PROFESSIONE DI FEDE di un SACERDOTE

Pubblichiamo la Professione di Fede di un sacerdote, de l’archidiocesis di Bologna, in Italia. Crediamo sia molto utile in questi difficili tempi, e che può aiutare ad altri sacerdoti, religiosi e religiose e tanti laici cristiani.

Pubblicato in I tre sentieri 20 FEBBRAIO 2018

http://itresentieri.it/in-questo-clima-di-confusione-un-utile-atto-di-fede-di-un-sacerdote-della-diocesi-di-bologna-che-puo-servire-ad-altri-sacerdoti/

 

Professione di fede

Io, Sac. Alfredo Maria Morselli, parroco in diocesi di Bologna, cercando, con l’aiuto di Dio, di mettere in pratica quanto scrive S. Luigi M. Grignion de Montfort, ovvero portando sulle spalle “lo stendardo insanguinato della Croce; il crocifisso nella mano destra; la corona nella sinistra; i sacri nomi di Gesù e di Maria nel cuore” [13], in forma di giuramento, dinnanzi al SS. Sacramento esposto, emetto la seguente professione di fede:

I – ALCUNI PRINCIPI DI MORALE FONDAMENTALE

  1.   Credo che esistono degli atti intrinsecamente cattivi che sono sempre peccato mortale, se commessi con piena avvertenza e deliberato consenso, e che quindi non possono ricevere una valutazione morale caso per caso.

Infatti “ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l’omicidio e l’adulterio. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene” (CCC 1756).

  1.   Credo che le circostanze non possono rendere buona un’azione intrinsecamente cattiva.

Infatti “le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un’azione intrinsecamente cattiva” (CCC 1754).

  1.   Credo che non è possibile valutare se un atto sia moralmente buono o meno, considerando solo l’intenzione e le circostanze.

Infatti è “sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando soltanto l’intenzione che li ispira, o le circostanze (ambiente, pressione sociale, costrizione o necessità di agire, etc. che ne costituiscono la cornice)” (CCC 1756).

  1.   Credo che la morale dell’oggetto – così come spiegata nell’enciclica Veritatis splendor – possa e debba essere opportunamente applicata all’esperienza pastorale concreta, anche nei casi più critici.

Infatti “il Magistero della Chiesa […] presenta le ragioni del discernimento pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche” (S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 115).

  1.   Credo che Dio non comanda a nessuno cose impossibili ad osservarsi (quindi neppure ai divorziati civilmente risposati).

Infatti: “Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio” (Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547, Sessio VI, cap. 11).

Inoltre “Dio non comanda cose impossibili ordinando di resistere a qualunque tentazione, ma ordinando “ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e aiuta perché tu possa” (Concilio di Trento, Ibidem).

  1.   Credo che Dio non permette che siamo tentati oltre le nostre forze.

Infatti “Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere” (1 Cor 10,13).

  1.   Credo che non bisogna violare i comandamenti di Dio anche nelle circostanze più gravi.

Infatti “La Chiesa propone l’esempio di numerosi santi e sante, che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale. Elevandoli all’onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro testimonianza e dichiarato vero il loro giudizio, secondo cui l’amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l’intenzione di salvare la propria vita” (S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 91).

  1.   Credo che non è lecito commettere un peccato neppure nel caso si voglia favorire l’educazione dei figli avuti al di fuori del legittimo matrimonio.

Infatti “non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali” (Paolo VI, Lettera enciclica Humanae Vitae, 25-7-1968, § 14).

  1.   Credo che la coscienza debba adeguarsi a ciò che è bene e non deciderlo autonomamente.

Infatti “La coscienza, all’atto pratico, è il giudizio circa la rettitudine, cioè la moralità, delle nostre azioni, sia considerate nel loro abituale svolgimento, sia nei loro singoli atti”. (Paolo VI, Udienza generale,12-8-1969).

  1. Credo che la coscienza, intesa come sopra, è necessaria.

Infattila coscienza è necessaria perché “la bontà dell’azione umana dipende dall’oggetto in cui è impegnata e, oltre che dalle circostanze in cui è compiuta, dall’intenzione che la muove (Cfr. S. Th. I-IIæ, 18, 1-4); ora questa complessa specificazione dell’azione, se vuol essere umana, implica un giudizio soggettivo, immediato di coscienza, che poi si sviluppa nella virtù regolatrice dell’azione stessa, la prudenza”. (Paolo VI, Udienza generale, 2-8-1972).

