Insegnamento del Magistero sulla Genesi

Adamo ed Eva nel Paradiso

  Continuiamo con l’esposizione precedente sul insegnamento del Magistero ecclesiastico sul Pentateuco e sulla Genesi.

       La distinzione tra ‘fondo’ e ‘forma’ in un racconto biblico, sia la Genesi o un altro, non può essere considerata in se stessa una falsità. In qualsiasi racconto possono differenziarsi i contenuti (o fondo) da ciò che a volte sembra essere la forma, vale a dire, il modo di strutturare le idee o i concetti (forma interna) o le espressioni stesse ed i termini utilizzati (forma esterna). In entrambe le tipologie di forma, possono darsi anche delle variazioni e sfumature diverse. L’autore sacro o agiografo, un uomo che conserva tutte le sue facoltà e caratteristiche anche quando è ispirato dallo Spirito Santo per scrivere la Parola di Dio, lascia inevitabilmente le sue tracce, tracce che si rivelano essere diverse da quelle di un altro agiografo.

            L’organismo oggi conosciuto come Pontificia Commissione Biblica (PCB) era stato costituito da Leone XIII con la lettera apostolica Vigilantiae studiique del 30 ottobre 1902 (ASS 35 [1902-1903], 234-238). Il Sommo Pontefice assegnò alla nuova istituzione un triplice compito: a) promuovere efficacemente fra i cattolici lo studio biblico; b) contrastare con i mezzi scientifici le opinioni errate in materia di Sacra Scrittura; c) studiare e illuminare le questioni dibattute e i problemi emergenti in campo biblico. Era anche composta di Cardinali, come i dicasteri romani, ed era un pieno organo di assistenza del magistero, con possibilità di risolvere delle questioni suscitate.[1] Anche San Pio X concesse alla commissione ampie competenze riguardo le emergenti questioni e le controversie bibliche, provocate dalla critica moderna. Dal 13 febbraio 1905 sino al 17 novembre 1921 la Commissione Biblica emanò 14 decreti (o decisioni) e 2 dichiarazioni in forma di risposta ai quesiti o ai dubbi proposti. A queste si sono aggiunti altri due decreti, nel tempo di Pio XI.[2]

       Intervenendo nelle questioni e nei problemi che venivano suscitati circa l’interpretazione della Genesi, sia per le teorie già in voga come per le nuove teorie scientifiche, la Commissione emanò nel 1909 un decreto con otto articoli, circa il carattere storico dei primi tre capitoli della Genesi. I documenti erano redatti in quel periodo di un modo particolare, con dei quesiti concreti ai quali si rispondeva con un “si” o con un “no” e con l’eventuale aggiunta di qualche spiegazione. Nel caso concreto di questo documento, i tre primi articoli dichiaravano inammissibili i sistemi che negavano o riducevano troppo la storicità della Genesi; i tre seguenti lasciavano qualche spazio all’esegeta per l’interpretazione (il che è importante, perché mostrava che esisteva senz’altro spazio per essa); gli ultimi due davano qualche regola più precisa di interpretazione.

            Bisogna chiarire che qualche anno prima, la stessa PCB aveva risposto a un quesito con una breve dichiarazione, nella quale si diceva che non si poteva accettare come principio di retta esegesi, la sentenza che sosteneva che i libri chiamati ‘storici’ della Bibbia non contenevano storia propria e oggettivamene vera, ma che riflettevano solo “l’apparenza della storia” per manifestare qualche cosa di diverso del senso propriamente storico e letterale delle parole. La precisazione è interessante poiché afferma l’identità tra la lettera del testo e la storicità per i libri considerati storici. Questi raccontano storia, “eccetto il caso, che non si deve ammettere facilmente o con leggerezza, nel quale, senza opporsi al senso della chiesa e salvo sempre il suo giudizio, si provi con solidi argomenti che l’agiografo non intese riferire una storia vera e propriamente detta, ma sotto il genere e la forma di storia, intese proporre una parabola o una allegoria o qualche altro significato diverso dal senso propriamente letterale o storico delle parole”.[3] In altre parole, l’esistenza di una forma letteraria esterna o interna non altera il contenuto o fondo storico, tranne che se in un senso esplicito si potesse capire che l’autore sacro non ebbe l’intenzione di narrare storia.

            Fatto questo chiarimento, possiamo andare agli articoli:

1 – Il primo rispondeva alla domanda se i diversi sistemi esegetici in voga in quel momento, che sotto pretesa di apparente scientificità escludevano il senso storico letterale dei primi capitoli della Genesi, erano tali da ritenersi saldamente fondati. La risposta era appunto negativa, vale a dire, questi sistemi non erano sufficientemente fondati da considerarsi ‘a priori’ come capaci di negare il senso storico.

2 – Il secondo passava già ai particolari: Avendo affermato quindi, il senso storico di quei capitoli, si aggiungeva il legame di questi con i capitoli seguenti, la testimonianza della stessa Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) su quei capitoli, il pensiero dei Padri e la tradizione sia ebraica che cristiana; si domandava allora se era dunque possibile che quei tre capitoli non contenessero delle narrazioni oggettive e storiche, ma soltanto favole recate dalle mitologie antiche e adatte alla fede monoteistica dall’autore sacro, e soltanto proposte in ‘forma storica’. La risposta era negativa.

