GIOVANNI BATTISTA: FIGURA dell’AVVENTO

GIOVANNI BATTISTA: FIGURA dell’AVVENTO

San Giovanni Battista. Atribuito ad Alejandro de Loarte (s. XVI) – Museo del Prado (Madrid)

Il periodo di Avvento ci presenta spesso dei Vangeli in cui compare il cosiddetto “Precursore” di Gesù, Giovanni Battista. La figura del Battista compare nei quattro Vangeli canonici: in alcuni di essi, come in Marco, è la prima figura ad apparire, presentata con il compimento della profezia detta da Isaia (che in realtà è una combinazione di Malachia 3,1 con Isaia 40,3): “Ecco, io mando il mio messaggero davanti a me per prepararvi la strada. Una voce grida nel deserto: ¡Preparate la via al Signore, raddrizzate i suoi sentieri!” (Mc 1, 2-3). In Matteo, dal capitolo 3 in poi, leggiamo una presentazione piuttosto simile del Battista. In Luca (3, 3-18) vediamo un quadro molto più dialogico tra Giovanni e i diversi gruppi di persone che venivano a farsi battezzare da lui.

Nel Vangelo di Giovanni, invece, la figura del Battista compare dopo il Prologo, dopo cioè il versetto 19, per cui l’intera sezione 1, 19-34, può essere chiamata: testimonianza di Giovanni su Gesù.

 

 

 

1 – Struttura di questa sezione (Gv 1, 19-34)

Il versetto 1,19 funge da “titolo” per gran parte della sezione sopra citata, perché in esso viene presentata ufficialmente la testimonianza di Giovanni (il Battista). Si può notare una certa inclusività tra questo versetto e il v. 32, o forse anche il v. 34, come segue:

v. 19: Questa è la testimonianza di Giovanni (Καὶ αὕτη ἐστιν  μαρτυρία τοῦ Ἰωάννου).

v. 32: E Giovanni rese testimonianza, dicendo (Καὶ ἐμαρτύρησεν Ἰωάννης λέγων);

v. 34: E ho visto e testimoniato che questo è il Figlio di Dio (κἀγὼ ἑώρακα καὶ μεμαρτύρηκα ὅτι οὗτός ἐστιν ὁ υἱός τοῦ θεοῦ).[1]

L’intera sezione ruota attorno alla testimonianza di Giovanni. Questo si prolunga ancora un po’ (forse fino al v. 36), ma serve piuttosto a introdurre Gesù, che diventa, con i suoi primi discepoli, il protagonista della sezione successiva. Possiamo dividere la sezione che abbiamo indicato come segue:

A) La testimonianza indiretta di Giovanni su Gesù (1, 19-28), che può essere ulteriormente suddivisa:

1) La persona di Giovanni (1, 19-23);

2) Giovanni battezza (1, 24-28). L’indicazione temporale: il giorno successivo (Τῇ ἐπαύριον) segna l’inizio della divisione successiva.

B) Testimonianza diretta di Giovanni (1, 29-34 [36]), che al v. 29 “vede Gesù venire da lui”. Si parla anche dell'”Agnello di Dio” al v. 29: Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. L’indicazione temporale del v. 35: Il giorno dopo, e la nuova menzione di Gesù come “Agnello di Dio” al v. 36, inquadrano la fine del brano e il passaggio al successivo, motivo per cui riteniamo che si possa estendere fino al v. 36, e che si possa anche dividere in due sottosezioni:

1) Giovanni afferma che Gesù lo precede ed è più grande (vv. 29-31);

2) La testimonianza di Giovanni su Gesù (vv. 32-34).

2 – Testimonianza indiretta di Giovanni su Gesù (vv. 19-28)

vv 19-21: Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta». «No», rispose.