  1. Credo che la coscienza, intesa come sopra, è insufficiente.

Infatti la coscienza è insufficiente perché da sola “non basta. Anche se essa porta in se stessa i precetti fondamentali della legge naturale (Cfr. Rom. 2, 2-16). Occorre appunto la legge: e quella che la coscienza offre da sé alla guida della vita umana non basta; dev’essere educata e spiegata; dev’essere integrata con la legge esterna, sia nell’ordinamento civile – chi non lo sa? – e sia nell’ordinamento cristiano – anche questo: chi non lo sa? -. La «via» cristiana non ci sarebbe nota, con verità e con autorità, se non ci fosse annunciata dal messaggio della Parola esteriore, del Vangelo e della Chiesa” (Paolo VI, Ibidem).

  1. Credo che la coscienza non è arbitra del valore morale delle azioni che essa suggerisce.

Infatti la coscienza “è interprete d’una norma interiore e superiore; non la crea da sé. Essa è illuminata dalla intuizione di certi principi normativi, connaturali nella ragione umana (cfr. S. Th, I, 79, 12 e 13; I-II, 94, 1); la coscienza non è la fonte del bene e del male; è l’avvertenza, è l’ascoltazione di una voce, che si chiama appunto la voce della coscienza, è il richiamo alla conformità che un’azione deve avere ad una esigenza intrinseca all’uomo, affinché l’uomo sia uomo vero e perfetto. Cioè è l’intimazione soggettiva e immediata di una legge, che dobbiamo chiamare naturale, nonostante che molti oggi non vogliano più sentir parlare di legge naturale” (Paolo VI, Udienza generale, 12-2-1969).

  1. Credo che la ragione umana non può creare essa stessa la norma morale

Infatti “La giusta autonomia della ragione pratica significa che l’uomo possiede in se stesso la propria legge, ricevuta dal Creatore. Tuttavia, l’autonomia della ragione non può significare la creazione, da parte della stessa ragione, dei valori e delle norme morali. Se questa autonomia implicasse una negazione della partecipazione della ragione pratica alla sapienza del Creatore e Legislatore divino, oppure se suggerisse una libertà creatrice delle norme morali, a seconda delle contingenze storiche o delle diverse società e culture, una tale pretesa autonomia contraddirebbe l’insegnamento della Chiesa sulla verità dell’uomo” (S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 40).

  1. Credo che un colloquio con un sacerdote non può mai rendere lecita un’azione intrinsecamente cattiva.

Infatti il sacerdote ha il dovere di spiegare la malizia di un atto intrinsecamente cattivo: “nel campo della morale come in quello del dogma, tutti si attengano al Magistero della Chiesa e parlino uno stesso linguaggio” (Paolo VI, Lettera enciclica Humanae Vitae, 25-7-1968, § 28).

  1. Credo che i precetti negativi della legge naturale – quali ad esempio non bestemmiare, non spergiurare, non commettere omicidio, non commettere adulterio (cf. CCC 1756) – sono universalmente validi.

Infatti, “I precetti negativi della legge naturale sono universalmente validi: essi obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza. Si tratta infatti di proibizioni che vietano una determinata azione ‘semper et pro semper’, senza eccezioni, perché la scelta di un tale comportamento non è in nessun caso compatibile con la bontà della volontà della persona che agisce, con la sua vocazione alla vita con Dio e alla comunione col prossimo. È proibito ad ognuno e sempre di infrangere precetti che vincolano, tutti e a qualunque costo, a non offendere in alcuno e, prima di tutto, in se stessi la dignità personale e comune a tutti” (S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 51).

  1. Credo che chi commette un peccato mortale è privo della grazia di Dio.

Infatti “Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia” (CCC 1861).

II – CIRCA L’INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO

  1. Credo che l’unione matrimoniale dell’uomo e della donna è indissolubile in ogni caso.

Infatti Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale dell’unione dell’uomo e della donna, quale il Creatore l’ha voluta all’origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria moglie, era una concessione motivata dalla durezza del cuore; [cfr. Mt 19,8] l’unione matrimoniale dell’uomo e della donna è indissolubile: Dio stesso l’ha conclusa. “Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,6)” (CCC 1614).

