Grandi temi del libro della Sapienza
Uno dei libri più profondi e pieni di grandi contenuto in tutto l’Antico Testamento. Vediamo alcuni dei suoi grandi argomenti:
A) Dio e la morte:
È molto chiara e radicale l’affermazione che Dio non fece la morte, né si compiace in essa: Perché Dio non ha fatto la morte, né gode per la rovina dei viventi (1,13). Le cose furono create per l’esistenza e sono di suo buone: Egli ha creato tutte le cose perché esistano; salubri sono le creature del mondo, in esse non c’è veleno mortifero, né il regno degl’inferi è sulla terra (1,14). Questo vuole dire che non c’è equivalenza tra il bene e male, neanche il male è un principio creativo né parallelo insieme al bene. La creazione, in quanto pensata da Dio, è buona in se stessa e non c’è nelle creature principio di morte. Così acquista senso dire che la giustizia (nel senso biblico di rettitudine morale o santità) è immortale (v.15).
La morte è stata introdotta per invidia del diavolo: Ma per invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza quanti sono del suo numero (2,24), cioè i peccatori. Si lascia intuire perfettamente che la causa della morte è il peccato. Per quel motivo, quando nel Siracide si suggerisce che: Il bene e il male, la vita e la morte, la povertà e la ricchezza vengono dal Signore (Sir 11,14) bisogna capirlo, come spiega San Tommaso, come un atto di giustizia di Dio che deve punire la trasgressione delle leggi. Senza dubbio, è Dio quello che ha il potere sulla vita e sulla morte (Sap 16,13: Tu infatti hai potere sulla vita e sulla morte, conduci alle porte degl’inferi e riconduci indietro), ma il piano originale di Dio era che l’uomo non sperimentasse la morte, se non a causa del peccato.
B) Destinazione dei giusti e peccatori:
Il libro presenta un destino immortale per i giusti ed una punizione per i peccatori, benché non si suggerisca l’idea di Risurrezione. Viene tuttavia affermata l’eternità gloriosa con Dio e che vivranno per sempre (5,15: I giusti, invece, vivono in eterno, la loro ricompensa è presso il Signore). Avranno anche parte nella facoltà giudiziaria di Dio: (3,8) Governeranno le nazioni e avranno potere sui popoli e il Signore sarà loro re per sempre. Gli infedeli invece, avranno la sua punizione (cfr. 3,10). Loro stessi riconosceranno che si “estingueranno” nella sua malvagità (cfr. 5,13).[1] E’ interessante come mostra che gli infedeli sono stati portati alla sua malvagità per disperazione, per credere che la vita non aveva senso né destino felice (cfr. 2,1); invece Dio è capace di cambiare il destino fatale l’uomo (cfr. 16,13). E’ come un’allusione al mistero della Fede.
C) Dio, la sua Provvidenza e Potere:
Il libro tratta molto circa Dio e difende la dimostrabilità della sua esistenza. Il testo più chiaro a questo riguardo è 13,5: Infatti dalla grandezza e bontà delle creature, per ragionamenti, si può conoscere il loro autore. Il termine usato per dire ‘ragionando’ o ‘per ragionamenti’ è un avverbio in greco: avnalo,gwj (analogōs: “per analogia”). Un altro testo è 13,1, dove si parla della vanità di coloro che non sono riusciti ad arrivare alla conoscenza di Dio dalle sue opere: Veramente sono vani per natura tutti gli uomini che ignorano Dio e che dai beni visibili non furono capaci di conoscere colui che è, né, considerando le opere, seppero riconoscere l’artefice, ed anche 13,8, dove dice che questi sono ‘inescusabili’: Ma neppure costoro sono scusabili (assomiglia molto a Rm 1,20 dove San Paolo probabilmente cita la Sapienza di modo implicito).
Dio creò il mondo (cfr. 6,7), è Signore e conservatore di ogni cosa (cfr. 11, 25-26), lo guida con la sua Provvidenza (14,3), con la quale castiga e corregge anche i peccatori (12,2).[2]
D) L’idolatria ed il suo castigo:
Il capitolo 13 del libro trattiene una meravigliosa descrizione dalla possibilità della conoscenza naturale di Dio, della sua esistenza, come già abbiamo notato (cfr. 13,1-9). Possiede anche due bellissime e molto grafiche descrizioni dell’idolatria, riguardanti soprattutto le sue origini: (13, 10-19 e 14, 15-21).
