E DIO CREO ADAM

Creazione Michelangelo2

 R. P. Carlos Pereira, VE.

     La Sacra Scrittura inizia presentandoci la creazione dell’universo esposta in due bei racconti che sono complementari e non opposti tra di se. La creazione è allora opera di un Dio personale che pensa, vuole, dice e comanda. Questo è un Dio che sa scegliere – ben diverso da un impreciso spirito universale emanante – e decide dunque di creare l’uomo: Dio disse: «Facciamo l’uomo a (secondo la) nostra immagine, come nostra somiglianza…» (Gen 1,26), e così fece inseguito (Gen 1,27): Dio creò l’uomo (et ha-adam) a sua immagine; a immagine di Dio lo creò (barā otô); maschio e femmina li creò (barā otam). In questi due versetti si trovano le prime due ricorrenze nella Scrittura del termine uomo, per il quale s’impiega l’ebraico adam, tradotto talvolta mediante il nome proprio “Adamo”.

            Esaminando il versetto 1,27, scopriamo che viene detto allora che Dio creò l’uomo. Il complemento oggetto ‘uomo’ viene sostituito nella frase seguente per il pronome personale (lo), come di solito capita con i complementi oggetto per evitare la ripetizione (si dice infatti che lo creò); poi verrà invece detto che li creò (plurale), dal momento che questo stesso adam presenta una certa pluralità o almeno dualità: Si dice infatti che è maschio e femmina. Questa apparente ambivalenza di significati di adam in 1,27 porterà molti a dire che effettivamente adam non significa un solo uomo ma l’umanità in astratto, maschio e femmina.

            L’ebraico usa per il complemento oggetto una particella: et od ot, secondo il caso, alla quale si aggiunge o il nome o dalle volte un suffisso per indicare il pronome personale. Dunque, nella Genesi, il verbo creare (barà) viene accompagnato da suffissi diversi:

–          Barà otô: suffisso maschile singolare, per dire: lo creò.

–          Barà otah: suffisso femminile singolare, per dire: la creò.

–          Barà otam: suffisso plurale (maschile), per dire: li creò.

          Il versetto 1,27 della Genesi utilizza una volta il suffisso maschile singolare otô ed una volta il suffisso plurale otam. Nei versetti precedenti, quando si parla della creazione delle diverse specie animali dopo il quinto giorno (1, 21 in poi), vediamo che il testo usa il suffisso femminile singolare per riferirsi alla specie o al genere in quanto tale; così due volte in 1,25 e due in 1,26 per parlare di bestie e viventi della terra (nel dire ad esempio: secondo la sua specie…). Usa invece il suffisso maschile singolare quando il riferimento è ad un individuo pure se indefinito, come ad esempio: ogni (kol) bestia della campagna … (in 1,21 e in 1,25). Non si usa invece il suffisso plurale tranne in due eccezioni: la prima nel versetto 1,21 che avviene dopo un verbo in plurale (per indicare le creature che brulicano le acque). La ricorrenza dopo un verbo coniugato al plurale giustifica il suo uso al plurale. L’altra è in 1,22 per indicare collettivamente tutte le creature del mare e del cielo insieme. Allora, abbiamo che per gli animali si usa:

–          Il suffisso femminile singolare per designare la specie (tuttora le lingue semitiche usano il femminile singolare per significare il plurale di cose o animali, cioè degli irrazionali).

–          Il suffisso maschile singolare per l’individuo, in senso partitivo, e non il plurale.

         Invece per l’uomo (1,27) si usa una volta il suffisso maschile singolare, il quale ci indica almeno che non si può escludere il riferimento al singolo individuo, guardando a come è stato utilizzato nei versetti precedenti. Lo stesso versetto usa una seconda volta il suffisso plurale – come abbiamo visto-, il che nel caso dell’uomo (razionale) può soltanto essere sostituito per individui (e non per la specie), quindi otam, riferito a maschio e femmina deve collegarsi a due individui e non alla specie.[1] Quindi, la relazione di adam in 1,27 con un singolo individuo appare come necessaria, anche se il termine significasse congiuntamente la specie.