  1. Credo che l’indissolubilità del matrimonio non è mai un’esigenza irrealizzabile.

Infatti: “Questa inequivocabile insistenza sull’indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un’esigenza irrealizzabile [Cfr. Mt 19,10]. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo gravoso, [Cfr. Mt 11,29-30] più pesante della Legge di Mosè” (CCC 1615).

  1. Credo che è sempre possibile rimanere fedeli al matrimonio indissolubile, pur in mezzo a tante difficoltà.

Infatti “Venendo a ristabilire l’ordine iniziale della creazione sconvolto dal peccato, [Gesù] stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del Regno di Dio” (CCC 1615).

  1. Credo che tutti gli sposi possono capire il senso originale del matrimonio e viverlo con l’aiuto di Cristo.

Infatti “Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce [Cfr. Mc 8,34] gli sposi potranno “capire” [Cfr. Mt 19,11] il senso originale del matrimonio e viverlo con l’aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana” (CCC 1615).

  1. Credo che chi causa il divorzio pecca gravemente.

Infatti “il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di sciogliere il patto liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l’uno con l’altro fino alla morte. Il divorzio offende l’Alleanza della salvezza, di cui il matrimonio sacramentale è segno” (CCC 2384).

  1. Credo che un coniuge che contrae un nuovo matrimonio meramente civile si trova in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio.

Infatti: “Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio” (CCC 1650).

Inoltre, “Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384).

  1. Credo che la Chiesa non può riconoscere come valida una nuova unione se era valido il primo matrimonio.

Infatti, anche se oggi, “in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”: (Mc 10,11-12), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio” (CCC 1650).

  1. Credo che non è possibile applicare analogicamente, ad una relazione adulterina, il principio per cui se mancano alcune espressioni di intimità, «non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 51).

Infatti, essendo l’adulterio un grave peccato e “il peccato il principio attivo della divisione – divisione fra l’uomo e il Creatore, divisione nel cuore e nell’essere dell’uomo, divisione fra gli uomini singoli e fra i gruppi umani, divisione fra l’uomo e la natura creata da Dio -, soltanto la conversione dal peccato è capace di operare una profonda e duratura riconciliazione dovunque sia penetrata la divisione” (S. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2-12-1984, § 23).

  1. Credo che l’astensione dagli atti propri degli sposi non danneggia i figli nati dalla nuova unione e quindi non costituisce una nuova colpa.

Infatti provvedere ai figli nati dalla nuova unione non rende necessario compiere gli atti propri degli sposi tra persone che non sono in realtà sposi. Se i divorziati risposati hanno dei figli nati nell’ambito del nuovo matrimonio civile, possono meglio provvedere loro vivendo in grazia di Dio.

III – ALCUNI PRINCIPI DI TEOLOGIA SACRAMENTARIA

  1. Credo che chi è conscio di essere in peccato grave è tenuto a non celebrare la S. Messa e a non comunicarsi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale.

 

Infatti “La consuetudine della Chiesa afferma […] la necessità che ognuno esamini molto a fondo se stesso [cfr. 1 Cor 11, 28], affinché chi sia conscio di essere in peccato grave non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale” (Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istruzione Redemptionis sacramentum, 25-3-2004, § 80).

  1. Credo che il principale ed indispensabile atto del penitente per ricevere validamente l’assoluzione sacramentale è la contrizione.

Infatti, “Tra gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il dolore dell’animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1676]” (CCC 451).

Inoltre “’atto essenziale della penitenza, da parte del penitente, è la contrizione, ossia un chiaro e deciso ripudio del peccato commesso insieme col proposito di non tornare a commetterlo, per l’amore che si porta a Dio e che rinasce col pentimento. Così intesa, la contrizione è, dunque, il principio e l’anima della conversione” (S. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2-12-1984, § 31, III).

  1. Credo che l’accusa dei peccati deve includere il proponimento serio di non commetterne più nel futuro.

Infatti “se questa disposizione dell’anima mancasse, in realtà non vi sarebbe pentimento: questo, infatti, verte sul male morale come tale, e dunque non prendere posizione contraria rispetto ad un male morale possibile sarebbe non detestare il male, non avere pentimento” (S. Giovanni Paolo II, Lettera al Card. William W. Baum in occasione del corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, 22-3-1996, § 5).

