L’annunciazione a Maria e l’Incarnazione del Verbo – 25 marzo

L’annunziazione – Jon Van Eick (1434/36) – National Gallery of Art – Washington (US) oleo in tavola

Preparandoci alla solennità dell’Incarnazione del Verbo, il prossimo 25 marzo, presentiamo una piccola riflessione esegetica sul vangelo dell’annunciazione a Maria. Sullo schermo solo mostreremo un aspetto di quest’articolo. L’articolo completo può essere scaricato in PDF, in questo link.

Si tratta di una versione più aggiornata e completa di un articolo già pubblicato da noi nel 2104. Buona lettura e buona festa dell’Incarnazione del Verbo.

L’ANNUNZIAZIONE A MARIA: Lc 1,26-38[1]

A) Testo (edizione CEI): 26Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 

28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34 Allora Maria disse all’angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l’angelo partì da lei.    

B) Struttura

  1. a) Introduzione e circostanze dell’evento (vv. 26-27): Nel sesto mese …
  2. b) Arrivo dell’angelo (v.28a: Entrando da lei, disse).
  3. c) Parte centrale:

1) Saluto dell’angelo e silenzio di Maria (vv. 28b-29).

2) Angelo: Non temere! Fino a Maria: Non conosco uomo! (vv. 30-34).

3) Rispose Angelo (v. 35), fino a Maria disse: Eccomi! (vv. 35-38)    .

b’) Partita dell’angelo (v.38b: E l’angelo partì da lei).

Nella parte centrale (c), l’iniziativa corrisponde sempre all’angelo e segue la risposta di Maria. Vi è pure, un progresso dal silenzio (1), il domandare (2) e poi il consenso (3).

C) Commento e analisi del testo:

  1. I personaggi e le circostanze (vv. 26-27)

            Questi due versi formano un’unica proposizione piuttosto lunga, semplice, ben costruita e ricca di nomi propri (Dio, Gabrielle, Galilea, Nazareth, Giuseppe, Maria,). Infatti, tre volte appare il termine “nome” (in greco: onoma) per designare: il villaggio Nazareth, il nome di Giuseppe ed il nome di Maria, sebbene nel testo che abbiamo presentato viene tradotto come chiamato/a, dandoci delle informazioni precise. C’è solo un verbo in entrambi versetti, strutturando tutta la proposizione: fu mandato (in greco: apostellō), che indica la missione dell’angelo di Dio (ángelos in greco significa, infatti, “messaggero”).

Nel sesto mese: L’indicazione temporale dell’inizio crea un forte legame con il passaggio precedente, quello dell’annuncio a Zaccaria (Elisabetta si tenne nascosta per cinque mesi – secondo v.24), e anche con l’indicazione temporale di 1,5: Al tempo di Erode. Altre indicazioni, specialmente la gravidanza di Elisabetta (1,36) ci chiede di vedere entrambe le pericopi correlati. Con queste indicazioni temporali – afferma il padre Stock – l’evangelista mostra che tutto proviene da Dio. Dio manda il suo messaggero, tramite il quale comunica quale sono i suoi piani. L’iniziativa è tutta sua.[2]

ad un angelo: Proprio all’inizio viene nominato il nome dell’angelo Gabriele. Questo nome appare soltanto due volte nell’Antico Testamento (libro di Daniele), senza dire che si tratta di un angelo, ma si capisce dal contesto.[3] Altri angeli che appaiono per nome sono: Rafael, in Tb 5,4; 12,15,[4] ed anche Michael nel libro di Dan 10,21; 12,1, Giuda 1,9 e Ap 12,7). Il termine greco aggeloV (ángelos) può fare riferimento alla natura e si traduce angelo (spirito puro), o può riferirsi alla funzione, traducendosi come messaggero, ma anche in questo caso, come messaggero di Dio, viene designato uno spirito puro. Si dice che fu inviato da Dio (Apo tou Qeou), in modo che venga visualizzato il punto di partenza della missione. Non si dice quale sarà lo scopo della missione, ma semplicemente il nome della persona a chi s’indirizza: Maria.

