giovanni afferma nel suo Vangelo: Dio, non lo ha mai visto nessuno (Gv 1,18).
Perciò, la contemplazione di Giovanni fu davvero sublime e rispetto alla causalità e potenza del Verbo, e alla sua eternità, eccellenza e incomprensibilità. Contemplazione che Giovanni ci comunica nel suo Vangelo.
Questa contemplazione fu altresì ampia. Poiché una contemplazione è ampia quando uno è con essa in grado di scorgere nella causa tutti gli effetti che ne derivano; vale a dire quando non solo conosce la natura della causa, ma anche la sua virtù in forza della quale si estende a molteplici effetti. In proposito si legge (Siracide 24,23): Essa trabocca di sapienza come il Pison e come il Tigri nei giorni delle primizie; e nei Salmi (65 [64],10) è detto: Il fiume di Dio è colmo di acque. Poiché ben alta è la scienza che la sapienza di Dio possiede di tutti gli esseri, come sta scritto (Sap 9,9): [Fin dal principio] con te è la sapienza, che conosce le tue opere.
Ora, l’Evangelista Giovanni essendo stato elevato alla contemplazione della natura divina e dell’essenza del Verbo, come indicano le sue parole: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio», passa subito a rilevare la virtù con la quale il Verbo estende la sua azione su tutte le cose: «Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui». Ampia perciò risulta la sua contemplazione. Ed ecco perché nel passo citato del Profeta (Is 6,1), dopo aver affermato: «Vidi il Signore assiso…», aggiunge quasi subito, accennando alla sua virtù: «Tutta la terra era piena della sua maestà». Vale a dire: tutto quanto riempie l’universo deriva dalla maestà e potenza di Dio, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, e la cui luce illumina ogni uomo che viene nel mondo. Del Signore è la terra e tutto ciò che la riempie, dice il Salmista (Sal 24 [23],1).
In terzo luogo la sua contemplazione fu perfetta. Poiché tale atto è perfetto quando colui che contempla viene sollevato fino all’altezza della realtà contemplata. Infatti, se si rimane a un livello inferiore, per quanto sublime possa essere l’oggetto contemplato, la contemplazione non è perfetta. Quindi per essere tale occorre che essa s’innalzi e raggiunga la finalità propria della realtà contemplata, con l’adesione e il consenso della volontà e dell’intelletto alla verità che si contempla. «Conosci tu forse nella sua perfezione il percorso delle nubi?», si chiede Giobbe (37,16), cioè la contemplazione dei predicatori (evangelici), in quanto aderiscono fermamente col volere e con l’intelletto alla somma verità contemplata?
Orbene, siccome Giovanni insegnò non solo che il Cristo Gesù, Verbo di Dio, è Dio elevato al di sopra di ogni essere, e che per mezzo di lui tutto è stato creato; ma altresì che siamo stati santificati per mezzo di lui e che a lui aderiamo mediante la grazia che egli ci infonde (dice infatti [Gv 1,16]: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia»), è evidente che la sua contemplazione è perfetta. E tale perfezione viene accennata da quelle parole del testo: Ciò che era sotto di luì riempiva il tempio.
Infatti, come spiega san Paolo, «capo di Cristo è Dio» (1 Cor 11,3). Le cose invece che sono al di sotto di Cristo sono i sacramenti della sua umanità, mediante i quali i fedeli vengono colmati dalla pienezza della grazia. Di qui le parole: Ciò che era sotto di luì riempiva il tempio, ossia i fedeli, i quali costituiscono il tempio santo di Dio, come nota san Paolo (cfr. 1 Cor 3,18); giacché mediante i sacramenti della sua umanità tutti i seguaci di Cristo partecipano la pienezza della sua grazia. Dunque la contemplazione di Giovanni fu ampia, alta e perfetta.