Si inizia affermando che vani sono gli uomini che non hanno la conoscenza di Dio (13,1). Questa conoscenza è possibile, perché si basa sulla Creazione stessa. Da qui prenderà San Paolo la dottrina della conoscenza naturale di Dio, che dalle realtà visibili è possibile arrivare a conoscere le realtà invisibili (paragonare 13, 3-4 con Romani 1,20).[3] Il libro afferma di modo esplicito che per ragionamento (analogia) si arriva dalla conoscenza delle creature alla conoscenza del Creatore (cfr. 13,5), in un testo di grande importanza. Dirà poi in seguito che quelli che non conobbero l’artefice, potendo farlo (13,9) sono inescusabili, e viene cioè imputato loro come peccato. Anche questo lo prenderà letteralmente San Paolo (paragonare Sap 13,8 con Rom 1,20).[4]
Le conseguenze dell’idolatria sono tremende: L’autore segnala loro in 14, 23-31. La prima gran conseguenza è l’infanticidio, o il sacrificio umano, specialmente di bambini. Non consta che gli egiziani l’abbiano praticato, ma se lo facevano e con molta frequenza i cananei, i fenici ed i persiani, e certamente che molti altri paesi, come le civiltà precolombiane in America. In 14,22 l’autore dichiara come l’idolatria porta a fare perdere la coscienza morale, di modo tale di chiamare ‘pace’ o ‘bene’ a tante grandi abominazioni.[5] L’idolatria è chiamato principio, causa e fine di ogni male (14,27: Il culto degli idoli senza nome è principio, causa e fine di ogni male). La zoolatria degli egiziani è anche duramente fustigata (cfr. 15,8 – 16,1).
Sap 14,14-21
Entrarono nel mondo per la vanità degli uomini, e per questo la loro rapida fine è stata decretata. Un padre, afflitto da un lutto prematuro, fece fare un’immagine del figlio, rapidamente portato via, incominciò a onorare come dio l’uomo che era morto, e trasmise ai sudditi misteri e riti religiosi. Consolidatosi col tempo, l’empio costume fu osservato come legge. Per ordine dei sovrani si adoravano anche le statue. Degli uomini che non potevano essere onorati di presenza, perché abitavano lontano, rappresentata la figura lontana, fecero un’immagine visibile del venerato re, perché colui che era assente fosse sollecitamente adulato come presente. L’ambizione dell’artista spinse anche quelli che non lo conoscevano a propagarne il culto. Questi, volendo certamente far piacere al sovrano, per mezzo dell’arte ne rese la rassomiglianza più bella; ma la folla, attirata dalla grazia del lavoro, considerò ora oggetto di adorazione colui che poco prima aveva onorato come uomo. Questo divenne per la vita un’insidia, perché gli uomini, asserviti o alla sventura o alla tirannide, imposero a pietre e a legni il Nome incomunicabile.
E) Agguati contro il giusto (Sap 2, 12-20):
Sorprende innanzitutto la somiglianza di questo passaggio con i poemi del Servo di Yahvè di Isaia e con i salmi 22 (21) e 69 (68). E’ anche molto simile l’atteggiamento di questi infedeli a quello degli ebrei e pagani nella Passione di Cristo: cfr. Sap 2,18.20 con Mt 27,43[6]. Questo portò a molti Padri ad interpretare la pericope come direttamente e letteralmente del Messia.
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L’opinione più comune è che il testo si riferisce nel suo senso letterale, ai giusti che dovevano sopportare la persecuzione da parte degli apostati e dei pagani, soprattutto in base ai versetti precedenti, ma allora quei giusti sono tipo o immagine di ogni giusto che soffre, ed il Giusto per eccellenza che soffre è Gesù Cristo. Pertanto, secondo il senso tipico o figurato, il Giusto è Cristo. Nonostante ciò, ci sono alcuni versetti, come quello del 18 ed il 20 che sembrano si possano riferire perfino letteralmente a Cristo, molto probabilmente con ‘sensus plenior’ (se il giusto è Figlio di Dio [v.18]; mettiamolo alla prova con oltraggi e tormenti [v.19]; condanniamolo ad una morte ignominiosa [v.20]).
F) L’immortalità dell’anima e la resurrezione:
“Il libro della Sapienza vuole essere un libro di consolazione per gli ebrei pii, e specialmente per quelli perseguiti a causa della sua fede” (Fischer). Era essenziale allora contare con la concezione escatologica il cui centro sta nel messaggio circa l’immortalità del pio e la morte eterna dell’infedele. Il fatto che stia in greco dona nuove risonanze, perché permette di esprimere più adeguatamente la realtà, ad esempio: la psiché, l’anima, come realtà sussistente individuale che rimarrà per sempre. Immediatamente dopo la morte, i giusti entrano in possesso dell’immortalità o ‘athanasía’ (avqanasi,aj), il che diventa più chiaro quando si mette l’anima come soggetto: Ma le anime dei giusti stanno nelle mani di Dio, e non toccherà loro tormento alcuno (Sap 3,1).