Egli confessò e non negò. Confessò: Brown sostiene che l’espressione è tautologica, anche in San Giovanni, perché è l’unica volta che si trova in questa forma. Non può essere spiegato, a quanto pare, nemmeno per analogia con la mentalità semitica. Egli ammette che lo scopo è puramente redazionale, cosa che pensiamo anche noi, anche se forse per un motivo diverso.[2] L’evangelista intende probabilmente sottolineare la confessione di Gesù, poiché uno degli scopi principali del Vangelo sembra essere il rafforzare la fede dei cristiani. Beutler sostiene: “Nei punti più alti del testo evangelico, i discepoli di spicco formulano la confessione a cui tutto il Vangelo secondo Gv 20,31 intende condurre”.[3]

            Tommaso d’Aquino, ad esempio, afferma che l’evangelista ripete “confessò” per mettere in luce l’umiltà di Giovanni, e dice che “non negò” per affermare che non negò la verità; perché disse di non essere il Cristo.[4] Afferma anche, secondo Origene, che i sacerdoti e i leviti sarebbero venuti da lui con retta intenzione. Conoscevano infatti dalle Scritture, e particolarmente dalla profezia di Daniele, che era ormai giunto il tempo della venuta di Cristo. Vedendo quindi la santità di Giovanni, ebbero il sospetto che egli fosse il Cisto: e così inviarono dei messaggeri, per vedere se ala domanda: “Chi sei tu?”, egli avrebbe confessato di essere il Cristo. Giovanni perciò risponde al loro pensiero, col dire: “Non sono il Cristo”. Il Crisostomo invece pensava che costoro fossero venuti a interrogarlo con malizia, e rispose in questo modo per smascherarli.[5]

– Sei tu (Mosè, Elia, il Profeta)? No!: La negazione, in ogni caso, è enfatica. Nel primo caso (v. 20), si trova come complemento del verbo “confessare” (ōmológēsen); è una confessione di carattere negativo (“Non sono il Messia”), che segue un tono piuttosto narrativo. Il secondo caso è una negazione ancora più diretta, anche se con il verbo essere: “non sono” (ouk eimí), che pone già una certa enfasi, e nel terzo caso la risposta è ancora più diretta: “no!” (). Entrambi si trovano nel v. 21; il primo riguarda la sua identità con Elia e il terzo con “il Profeta”.

La profezia di Mal 3,1 è facilmente applicabile e riconoscibile nella persona e nella funzione di Giovanni: Ecco, io mando il mio messaggero a preparare la via davanti a me (Mal 3,1), dove Dio parla indicando l’avvicinarsi del Messia.

Per quanto riguarda Elia, certamente la certezza della sua venuta prima del giorno del Signore ha il suo fondamento in una profezia che si legge anche in Malachia e che gli ebrei conoscevano bene: Vi manderò il profeta Elia prima della venuta del giorno del Signore, grande e terribile (Mal 4,5). Il contesto è simile alla già citata profezia di 3,1, dove il Signore parlava di inviare il suo messaggero prima della manifestazione del suo giorno, per cui è comprensibile la domanda dei sacerdoti a Giovanni che associa la figura di Elia al Messia. Se non era l’uno, Giovanni poteva benissimo essere l’altro. Non dimentichiamo che gli stessi Apostoli, scendendo dal monte della Trasfigurazione, dove hanno visto Mosè ed Elia conversare con Gesù, e riconoscendo quest’ultimo come più grande (come suggerisce il testo di Lc 9,31)[6], chiedono a Gesù come mai gli scribi dicono che Elia deve venire prima (Mt 17,10; Mc 9,11). Gesù risponde che Elia era già venuto nella persona di Giovanni Battista (Mt 17,12; Mc 9,13), affermando così la verità della profezia e dell’interpretazione degli scribi. Giovanni Battista, tuttavia, non afferma di essere Elia. Alcuni autori hanno rifiutato la possibilità che si parli di identità personale da un lato (secondo cui il Battista afferma di non essere Elia personalmente), e della sua funzione dall’altro (Gesù sta dicendo che il Battista è Elia in termini di missione). Personalmente, pensiamo che questa sia l’unica possibilità e, inoltre, coincide con quanto Luca anticipa quando inserisce la voce dell’arcangelo Gabriele che appare a Zaccaria: Egli andrà avanti, nello spirito e nella potenza di Elia, per riconciliare i padri con i figli (Lc 1,17).[7]  Il testo esiste senza dubbio; ciò che deve essere accettato è l’unità del Nuovo Testamento e di tutta la Bibbia in generale, unità che permette di dimostrare la veridicità di alcuni testi a partire da altri. Questo, insieme alla fede nell’ispirazione biblica, finisce per essere sempre il punto chiave.

