Il primo problema che riguarda la chiamata teoria evoluzionista consiste – come era stato segnalato esplicitamente dal Magistero ecclesiastico – in che si tratta propriamente di un insieme composto da una teoria scientifica ed una filosofica, che han bisogno l’una dell’altra per sopravvivere e si sorreggono a vicenda. L’ipotesi scientifica si basa sul sistema filosofico; la tesi filosofica, per giustificarsi, si fonda a sua volta sulla presunta teoria scientifica. In questo senso, possiamo distinguere tre tipi storici di teorie evoluzionistiche.
1. L’evoluzionismo darwiniano
L’origine delle specie di Darwin viene dunque presentata, come una “teoria dello sviluppo” che offre una base scientifica alla concezione filosofica evoluzionista; cioè alla tesi prima hegeliana e poi marx-leninista secondo qui «il mondo non è stato fatto, non è stato creato, […] esso non è un essere immutabile, ma un devenire che produce se stesso».[1] Dunque, la teoria filosofica è quella dell’idealismo di Hegel, con la proiezione marxista-leninista sulla società, la storia e sulla materia.
E’ stato, infatti, lo stesso Lenin a scrivere che: «Se Darwin ci insegna che gli anfibi e gli uccelli non sono specie tra loro separate, ma esseri viventi, sorti gli uni dagli altri e trapassanti gli uni negli altri, Hegel ci insegna che tutte le specie, il mondo intero costituiscono un essere vivente, che non ha mai confini immobili; che il conoscibile e l’inconoscibile è qualcosa che attiene alla concezione religiosa dualistica, e non alla concezione monistica del mondo…»[2]. Bisogna avvertire addirittura, che la concezione darwiniana influì pesantemente sulle politiche e pratiche eugenetiche che furono normali in Stati Uniti ed in Europa (specialmente nella Germania di Hitler, anche se non solo) durante i primi decenni del secolo XX. “La teoria darwiniana non stabilisce semplicemente che l’evoluzione sia un fenomeno che coinvolge tutto e che è all’origine di tutte le specie, ma si basa, in quanto teoria delle cause, su poche e vaghe idee piuttosto disparate: alcune di natura empirica, qualche altra metafisica”.[3]
2. L’evoluzionismo postmoderno
Dopo il crollo dei totalitarismi del secolo XX, è sorto un certo evoluzionismo postmoderno, che pretende forse dissociarsi della dipendenza diretta dei certi sistemi filosofici – specialmente il dualismo di Cartesio- ma continua nonostante con la dottrina di un ‘auto-sviluppo’, immanente al mondo, privo di ogni sorta di causalità esterna. In effetti, esistono alcuni “sociobiologi” come E. O. Wilson, Richard Dawkins (chi è divenuto un campione dell’ateismo militante), e Peter Singer ripropongono un “neo-darwinismo morale”, che si liberi insieme dal creazionismo moderno e del marxismo.[4] Dawkins e Singer formano parte del “Great Ape Project”, in cui, richiamandosi alle teorie evoluzioniste, si sostiene l’uguaglianza di natura tra l’uomo e le grande scimmie”.[5]
L’evoluzionismo lascia senza risposta due grandi problemi: a) Il primo è quello dell’immutabilità delle specie, b) il secondo è quello dell’origine della vita, e in qualche modo, dell’universo.
a) Riguardo il primo, l’evoluzionismo, sia quello di Darwin, Lamarck o i postmoderni hanno appunto il punto di partenza nel rifiuto dell’idea di specie. Quest’ultima, invece, si fonda sull’idea dell’immodificabilità dei caratteri geneticamente trasmessi. In questo senso, bisogna riconoscere che, in quasi due secoli di ricerca, nessun anello di congiunzione è stato portato alla luce né si conosce un caso di trasformazione di una specie in altra; solo estinzione di specie esistenti.
La specie è una classe di essere viventi caratterizzata da forme ben definite, costituenti un tipo ereditario e feconda all’interno degli individui che la compongono (nella filosofia tradizionale si parla di un principio, l’essenza della specie, che abbracci tutto ciò che è essenziale e fondamentale alle individui che la compongono). Le diverse classi di razze, ad esempio, sia nell’uomo che negli animali, sono dei ‘tipi’ di una stessa specie, per quanto diverse possano sembrare le une delle altre. D’altra parte, la biologia cellulare insegna che le “variazioni” delle mutazioni naturali dei geni possono al più modificare aspetti secondari degli individui (come l’altezza, il colore della pelle, ecc.) ma non potranno mai mutare una specie in un’altra. Esistono certe possibilità di modifiche, nella vita dei viventi, ma esistono altrettanto dei limiti.