  1. Credo che se uno fosse scoraggiato per le frequenti cadute o spaventato dalla difficoltà di non peccare, deve fondare il pur richiesto proposito di non offendere più Dio sulla grazia divina, che il Signore non lascia mai mancare.

Infatti “Il proposito di non peccare deve fondarsi sulla grazia divina, che il Signore non lascia mai mancare a chi fa ciò che gli è possibile per agire onestamente” (Ibidem).

  1. Credo che se una persona teme di ricadere in peccato, può ugualmente avere il buon proposito di non peccare.

Infatti “non pregiudica l’autenticità del proposito, quando a quel timore di ricadere in peccato sia unita la volontà, suffragata dalla preghiera, di fare ciò che è possibile per evitare la colpa” (Ibidem).

  1. Credo che è possibile a persone divorziate risposate ricevere l’assoluzione solo quando sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio.

Infatti, l’assoluzione “può essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14-9-1994, § 4).

  1. Credo che l’espressione “forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio” significa in concreto l’assunzione dell’impegno di vivere in piena continenza.

Infatti: “Ciò importa, in concreto, che quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumano l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi” (S. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 25-10-1980, § 7). In tal caso essi possono accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l’obbligo di evitare lo scandalo” (Ibidem).

  1. Credo che se un fedele divorziato risposato fosse convinto della nullità del precedente matrimonio, pur non potendola dimostrare nel foro esterno, non può ugualmente accedere ai sacramenti.

Infatti: “È certamente vero che il giudizio sulle proprie disposizioni per l’accesso all’Eucaristia deve essere formulato dalla coscienza morale adeguatamente formata. Ma è altrettanto vero che il consenso, col quale è costituito il matrimonio, non è una semplice decisione privata, poiché crea per ciascuno dei coniugi e per la coppia una situazione specificamente ecclesiale e sociale. Pertanto il giudizio della coscienza sulla propria situazione matrimoniale non riguarda solo un rapporto immediato tra l’uomo e Dio, come se si potesse fare a meno di quella mediazione ecclesiale, che include anche le leggi canoniche obbliganti in coscienza” (Ibidem, § 8).

  1. Credo che non è possibile non riconoscere la mediazione ecclesiale nel valutare nullo il precedente matrimonio.

Infatti “Non riconoscere questo essenziale aspetto significherebbe negare di fatto che il matrimonio esiste come realtà della Chiesa, vale a dire, come sacramento” (Ibidem).

  1. Credo che un sacerdote, di fronte a un fedele che, pur vivendo more uxorio con persona diversa dal proprio coniuge legittimo, ritenesse giusto in coscienza di poter accedere all’Eucarestia, ha l’obbligo di ammonirlo che tale giudizio è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa.

Infatti, “I pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa” (Ibidem, § 6).

  1. Credo che l’errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato presuppone l’arrogarsi la facoltà di decidere in ultima analisi, sulla base del proprio pensiero.

Infatti: “L’errata convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria convinzione (cfr. Lettera enc.   Veritatis splendor, n. 55: AAS 85 (1993) 1178), dell’esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile

(Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 1085 § 2). Il matrimonio infatti, in quanto immagine dell’unione sponsale tra Cristo e la sua Chiesa, e nucleo di base e fattore importante nella vita della società civile, è essenzialmente una realtà pubblica” (Ibidem, § 7).

  1. Credo che i sacerdoti debbano illuminare la coscienza dei fedeli affinché questi non pensino che l’unico modo di partecipare alla vita della Chiesa sia quello di accostarsi all’Eucarestia.

Infatti: “È necessario illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione della recezione dell’Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella Messa, della comunione spirituale, della preghiera, della meditazione della Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia” (Ibidem, § 6).

  1. Credo che i sacerdoti confessori devono sempre mostrare pazienza e bontà nei confronti di chi non riesce ancora ad uscire dallo stato di peccato.

Infatti “Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare, Egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone” (Paolo VI, Lettera enciclica Humanae Vitae, 25-7-1968, § 29).