chiamata Nazareth: Viene indicato il nome, un piccolo villaggio nella zona montuosa della Galilea. Galilea è, alla volta, la regione nord della Palestina. I suoi abitanti parlavano un dialetto diverso di quello di Gerusalemme, ed erano guardati dagli abitanti della Giudea con una certa diffidenza (cfr. Gv 7,41.52).[5]

Nazareth : 1 – Basilica Annunziazione 2 – Chiesa San Giuseppe; fra ambedue si erigeva il villagio al tempo di Gesù

Nell’Antico Testamento e negli scritti giudaici non viene mai menzionata. Il suo tesoro principale era una fontana di acque che esiste tuttora. Gli scavi archeologici fatti con occasione della costruzione della basilica dell’Annunziazione (finita in 1959) hanno permesso di scoprire le condizioni di vita dell’antica Nazareth. Alcune grotte naturali servivano come abitazioni, pure erano costruiti nella roccia i torchi per l’uva, per ottenere il vino, e quelli per l’ulivo, per ottenere l’olio. C’erano anche mulini a mano, presso i quali le donne sedevano già prima dello spuntare il sole, per ottenere la farina per il pane di ogni giorno. In questo ambiente nacque e crebbe Gesù.

vergine promessa sposa: Il testo mette particolare enfasi nel fatto che si tratta di una vergine, giacché l’attributo (vergine) viene anteposto al nome (Maria). Promessa sposa si esprime in greco con un solo termine, un participio, che significa appunto: fidanzata, ma ha il senso di “cercare il matrimonio”, “tornarsi sposa”. Era più che una semplice promessa, implicava già lo stipulare il matrimonio di modo vincolante. Di solito, trascorrevano anno e mezzo o quasi due dal fidanzamento allo sposalizio, dove passava a vivere nella casa dello sposo.[6] Maria aveva allora probabilmente tredici anni quando fu fidanzata da Giuseppe.

  1. Il saluto dell’angelo (v.28)

L’angelo appare a Maria, davanti alla quale “entra nella casa”; è diverso dall’annuncio a Zaccaria, nel senso che a questo gli “appare” l’angelo, mentre nel caso di Maria “entra” (in casa); l’entrare del v.28 corrisponde all’uscire del v.38 (cfr. Gen 18,10.33: annuncio della nascita di Isacco e Gdc 6,12.21: apparizione a Gedeone; paragonabile è anche il caso di Atti 10,3).[7]

Annuncio Zaccaria (1, 8-22) Annuncio Maria (1, 28-38)
11 E gli apparve un angelo del Signore, in piedi alla destra dell’altare dei profumi. 12 Zaccaria lo vide e fu turbato e preso da spavento. 13 Ma l’angelo gli disse: «Non temere, Zaccaria, perché la tua preghiera è stata esaudita; tua moglie Elisabetta ti partorirà un figlio, e gli porrai nome Giovanni. 28 L’angelo, entrato da lei, disse: «Ti saluto, o favorita dalla grazia; il Signore è con te». 29 Ella fu turbata a queste parole, e si domandava che cosa volesse dire un tale saluto. 30 L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù.

Le parole pronunciate dall’angelo nel saluto sono un elemento straordinario che non si trova in nessun altro annuncio di una nascita (cfr. Gdc 13,3: Sansone; Gen 16,11: annuncio ad Agar).[8]

Il versetto è stato ampiamente discusso in quanto al significato dei termini impiegati. Ciascun elemento può essere inteso in un senso superficiale e in uno profondo. Per chaire (caire) si può vedere il solito senso del saluto greco (Vulgata: ave), o il vero significato dell’imperativo: Rallegrati, esultai. Il piena di grazia (kecharitomene: kecaritwmenh), può essere inteso in un senso più debole: favorita, aggraziata, o anche secondo le particolarità della sua forma verbale ed il suo uso particolare. Il Dominus tecum può essere inteso come un saluto convenzionale, o garantire speciale assistenza divina. Daremo un’occhiata più in particolare a cosiddette espressioni.