Per quanto riguarda il “Profeta”, è stato suggerito che l’aspettativa di tre personaggi escatologici fosse fortemente radicata nella presunta “comunità di Qumran”, e forse in alcuni Sadducei: Elia, il Profeta e il Messia. Alcuni scritti extrabiblici sembrano suggerirlo, ma soprattutto abbiamo la citazione di Dt 18,15, dove Mosè stesso annuncia la venuta di un profeta successivo, simile a lui.[8] Poiché si può ritenere che ciò sia avvenuto in Israele ogni volta che Dio suscitava un grande profeta (tra i vari che ci sono stati), è per questo motivo che l’aspettativa di questo terzo personaggio non è così chiara.[9] Negando di essere identico a questi tre personaggi tanto desiderati, Giovanni riafferma la sua identità di Precursore.

vv 22-25: Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?» Rispose: «Io sono la voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?»

Se si intende che erano gli stessi inviati di prima, cosa significa l’espressione “dei farisei”? Alcuni autori hanno pensato che si trattasse di un altro modo generico di designare “i Giudei” – come nel v. 19 -, forse per non ripetersi o per rendere più chiara la loro origine. In questo caso, si tratterebbe di una semplificazione.[10]

«Io sono la voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia»:

Questa è la dichiarazione del Battista, che si riferisce a Isaia. In Isaia 40:3 leggiamo: “Una voce grida nel deserto: «preparate la via del Signore! Raddrizzate nella steppa la strada per il nostro Dio».[11]  La stessa citazione si trova in Mc 1, 2-3, anche se in questo caso combina il testo di Isaia con quello di Es 23,20 alla maniera di Mal 3,1, che sembra conoscere il testo dell’Esodo.[12] Il testo di Giovanni non sembra sottolineare testualmente la profezia di Malachia, come fanno i Sinottici.[13] La forma in cui lo troviamo in Giovanni pone l’immagine del deserto sul soggetto (la voce), mentre i Sinottici, attraverso la punteggiatura, la pongono più sulla profezia stessa (nel deserto, preparate la via).[14] In tal caso, si trattava di una profezia che non suonava strana alle orecchie di un israelita, essendo facilmente riconoscibile da scribi e farisei.

vv. 26-28: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betania, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

            Giovanni afferma che l’altro, a cui prepara la strada, è già “in mezzo (μέσος ὑμῶν ἕστηκεν) a voi”, una chiara allusione alla vicinanza di Cristo, e forse al fatto che il Battesimo era già avvenuto, cosa che Giovanni stesso lascia intendere più categoricamente più avanti (v. 32). I Sinottici non riportano questa espressione. “Sciogliere i legacci dei suoi sandali” è evidentemente un semitismo, di uso comune, utile per esprimere una certa indegnità.

            “Colui che viene dopo di me” (ὁ ὀπίσω μου ἐρχόμενος) utilizza il participio sostantivato (ho erjómenos), di uso comune in Giovanni e nei Sinottici. Nel primo caso, di solito è accompagnato da qualche preposizione di luogo o posizione, come “emprothen” (“di fronte; opposto”), “epánō” (“sopra”) o “opísō” (“dietro”), preposizione questa che si ripete nel v. 30. L’espressione “colui che viene” ricorre nella profezia di Malachia (3,1), il che favorisce il collegamento Elia-Giovanni Battista, ma in Malachia ricorre con la forma coniugata del verbo erjomai (erchomai).

3 – Testimonianza diretta di Giovanni (vv. 29-34)

vv 29-31: Il giorno dopo vide Gesù venire verso di lui e disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua perché egli fosse manifestato a Israele».

La sezione inizia con l’indicazione temporale “tē epaúrion” (τῇ ἐπαύριον) = “il giorno dopo”, tipica di tutta la pericope (si ripete al v. 35 e al v. 43). Il Battista dà qui una testimonianza diretta di Gesù, vedendolo venire da lui, e lo indica come l’Agnello di Dio (ὁ ἀμνὸς τοῦ θεοῦ), usando la parola “amnós” invece del più diffuso árnion (diminutivo di arēn). Il primo termine è usato anche in Isaia 53,7 (versione dei LXX), e in Atti 8,32, nel citare proprio quel passo di Isaia.