  1. Credo che possiamo e dobbiamo aiutare in tanti modi – che non siano l’ammissione alla recezione dell’Eucaristia – chi non riesce ancora ad uscire dallo stato di peccato.

Infatti dobbiamo ribadire che “I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli” (Benedetto XVI, esortazione apostolica Sacramentum Caritatis, 22-2-2007, § 29).

  1. Credo che un’assoluzione data con leggerezza e contraffatta misericordia a chi non ha le dovute disposizioni non può rendere felice lo stesso penitente.

Infatti: “Nessuna assoluzione, offerta da compiacenti dottrine anche filosofiche o teologiche, può rendere l’uomo veramente felice; solo la Croce e la gloria di Cristo risorto possono donare pace alla sua coscienza e salvezza alla sua vita”. (S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 120).

  1. Credo che i divorziati risposati civilmente e conviventi more uxorio non possono accedere alla Comunione eucaristica.

Infatti: “Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza” (CCC 1650).

  1. Credo che la norma che preclude la ricezione dell’Eucaristia ai divorziati risposati non deve essere considerata una sorta di punizione.

Infatti: “Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l’accesso alla Comunione eucaristica: «Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14-9-1994, § 4).

  1. Credo che ammettere i divorziati risposati all’Eucarestia, oltre a essere in sé una cosa cattiva, potrebbe indurre i fedeli in errore e in confusione.

Infatti “C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio” (Ibidem).

  1. Credo che Maria Santissima, debellatrice di tutte le eresie, debellerà anche gli errori circa la dottrina sul matrimonio.

Ne sono certo, perché Ella “non accetta che l’uomo peccatore venga ingannato da chi pretenderebbe di amarlo giustificandone il peccato, perché sa che in tal modo sarebbe reso vano il sacrificio di Cristo, suo Figlio” (S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 120).

San Benedetto del Querceto (BO), 20 febbraio 2018
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[1] «“Solo un cieco può negare che nella Chiesa ci sia grande confusione”. Intervista al cardinale Caffarra», Il Foglio, 14-1-2017, https://tinyurl.com/ybhlmbt8.

[2] Ibidem
[3] Eb 11,1, come reso da Dante in Par. XXIV, 64-65.

[4] “Substantia enim solet dici prima inchoatio cuiuscumque rei, et maxime quando tota res sequens continetur virtute in primo principio”; Summa theologiae, IIª-IIae q. 4 a. 1 co.

[5] “Formale autem obiectum fidei est unum et simplex scilicet veritas prima, ut supra dictum est. Unde ex hac parte fides non diversificatur in credentibus, sed est una specie in omnibus”; Summa Theologiae, IIª-IIae q. 5 a. 4 co.

[6] “… ea quae materialiter credenda proponuntur sunt plura, et possunt accipi vel magis vel minus explicite. Et secundum hoc potest unus homo plura explicite credere quam alius. Et sic in uno potest esse maior fides secundum maiorem fidei explicationem.”; Ibidem

[6 bis] «Solo un cieco…»

[7] Permanere nella verità di Cristo – Convegno internazionale in vista del Sinodo sulla famiglia, Roma, 30 settembre 2015.

[8] È possibile vedere il video dell’intervista qui: https://youtu.be/iKRLWE96RCw.

[9] Testo ripreso da: «Un’altra lettera dei quattro cardinali al papa. Anche questa senza risposta», Settimo cielo, 20 giugno 2017, https://tinyurl.com/ycxkt235.

[10] “Unde et Dominus, Luc. XXII, Petro dixit, quem summum pontificem constituit, ego pro te rogavi, Petre, ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus confirma fratres tuos. Et huius ratio est quia una fides debet esse totius Ecclesiae, secundum illud I ad Cor. I, idipsum dicatis omnes, et non sint in vobis schismata. Quod servari non posset nisi quaestio fidei de fide exorta determinaretur per eum qui toti Ecclesiae praeest, ut sic eius sententia a tota Ecclesia firmiter teneatur”. Summa theologiae, IIª-IIae q. 1 a. 10 co.

[11] Lumen gentium, 25.

[12] «Santità, la prego risponda a queste tre domande su Amoris Laetitia», a c. di Maike Hickson, http://tinyurl.com/hhfqe3f.
[13] Trattato della vera devozione a Maria, § 59.

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