In genetica, la scoperta del DNA conferma proprio questo; un elemento di stabilità della specie. Tutto quello che si può produrre in laboratorio è sempre “all’interno” della specie.[6]
b) Questo ci porta al secondo problema, perché sapere che non è possibile la trasformazione di una specie in un’altra è uguale a dire che qualsiasi specie non può neanche “auto-crearsi” (perché si trasformerebbe da sola, dal nulla o dalla sola materia). Ci porta quindi al problema della non possibilità di auto-generazione o creazione delle specie, della vita, e alla non riducibilità delle forme vitale alla sola materia.
A questo proposito, afferma John Roth: «Ho studiato attentamente le idee molecolari, chimiche e fisiche sull’origine della vita … mai ho trovato una spiegazione che potesse essere soddisfacente … Il problema fondamentale risiede nel modello originale (sia esso DNA o RNA) che sarebbe stato necessario per dare avvio al primo sistema vivente il quale avrebbe quindi subito un processo di evoluzione biologica. Persino ridotto al minimo essenziale, tale modello deve essere stato realmente molto complesso. Per tale modello … da solo appare oggi ragionevole suggerire la possibilità di un creatore (…) Le probabilità che un simile modello si formi per caso sono circa 1 su circa 10300».[7]
Prendendo non già i calcoli di statistiche (che sarebbero certamente da considerare) ma il comportamento stesso degli esseri, riappare dunque il problema dell’irriducibilità della vita alla sola materia. In effetti, gli scienziati hanno osservato – seguendo la strada ormai tracciata da Erwin Schrödinger – che le sostanze organiche sono in parte governate da principi che sono antitetici rispetto a quelli che governano la materia inorganica.[8] Questo autore citato ha un pensiero confuso dal punto di vista filosofico, ad ogni modo mostra la novità della vita come fenomeno che si manifesta con delle leggi ed attività diverse a quelle che governano la materia inanimata. Gli oggetti materiali inanimati, infatti, sottostanno alle leggi termodinamiche del cosmo inanimato ed obbediscono ai principi di entropia che implicano una transizione crescente verso stati di minore energia e di sistemi meno ordinati; gli organismi viventi, invece, si comportano secondo principi di “entropia negativa”, un fenomeno positivo di essere viventi che si sviluppano verso sistemi più ordinati ed organizzati energetica e materialmente.
Queste due primi sistemi evoluzionistici sono chiaramente falsi e confutabili filosoficamente, da una filosofia della vita, degli animali, dell’anima e della personalità umana, della conoscenza e della libertà e attraverso l’investigazione del fine delle cose e delle loro cause.
3. L’evoluzionismo teista
Una certa corrente, che si è imposta in ambienti diversi con il trascorso del tempo, accetta un processo evolutivo iniziato da un “Big Bang” prodotto da un Creatore che ha progettato la materia come capace di produrre la vita, e la prima cella come capace di produrre tutte le specie diverse. L’evoluzione, allora, consisterebbe nel “modo divino di produrre il resto del mondo dalla materia”. Questa concezione sembra teista – nel senso di lasciare spazio alla Creazione di Dio- ma dovrebbe in rigore essere chiamata deista, e partecipe allora da quella ormai vecchia eresia, che considerava un primo essere divino generico come capace di dare la prima spinta al primo nucleo confuso materiale che sarebbe l’universo, il quale si svilupperebbe poi in forme diverse, per via di evoluzione. Questa posizione non risponde infatti al quesito dei diversi “ordini degli esseri” che non potranno mai “evolvere” l’uno dall’altro: il vivente dal morto, il personale dall’impersonale, lo spirito dalla materia.