           a) Chaire (caire)

Il significato normale di questa espressione – specialmente nell’incontro tra due – è il saluto (cfr. Mt 26,49: saluto di Giuda; 27,29: derisione dei soldati; Eb 15,23: Saluto iniziale di una lettera, ecc.) In questo senso hanno preso questo passaggio le versioni siriane e latine (Ave nella Vg). Ma questo verbo, che è relativamente frequente in Lc (12 volte) non è utilizzato in questo vangelo come un saluto, ma sempre nel suo pieno significato: “rallegratevi”, giacché quando Luca vuole significare un saluto lo fa sempre nella forma ebraica: “pace a voi”: 10,5; 24,36.[9] Pertanto, non è probabile qui l’uso della forma greca di saluto (come nelle lettere greco-romane classiche) soprattutto considerando che il testo si trova chiaramente in un ambiente ebraico e con tante allusioni all’A.T.

Anunziazione – dettaglio angelo

La LXX (Septuaginta: versione greca della Bibbia) che traduce sempre il saluto ebraico “Pace a voi”, quando invece usa chaire lo fa sempre con il valore espressivo: “Rallegratevi” (Gl 2,21; Sof 3,14; Zac 9,9; Lam 4,21, ecc.). Considerando l’influsso della lingua che ha la versione greca dei LXX in queste pericopi di Luca, non sembra logico che si allontani di essa in questo caso. Non c’è dubbio che l’imperativo chaire deve avere il suo significato proprio: “Gioire”.

Una conferma l’abbiamo nell’annuncio a Zaccaria: Sarà per te motivo di gioia e di esultanza, anzi saranno in molti a rallegrarsi per la sua nascita (1,14); e nell’annuncio ai pastori: Vi annunzio una grande gioia (2,10), dove viene usata la stessa radice (ma come nome: “gioia”).[10] L’annuncio a Maria è anche principale e viene introdotto con l’esortazione a gioire. Un’altra conferma la troviamo nei Padri Greci i quali, da Origene in poi, lo vedono sempre come imperativo: “Rallegrati”, e lo contrappongono con le parole di Dio ad Eva: Con doglie dovrai partorire figlioli (Gen 3,16). Appare anche l’imperativo nei profeti minori; tutti i testi che non sono isolati, ma hanno un motivo comune, l’esortazione a gioire.

Gl 2, 21-23:     Non temere più, terra, rallegrati e gioisci! Il Signore opera grandi cose! Non temete più, bestie campestri: i pascoli del deserto sono rinverditi! Le piante producono i loro frutti, il fico e la vite dànno il loro prodotto! Figli di Sion, rallegratevi, gioite nel Signore, vostro Dio! Egli vi dà la pioggia secondo il bisogno; fa scendere su voi la pioggia in autunno e in primavera, come prima!

Sof 3, 14-15:   Giubila, figlia di Sion, rallegrati, Israele, gioisci ed esulta di tutto cuore, figlia di Gerusalemme: il Signore ha cancellato i decreti della tua condanna, ha sviato altrove il tuo nemico. Il Signore, re d’Israele, è in mezzo a te, non avrai più da temere la sventura.

Zac 9,9-10       Rallegrati molto, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco il tuo re a te viene: Egli è giusto e vittorioso, è mite e cavalca sopra un asino, sopra il puledro, figlio di un’asina. Spazzerà via i carri da Efraìm e i cavalli da Gerusalemme. Verrà infranto l’arco di guerra e annunzierà la pace alle genti

Zac 2,14          Giubila, rallegrati, figlia di Sion! Sì, ecco io vengo, abiterò in mezzo a te. Oracolo del Signore.

