L’ultima parte del primo capitolo: La metodologia per datare i Vangeli, pp. 15-30, dal volume I vangeli sono dei reportages, di Marie- Christine Ceruti- Cendrier (originale in francese); edizione italiana pubblicata da Mimep – Docete, 2008, Pessano con Bornago, 368 pagine.
Abbiamo parlato in estenso di due metodi per datare i vangeli: quello filologico e quello degli indizi. Adesso il terzo: la metodologia usata per datare i supporti (manoscritti, papiri).
Citiamo Ceruti- Cendrier: «Anche qui ci sono le prove, che vengono contestate, o più esattamente rifiutate. La prova, o piuttosto le prove, si chiamano 7Q5 e 7Q4: sono dei papiri ritrovati a Qumran (delle grotte nella vicinanza del mare Morto), perfettamente datati prima del 68 (perché dopo quella data le grotte sono state sigillate e la comunità ivi residente, sparita), e, verosimilmente, del 50 d.C. Il 7Q5 è stato seriamente identificato come Marco 6,52-53, e il 7Q4 come la prima lettera di san Paolo a Timoteo 4,1.
Per vent’anni questa scoperta di padre O’ Callaghan è stata nascosta e insabbiata; ma come sempre la verità finisce per venire a galla, e il furore degli esegeti cerca di discreditare sia questi papiri sia gli studiosi che li hanno presi in esame. Il padre O’ Callaghan aveva ormai pubblicato le sue prime ricerche nel 1972, e con posteriorità ha risposto le obiezioni sollevate contro la sua interpretazione. Leggete, per esempio, il mensile 30 Giorni del giugno 1991.[1]»
El P. Pierre Grelot, conosciuto biblista francese, professore all’istituto biblico di Parigi fino al 1983 (e poi emerito fino alla sua morte nel 2009), che d’altronde già aveva criticato le ricerche del abbé Carmignac e di Tresmontant sulla redazione in lingua semitica dei vangeli sinottici, in termini e con delle espressioni veramente insultanti (vedere il nostro post precedente), non fornisce prova delle sue risposte. Afferma di essere – quella di Carmignac- una “congettura totalmente assurda”, ma non spiega il perché. In ambito scientifico (e l’ambito dell’esegesi pretende di esserlo, compresso quello di Grelot), un’affermazione tagliante contro una tesi sostenuta da parecchi argomenti, se non va accompagnata anche essa con degli argomenti solidi, diventa in se stessa assurda. Il giornalista controbatte dicendo che la “congettura – in apparenza assurda da O’ Callaghan – è stata confermata dal computer” – cosa che è vera e che lo stesso O ‘Callaghan affermerà susseguentemente -. Per tutta risposta, Grelot risponde che tutto obbedisce ad un fine apologetico, per dimostrare che i vangeli sono stati scritti molto presto nel tempo. Ma Grelot non dimostra che i vangeli dovrebbero essere per forza scritti molto dopo dei fatti raccontati. Sempre se afferma che “questa è l’opinione della maggioranza degli studiosi”, il che forse è vero, ma non probativo. Si potrebbe accusare Grelot di operare per una finalità anti apologetica, il che inoltre ad essere gratuita, è anche contro scientifica, giacché l’apologetica è un ramo delle scienze teologiche o preparatorie alla teologia, che come tale ha il diritto di esistere e di cercare degli argomenti validi in suo favore. E’ piuttosto “l’anti-apologetismo” quello che dovrebbe essere giustificato. Grelot – e non solo lui- dice di essere molto severo nelle sue critiche. Non sembra però tanto severo nell’accettazione per riceverle, e nel provare le sue affermazioni.
Conclude Cendrier: «Dunque constatiamo che i tre sistemi che forniscono la datazione di un manoscritto “normale״ sono immancabilmente rifiutati quando si tratta del Nuovo Testamento. Viene da domandarsi, d’altro canto, quante scoperte fatte grazie a questi metodi “dimorino senza gloria nelle tenebre”. E constatiamo con altrettanta evidenza che il solo metodo autorizzato in questa materia sia proprio quello meno sicuro.»[2]
Quello meno sicuro e quello che avevamo chiamato del contenuto – nei nostri precedenti post-, ma che propriamente risponde ai pregiudizi filosofici- teologici da chi interpreta. Dovrebbe essere chiamato metodo filosofico- teologico il che è un controsenso quando si interpreta la Bibbia, giacché essendo il testo sacro una ‘fonte’ della Rivelazione, deve per forza precedere lo sviluppo teologico e non la sua interpretazione costituirne il risultato.