Una versione limitata di quest’ultima teoria, in una forma intermedia, accetta la creazione divina dal nulla e la creazione delle specie diverse, ma lascia spazio per la creazione in solo quattro punti: 1 – all’inizio; 2 – alla creazione della prima vita vegetativa (in senso generico, della vita); 3 – all’inizio della vita sensitiva animale; 4 – all’origine di ogni anima umana. Questa potrebbe essere inquadrata in quella che il Magistero del Papa Pio XII (nell’Humani Generis) sembrava accettare con degli avvisi e riserve (vedere un nostro ‘post’ precedente). Questa posizione non costituirebbe affatto teoria dell’evoluzionismo in senso proprio. Ci sono comunque dei critici che considerano perfino quest’ultima versione ancora improbabile: Uno dei problemi principali, infatti, risiede negli innumerevoli “anelli mancanti” tra le diverse specie, e la quasi completa assenza nei fossili di tracce delle “innumerevoli forme di vita transitorie” che si dovrebbero postulare per poter parlare di una certa ‘evoluzione di una specie nell’altra’ (Darwin certamente le postulava).[9]
4. Conclusioni
1 – La teoria dell’evoluzione è in realtà un’ipotesi che dista molto da essere provata; essa è un misto di teorie scientifiche, con una buona dosi di teorie vaghe e antiscientifiche, con dei presupposti pseudo-filosofici che operano in mezzo a delle assunzione infondate, erronee ed equivoci;
2 – I primi due modelli di evoluzionismo presentati sono falsi e confutabili filosoficamente, da una filosofia della vita, dei viventi, dell’uomo, della personalità umana; implicano la negazione della causalità necessaria, suppongono che dal non esistente si produca l’essere spontaneamente.
3 – Il terzo modello presentato può essere accettato entro certi limiti e sempre come ipotesi; non sono pochi comunque, quelli che pensano che dovrebbe essere riformulato alla luce di un’illuminazione e guida del intero processo da parte di un principio esterno intelligente (come ad esempio, sarebbe riformulare il modello secondo le rationes seminales di Sant’Agostino). Ricordiamo che sia Huxley che Haeckel o Darwin postulavano l’origine della vita a partire di principi “senza intelletto”.
4 – Qualsiasi modello di evoluzione incontra comunque, una gran quantità di serie difficoltà (anelli mancanti, certe qualità delle specie che non hanno riscontro in altre, ecc.).
5 – Ogni buona teoria scientifica e filosofica dell’origine della vita deve rispettare l’irriducibilità della vita e soprattutto della persona umana, e quindi escludere qualsiasi elemento riduzionista che contraddica l’evidenza dell’esistenza dello spirito.[10]
Le fonte utilizzate in questo articolo sono rigorosamente citate.
[1]Roberto di Mattei, Introduzione. L’evoluzionismo: Scienza o cosmogonia? in Evoluzionismo: Il tramonto di un’ipotesi, a cura di R. di Mattei, Ed. Cantagalli, Siena 2009, 5-7.
[2]V. I. Lenin, Incursioni di un socialista nel campo della teoria della conoscenza, in Opere scelte, tr. it. Edizioni Riuniti, Roma e Edizione Progress, Mosca, 1973, vol. III, 684-730 (718).
[3]Josef Seifert, Riflessioni critiche sull’evoluzionismo come teoria scientifica o pseudo e ideologia atea, in Evoluzionismo, p. 32.
[4]Pubblicazioni: R. Dawkins, Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere vivente, tr. it. Mondadori, Milano 1989. P. Singer, Una sinistra darwiniana. Politica, evoluzione e cooperazione, tr. it. Comunità, Torino 2000.
[5]Cfr. S. Bauzon, Great Ape Project, in Darwinismo e problemi di giustizia, a cura di F. D’Agostino, Giuffré, Milano 2008.
[6]Cfr. R. di Mattei, Introduzione. L’evoluzionismo: Scienza o cosmogonia? in Evoluzionismo, p. 23.
[7]Cfr. J. Roth, The Piling of Coincidence on Coincidence,in Josef Seifert, Riflessioni critiche sull’evoluzionismo come teoria scientifica o pseudo e ideologia atea, in Evoluzionismo, p. 46.
[8] Cfr. E. Schrödinger, What Is Life? The Physical Aspect of the Living Cell, Cambridge 1944, cc. VI-VII, in J. Seifert, Riflessioni critiche sull’evoluzionismo, in Evoluzionismo, p. 50.
[9]Cfr. R. di Mattei, Introduzione. L’evoluzionismo: Scienza o cosmogonia? in Evoluzionismo, p. 61.
[10]Versione libera delle conclusioni come le presenta Di Mattei in op.cit., p. 64. Quest’ ultimo anche in K. Wojtyla, Subjectivty and the irreducible in the Human Being, in “Analecta Husserliana”, D. Reidel, Dordrecht 1978, VII, 107-114.