In altri passaggi dell’A.T. si parla anche della “figlia di Sion”, che è una personificazione di Israele; in San Luca viene suggerito che Maria è la rappresentante del popolo eletto. Un’altra espressione che appare in Is 37,22 e Lam 2,13 è: Vergine, Figlia di Sion; ed in Ger 18,13; 31, 4.21: vergine di Israele. Da altronde, c’è un grande nesso tra il trono e la dinastia di Davide (Lc 1,32: il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre; v.32) e Sion, la città di Davide.

            b) Piena di grazia (kecharitomène: Kecaritwmenh)

Quest’espressione è un participio passivo perfetto derivato dal verbo charitoō, che è un verbo causativo (cioè, indica che produce o fa quello che la sua radice significa). In questo caso la radice è cariV (charis: grazia). Quindi, questo verbo causativo significa “produrre grazia”, ed il participio passivo nel femminile dovrebbe essere tradotto: “quella che è stata causata perfetta o stabile nella grazia”. Di fatto, il padre De la Potterie, S.I, traduceva tutto il saluto angelico in questo modo: Rallegrati di essere trasformata dalla grazia.

Anunziazione – dettaglio Madonna

L’esegesi tradizionale considerava, infatti, che quest’espressione rifletta la situazione in cui si trovava Maria e che viene riconosciuta dall’angelo come ‘precedente’ al suo saluto. Già da molto tempo essa si trovava purificata e santificata, in vista del ruolo che doveva svolgere nell’Incarnazione. Non potrebbe allora questa grazia riferirsi al dono della “divina maternità che le veniva annunciata”,[11] perché la maternità divina doveva ancora costituirsi (dipendeva della risposta di Maria), mentre che l’uso del participio mostra che la grazia in questione aveva già avuto luogo. De la Potterie, che difende appunto il significato di questo participio come quello di grazia stabile in Maria e precedente il saluto angelico, l’applica alla chiamata “grazia della verginità”, usando un’espressione di San Bernardo (o al ‘dono glorioso della verginità’, come viene chiamato dalla Glossa). Presenta, infatti, delle ragioni che mettono in rapporto questo v.28 con il seguente v.34, dove Maria disse: Non conosco uomo![12] in confronto ad altre due ricorrenze del verbo, in Sir 18,17 (LXX), anche come participio passivo, ed in Ef 1,6 come un indicativo aoristo attivo.[13] Queste forme verbali implicano sempre il riferimento all’azione personale e attiva di Dio (passivo teologico) che non è ben espresso nella formula “gratia plena” (Vg), in cui il sostantivo ‘grazia’ non ricorda tanto la relazione fondamentale con Dio, e l’aggettivo “piena” non dice un riferimento tanto forte all’azione divina. Chiamandola kecharitomène, l’angelo afferma che Dio ha definitivamente ed efficacemente gestito la sua benevolenza verso la persona di Maria, e così lei si trova in uno stato caratterizzato da un atteggiamento attivo di Dio (Dio “ha agito” in Maria).

L’esegesi protestante (Erasmo di Rotterdam, Lutero) aveva concesso a kecharitomène soltanto il senso di “favorita, aggraziata”. De la Potterie mostra che il senso è invece quello a cui abbiamo fatto prima menzione, specialmente per il parallelismo di questo v.28 con il v.30, l’espressione: Hai trovato grazia presso Dio (eures chàrin parà toō theoū).

            c) Il Signore è con te:

            Nel linguaggio biblico questa espressione ha un significato preciso, e viene principalmente usata quando Dio chiama un uomo per un servizio particolare per il suo popolo, assicurando a quest’uomo la assistenza potente, effettiva ed efficace di Dio. Così succede, ad esempio, con le parole dell’angelo rivolte a Gedeone, che sarebbe giudice di Israele (Gdc 6,12): Il Signore è con te, uomo forte e valoroso. Dio non assegna un compito e poi abbandona l’uomo a se stesso, ma gli sta accanto con il suo potente aiuto. Alcuni perfino credono di vedere un autentico paragone di tutto il racconto dell’annunciazione con quello dell’annuncio a Gedeone (Gdc 6,12-21).