Ma altre volte il soggetto sono ‘i giusti’: I giusti invece, vivono in eterno, la loro ricompensa è presso il Signore ed il Signore si prende cura di loro (Sap 5,15); E’ il loro viaggio lontano da noi una rovina, ma essi sono nella pace (Sap 3,3). Esiste allora intercambiabilità tra “l’anima”, separata dopo la morte, e persona. Non come se l’anima fosse l’intero uomo, bensì come continuità di coscienza.
È anche interessante vedere come si mette la felicità dei giusti in rapporto col Signore: Sap 5,15; Sap 3,1: Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio. La fortuna degli infedeli è la ‘morte’, non nel senso di annichilamento – come forse si domandava in 2,2: Per caso siamo nati e dopo morte saremo come se non fossimo stati -, bensì in quanto manca loro la ‘vita eterna’. È la caduta nello Sheol dopo la morte e la permanenza in lui (Sap 4,19: Saranno completamente annientati, saranno nel dolore e il loro ricordo perirà).
In quanto alla Resurrezione, c’era stata la domanda se veniva affermata o meno. Alcuni esegeti lo sostengono. L’argomento principale si trova in Sap 4,20-5,23. Qui si offre un gran quadro del giudizio con note molto vive e plastiche che suppongono la presenza di corpi, benché esiste anche qualche esegeta al quale questo argomento non lo convince troppo.
Sap 5, 1-5
Allora il giusto starà con molta franchezza di fronte a quanti l’hanno oppresso e a quanti hanno disprezzato le sue sofferenze. Vedendolo saranno sconvolti da terribile paura e resteranno stupefatti per l’inaspettata salvezza. Pentiti, diranno fra di loro, e per angustia di spirito si lamenteranno dicendo: «Questi è colui che una volta abbiamo tenuto come un oggetto di scherno, e per bersaglio di oltraggi. Insensati! Abbiamo stimato la sua vita una follia e la sua fine un disonore. Come mai è computato tra i figli di Dio e tra i santi è la sua sorte?»
Sap 5,15: I giusti, invece, vivono in eterno, la loro ricompensa è presso il Signore e il Signore si prende cura di loro.
Un altro argomento in favore della Risurrezione viene presso esplicitamente dalla frase di 16,13: Tu infatti hai potere sulla vita e sulla morte, conduci alle porte degl’inferi (Hades in greco) e riconduci indietro, il che segnala il potere che ha Dio di resuscitare.
[1] Sap 5,13: Ci siamo consumati nella nostra malvagità! Sap 2,1: Breve e triste è la nostra vita, il rimedio non sta nella fine dell’uomo … 16,13: Tu infatti hai potere sulla vita e sulla morte, conduci alle porte degl’inferi e riconduci indietro.
[2] 6,7: Egli ha fatto il piccolo come il grande; 11,25: E come potrebbe sussistere una cosa, se tu non volessi, o conservarsi ciò che non è stato da te chiamato? 14,3: Ma la tua provvidenza, Padre, la guida …; 12,2: Per questo castighi a poco a poco quelli che cadono e li correggi.
[3] Sap 13, 3-4: Se, dilettati dalla loro bontà, hanno ritenuto dèi tali cose, sappiano quanto più buono di loro è il Signore, perché chi li ha creati è la sorgente della bontà. Se li ha colpiti la forza e l’energia, riconoscano quanto più potente di loro è colui che le ha formate. Rom 1,20: Infatti, dopo la creazione del mondo Dio manifestò ad essi le sue proprietà invisibili, come la sua eterna potenza e la sua divinità, che si rendono visibili all’intelligenza mediante le opere da lui fatte.
[4] Sap 13,8: Ma neppure costoro sono scusabili. Rom 1,20: E così essi sono inescusabili. Sap 13,9: Perché se tanto furono capaci di conoscere, da poter scrutare il corso del mondo, come mai non hanno trovato più presto il loro Signore?
[5] Sap 14,22: Inoltre non bastò l’errare intorno alla conoscenza di Dio, ma, mentre vivono in un grande contrasto d’ignoranza, chiamano pace mali così grandi.
[6] Sap 2,18: Se il giusto è veramente figlio di Dio, egli lo soccorrerà e lo libererà dalle mani degli avversari. 2,20: Condanniamolo a una morte ignominiosa, perché, secondo le sue parole, Dio si prenderà cura di lui! Mt 27,43: Ha confidato in Dio, lo liberi ora, se lo ama. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”.