          Inoltre, il termine adam compare tantissime altre volte nell’Antico Testamento (367 volte senza articolo determinato: sia come uomo in genere, sia come un uomo o pure in parola composta – come figlio di uomo-; e 140 volte con l’articolo determinativo: l’uomo). Il suo significato è effettivamente ambivalente; tante volte sembra sì che significhi umanità ma tante altre volte sembra non significarla affatto. Lo stesso libro della Genesi userà ancora il termine come riferito ad un singolo uomo, in concreto il primo, sia usando l’articolo determinativo: E disse Adamo: Questa è veramente ossa delle mie ossa e carne della mia carne…(2,23),[2] sia senza questo articolo: Quindi Adamo conobbe ancora sua moglie, che partorì un figlio… (4,25). Lo stesso si ripete in Gen 5, 3-5. Fuori della Genesi, ci sono anche molte ricorrenze di Adamo significando uomo concreto – questa volta diverso dal primo uomo-, sia con l’articolo determinativo: Arba era stato l’uomo più grande fra gli Anachim (Giosuè 14,15), sia senza questo articolo: L’uomo che abbia toccato rettile che l’abbia reso impuro, o che abbia avuto contatto con uomo che l’abbia reso impuro di ogni sorta di impurità… (Lev 22,5).

          Sarebbe allora incorretto fare ricorso al solo termine per determinare univocamente il suo significato collettivo di umanità, che tante volte è assente. E non si può nemmeno ricorrere al suo uso in Gen 1,27, come abbiamo esposto sopra.

          Cosa ha detto il Magistero della Chiesa al riguardo? Ovviamente, l’accettare il senso collettivo del termine Adam nella sua prima ricorrenza nella Genesi aprirebbe facilmente la porta alla possibilità di pensare che forse mai è allora esistito un primo uomo, ma che essendo creata l’umanità come tale, sorsero di qua e di là diverse germogli umani. Questo si conosce come ipotesi del poligenismo.

         Il Papa Pio XII, nell’enciclica Humanis Generis si è espresso molto chiaramente al riguardo: «Però quando si tratta dell’altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I fedeli non possono abbracciare quell’opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l’insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (cfr. Rom. V, 12-19; Conc. Trident., sess. V, can. 1-4)».[3]

           Nelle righe precedenti, il Papa indica chiaramente come sebbene esiste certa libertà per accettare la possibilità – con le rispettive misure e salvando il giudizio della Chiesa- di considerare che per la formazione del corpo umano Dio abbia utilizzato materia già preesistente (ad esempio degli animali), questo non vale però per l’anima, dove la Fede ci chiede di accettare che ogni singola anima che viene al mondo è creata direttamente da Dio; eppure questa libertà non esiste per ciò che riguarda l’ipotesi poligenista. Più recentemente, Giovanni Paolo II ha ricordato che la dottrina di Pio XII su questi argomenti era da tenersi definitiva: «La risposta del magistero è stata offerta dall’enciclica Humanis generis…»[4]

        Tornando al nostro versetto di 1,27, nonostante il rapporto tra adam (uomo) e adamah (terra, polvere) sia ben esplicito nel testo, permettendo di fondare qualche legame etimologico, la forza del termine adam significando ‘uomo’ è tale, che perfino grandi esegeti come il padre Marie- Joseph Lagrange, fondatore dell’Ecole Biblique di Gerusalemme, pensano che procedano da radici diverse. Ammette lui, infatti, che esiste un legame tra uomo e terra (2,7; 3,19), ma mentre adamah viene da ‘rosso’ (il colore della terra conosciuta nel deserto, in contrasto con l’Egitto), adam verrebbe da una radice assira che significa “edificare” o “creare”.[5]

          I termini usati della Scrittura sono precisi, come ricordava già San Tommaso.[6] Questa precisione, lontana da ogni ambiguità, deve essere considerata una prova tangibile della sapienza e dell’amore di Colui che ha saputo parlare da sempre, e parla ancora con parole di Vita Eterna per la nostra salvezza.

 

[1] Si ripete ancora una volta lo schema in Gen 5,1 dove si usa il suffisso singolare per dire lo fece, in riferimento a Adam. Ed in Gen 5,2 si usa il suffisso plurale per dire li creò (di nuovo in riferimento a maschio e femmina).

[2] In ciò che segue del versetto: Sarà chiamata donna, perché dall’uomo è stata presa, il testo utilizza ish per ‘uomo’, lo quale mette in piano di uguaglianza di significati i termini adam e ish nella Genesi.

[3] Pio XII, Humanis Generis, del 22/08/1950 (AAS 42 [1950] 575 / DS 3896)

(www.vatican.va/holy_father/pius_xii/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_12081950_humani-generis_it.html)

[4] G P. II, Udienza generale del 16.04.1986, n. 7.

(www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1986/documents/hf_jp-ii_aud_19860416_it.html)

[5] Cf. M-J. Lagrange, La Genèse (Et. Bib. 1 ; Paris 1905), 45.

[6] Cfr. Tom. di Aquino, Somma Teologica, I, 74, a.3

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