Così come “piena di grazia” indicava la particolare relazione di Dio con Maria, questo “il Signore è con te” implica il compito particolare al quale Maria viene chiamata riguardo il popolo di Dio. Ambedue espressioni sono nel saluto dell’angelo: La prima – piena di grazia- preparava le prime parole dell’angelo (C1): Concepirai e darai alla luce un figlio. La seconda – il Signore è con te– preparano le seguenti parole dell’angelo (C2): Lo Spirito Santo scenderà su di te.

[1] Cfr. K. Stock, S.I., Maria, la madre del Signore (Roma ristampa 2006); S. Lyonnet, Il racconto dell’Annunciazione e la Maternità divina della Madonna (Varese 1954); I. DE LA POTTERIE S.I., Maria nel mistero dell’Alleanza (Genova, Marietti 21992).

[2] Cfr. Stock K, Maria … 48.

[3] Dan 8,16: Intesi la voce di un uomo sull’Ulai che gridava e diceva: «Gabriele, spiega a costui la visione!»; Dan 9,21: Ancora io stavo parlando e pregando, quando Gabriele, volando rapidamente, mi si fece accanto, al tempo dell’oblazione della sera.

[4] Tb 12,15: «Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono al servizio di Dio e hanno accesso alla maestà del Signore».

[5] Gv 7,41: Altri dicevano: «Questi è il Cristo». Ma altri osservavano: «Forse che il Cristo viene dalla Galilea?; Gv 7,52: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia a fondo e vedrai che non sorge profeta dalla Galilea».

[6] La tradizione cristiana sempre ha venerato (e tuttora venera) due luoghi santi a Nazareth: la grotta dell’annunciazione, situata, dove si venerava la casa di Maria, e sulla quale si sono costruite delle chiese lungo i secoli, e la chiesa della Nutrizione o casa di Giuseppe, dove Maria avrebbe vissuto una volta sposata. Tommaso di Aquino cita nonostante l’opinione di Crisostomo, che afferma, abitava già in casa di Giuseppe quando ricevé la visita dell’angelo. Ammette che ambedue sentenze sono possibili, ma lui si inclina più per questa seconda, dicendo che “concorda meglio con il Vangelo” (cfr. S Th, III, q.29, a.2, ad3).

[7] At 10,3: Verso l’ora nona del giorno, un angelo del Signore entrare nella sua stanza e dirgli: «Cornelio!».

[8] Gdc 13,3: A questa donna apparve una volta un messaggero del Signore, il quale le disse: «Ecco, per quanto tu non abbia avuto figli, data la tua sterilità, tu concepirai e darai alla luce un figlio»; Gen 16,11: Soggiunse poi ancora l’angelo del Signore: «Eccoti incinta: partorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele, perché il Signore ha ascoltato la tua afflizione».

[9] Lc 10,5: Quando entrerete in una casa, dite per prima cosa: “Pace a questa casa”. Lc 24,36: Mentre parlavano di queste cose, Gesù stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».

[10] 1,14: estai cara soi kai agalliasiV kai polloi epi. th genesei autou/ carhsontai; 2,10: euaggelizomai umin caran megalhn. Rilevata in grassetto la radice charà (cara), che viene dallo stesso termine: chaire.

[11] Così pensano, tra altri, F. Fitzmeyer e R. Brown.

[12] Cfr. De la Potterie I., Maria, 164-165.

[13] Sir 18,17: La parola non è accetta più del dono stesso? Nell’uomo generoso [trasformato] si trovano entrambi. Ef 1,6: A lode dello splendore della sua grazia, con la quale ci ha gratificati [trasformati] nel Diletto.

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