Quello di cui l’abate Carmignac diceva: “Se, per ipotesi, un giorno non si sapesse più quando vissero gli scrittori francesi e se, per ricostruirne la cronologia, si applicassero i metodi filosofici e non filologici utilizzati per il Nuovo Testamento, sicuramente gli specialisti sosterrebbero con assoluta certezza che Montaigne – morto nel 1592 – fu uno scrittore del XX secolo, e che Claudel – morto nel 1955 – scrisse, invece, nel XVI secolo.” E questo perché: “Con un metodo assolutamente antiscientifico, la maggioranza degli studiosi parte dalla presunta teologia che ogni evangelista esprimerebbe, per datare il testo. Si utilizza cioè un metodo filosofico, teologico (ma che in fondo è un certo concetto della “evoluzione del pensiero religioso”) e non, come sarebbe invece corretto, un metodo filologico e storico.” (Intervista all’abate Carmignac di V. Messori riportata in Inchiesta sul Cristianesimo, ed. Mondadori, pag. 134).
Riguardo gli studi del gesuita O’ Callaghan, le fonti sono i seguenti:
- Il suo primo articolo (in spagnolo): Papiros neotestamentarios en la cueva 7 de Qumran? Biblica 53 (1972), 91-110. (Biblica è la rivista ufficiale del Pontificio istituto biblico di Roma).
- Un articolo in italiano – il che procuriamo di metterlo a disposizione in allegato-, dove O’ Callaghan risponde le obiezioni riguardanti altre possibili interpretazioni di 7Q5, è: L’ipotetico papiro di Marco a Qumran, in La Civiltà Cattolica 1992 II (Roma), 464-473. Papiro Marco a Qumran
- Lo studioso tedesco C. Thiede, famoso papirologo a Paderborn e protestante tra l’altro, si era ormai schierato, con solidi argomenti, con la posizione di O’ Callaghan già dal 1984. Un riassunto della sua posizione – in italiano- lo troviamo in: Il più antico manoscritto dei Vangeli? PIB, Roma 1987. Ma farà ancora di più. Sulla questione di una famosa lettera non chiara (la “nun” della seconda riga), lo stesso Thiede, esaminando il papiro con un microscopio elettronico della polizia israeliana, arrivò alla conclusione che si trattava di una “nun”, e pubblicò la sua indagine nel 1992. Lo stesso O’ Callaghan, in diverse pubblicazioni posteriori, risponderà pure alle obiezioni, e presenterà gli argomenti: sticometri, di statistica, di filologia, di critica testuale, rifiutando l’argomento di esistenza dei frammenti più piccoli e più insicuri ormai datati, mostrando come la sua interpretazione appare, finora, come quella scientificamente più sicura.
[1] “Padre Grelot, qual’è la sua opinione a proposito del frammento di Marco ritrovato a Qumran?
Pierre Grelot: Si tratta di una congettura di un povero gesuita spagnolo che ha preteso di identificare in un manoscritto greco di Qumran, di cui restano esclusivamente dei pezzettini di riga, una frase di san Marco, tra l’altro correggendola perché le linee non sonno abbastanza lunghe. E’ una congettura totalmente assurda.
Ho letto articoli e libri che provano come si possano trovare cinque, sei altri testi dell’Antico Testamento in greco che corrispondono a quel frammento. Averlo identificato con san Marco è un’assurdità ridicola!
Ma a parte che questa “ridicola” congettura pare essere stata confermata dal computer, dove starebbe l’interesse di falsificare i dati?
Grelot: È tutto fatto con un fine apologetico, per dimostrare che i vangeli sono stati scritti molto presto; e costoro diventano letteralmente isterici di fronte a tutte le teorie contrarie. Falsificano completamente le piste ed ingannano gli spiriti di coloro che li seguono. Sono estremamente severo su questo.” (Cfr. Cerutti- Cendrier, opera citata, pagina 29 e nota 17).
[2] Così Cendrier a p. 30.