            Questa seconda è molto rilevante, giacché valutava il peso della testimonianza stessa della Scrittura (testimonianza interna), più di quella esterna della Tradizione (ebraica e cristiana) e dei Padri, in favore della storicità della Genesi, come superiore e di più valore che le teorie – dette già prive di fondamento- che le consideravano miti o leggende, anche se fosse soltanto parzialmente. Si diceva inoltre che non si poteva insegnare allora contrariamente a quanto sentenziato da questo articolo.

3 – Il terzo enumerava, in dettaglio, i fatti più legati con la fede cristiana, e raccontati in quei capitoli, dei quali non si poteva in assoluto mettere in dubbio il suo senso storico letterale: la creazione di tutte le cose operata da Dio all’inizio del tempo; la particolare creazione dell’uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l’unità del genere umano; la felicità originale dei progenitori nello stato di giustizia, integrità e immortalità; l’ordine dato da Dio all’uomo per mettere alla prova la sua obbedienza; la trasgressione dell’ordine divino per istigazione del diavolo sotto l’apparenza di un serpente; la perdita dei progenitori di quel primitivo stato d’innocenza; e la promessa di un Redentore futuro.

4 – Il quarto introduceva già quello che è il lavoro dell’esegeta, vale a dire il lavoro di interpretazione. Si riconosceva che perfino i Padri ed i Dottori avevano suggerito delle interpretazioni diverse su quei capitoli, senza lasciare alcunché di definito. Si dichiarava allora che, salvo giudizio della Chiesa (su le questioni già definite o su altre da definire) e mantenuta l’analogia della Fede (la connessione e non contradizione delle verità bibliche tra di loro), era permesso seguire e difendere quella opinione che ciascuno giudicava come la più prudente. Vediamo come il Magistero distingueva adeguatamente, dunque, tra quello che è testo e quello che ne è la sua interpretazione.

5 – Un’altra regola per l’interpretazione dava anche libertà, nel senso che avvertiva che non bisognava prendere sempre e necessariamente in senso proprio tutte e singole le parole e le frasi di quei capitoli, specialmente quando quelle espressioni venivano utilizzate in un senso manifestamente improprio, metaforico o antropomorfico, obbligando la ragione a sostenere quel senso o quando la necessità obbligava ad abbandonarlo.

6 – Il seguente articolo affermava allora, come conseguenza del precedente, che era possibile utilizzare sapiente e prudentemente un’interpretazione allegorica o profetica per alcuni passi di quei capitoli, presupponendo il senso letterale o storico, come era regola e seguendo l’esempio dei santi Padri e della Chiesa stessa.

7 – Il settimo dava una regola molto precisa di interpretazione: Non bisognava cercare scrupolosamente e sempre la proprietà del linguaggio scientifico in quei racconti, dal momento che l’autore non aveva avuto l’intenzione di insegnare scientificamente la costituzione intima delle cose e l’ordine completo della creazione, ma solo di fare un racconto popolare conforme al linguaggio comune dei suoi contemporanei.

8 –L’ultima regola di interpretazione si riferiva alla distinzione dei sei giorni di cui parla la Genesi nel suo primo capitolo. Si dava libertà di prendere la parola Yom (giorno), sia nel senso proprio di giorno naturale, sia nel senso improprio di un certo spazio di tempo, e si considerava lecito disputare su questa questione.[4]

            Vediamo dunque, come il Magistero ecclesiale riafferma da una parte la verità della Scrittura, specialmente quello che chiama senso storico letterale (una discussione circa una presunta opposizione tra questi due qualificativi verrà suscitata più avanti, e cercheremo di affrontarla), ma dall’altra concede un grande margine di libertà di interpretazione, sempre che quella verità venga salvata. La guida più sicura per l’interpretazione la darà il magistero seguente, quando comincerà a parlare dei generi letterari.

 

[1] Già in tempi più moderni, Paolo VI, con il Motu proprio Sedula cura (AAS 63 [1971] 665-669) stabiliva nuove norme per l’organizzazione e il funzionamento della Commissione Biblica. Non sarebbe in seguito più formata da Cardinali ma da specialisti diventando perciò un organo consultivo. Ad ogni modo, bisogna tenere in conto che il Motu proprio di Paolo VI – come qualsiasi altro- non può applicarsi retroattivamente per le questioni dottrinali ormai risolte con anteriorità.

[2]La descrizione dei compiti della PCB in: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_pro_14071997_pcbible_it.html

[3]Cfr. PCB, Narrazioni apparentemente storiche nei libri biblici considerati storici [23.06.1905] (http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19050623_narrationibus_it.html)

[4]La PCB non lo diceva, ma anche questa doppia interpretazione di giorno nel racconto di Gen 1 era stata comune per i Padri, come cercheremo di vedere: Alcuni padri lo prendevano in senso proprio, altri in senso improprio come di un periodo di tempo.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Rispondi