Infatti, le immagini dove questa espressione si rispecchia sono:

1) L’agnello apocalittico, come menzionato in alcuni scritti apocalittici dell’epoca, come il Testamento dei Dodici Patriarchi 19,8 e in Enoch 90,38, essendo in entrambi i casi una figura trionfante (nel secondo fa più parte di un’allegoria formata da animali). Il modo in cui i Sinottici descrivono la testimonianza di Giovanni su “colui che deve venire” (Mt 3,12; Lc 3,17) è strettamente legato all’Agnello come descritto in Ap 7,17 e 17,14, dove nel secondo caso si parla soprattutto dell’Agnello glorioso.[15] È la posizione di autori come Dodd, ad esempio.[16] In ogni caso, il termine usato nell’Apocalisse è arnion. Brown ipotizza che la differenza terminologica trovata fra l’Apocalisse e il Vangelo giovanneo (tenendo conto che ci sono diversi termini), sia prova che, pur appartenendo alla stessa scuola giovannea, sono stati ambedue scritti da autori diversi, pur affermando nel contempo che Giovanni potrebbe aver scelto “amnós” nel Vangelo spinto da motivi teologici.[17] Quest’ultima affermazione, perfettamente valida, è anche una prova che potrebbe trattarsi dello stesso autore in entrambi i casi.

2) L’agnello (amnós) menzionato nel quarto cantico del servo di Dio (Is 53,7), che non apre la bocca davanti a chi lo tosa e che simboleggia il servo di Dio. Si combina perfettamente con l’interpretazione del servo di Dio in Giovanni, in particolare con Gv 12, 20-43.[18] Il “servo di Dio” in Isaia porta i crimini e il peccato di tutti (cfr. Is 53, 11-12). Brown – che appoggia questa interpretazione – sostiene che il testo di Isaia 53,7 è applicato a Gesù in Atti 8,32 e che la somiglianza tra l’Agnello e il servo in Isaia era già nota ai cristiani.[19] Inoltre, tutti i canti del servo di Yahweh si trovano nella seconda parte di Isaia (capitoli 40-55), che è la parte del libro del profeta più applicabile a Giovanni Battista, giacché l’espressione “voce che grida nel deserto” si ne trova propriamente all’inizio (Is 40,3).

I due versetti della testimonianza di Giovanni che sembrano più associati al tema del Servo si trovano dopo la sezione sopra citata, al v. 32, dove Giovanni dice di aver “visto lo Spirito scendere su Gesù e posarsi su di lui”, e al v. 34, dove alcune varianti testuali leggono l'”eletto di Dio” (cfr. Is 42,1: Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio).[20] Lo vedremo nell’analisi di questi versetti.

Secondo G. Zevini, all’inizio l’evangelista avrebbe usato il termine aramaico “Talya Yahweh”, che può significare sia “servo” che “agnello”. Scrivendo poi il Vangelo in greco (riconoscendo che è opera dello stesso Giovanni Evangelista), questo preferirà il senso di “agnello”. L’immagine dell’agnello è quella dell’obbedienza e di un amore che si rivolgono verso la Croce; il “servo di Dio” prende su di sé (toglie) il peccato dell’umanità.[21]

3) L’agnello pasquale: autori come Brown la indicano come un’immagine diversa, anche se ci sono ragioni per associarla alla prima. Secondo l’autore, è stata sostenuta dai Padri occidentali, tenendo conto che il simbolismo pasquale è frequente nel Vangelo giovanneo. Giovanni 19,14 afferma che Gesù fu condannato a morte a mezzogiorno della vigilia della Pasqua, quando i sacerdoti stavano iniziando a sacrificare l’agnello pasquale nel Tempio. In Gv 19,36 si compie la Scrittura secondo cui a Gesù non viene spezzato alcun osso, come avveniva per l’agnello pasquale quando veniva preparato (cfr. Es 12,46). Inoltre, Gesù è descritto come un agnello anche in Ap 5,6 (“un agnello come immolato”), e in Ap 15,3 il canto di Mosè si accompagna al canto dell’Agnello. L’autore vede un forte collegamento con il passo già citato di Ap 7,17 e con 22,1, dove l’Agnello è visto come fonte di acqua viva, elemento che costituisce un altro punto di collegamento con Mosè, che fece scaturire l’acqua dalla roccia.[22] Per questo motivo, per noi questa terza immagine può essere perfettamente associata alla prima, quella dell’Agnello apocalittico.

– Esisteva prima di me: l’espressione letterale è: “era prima di me” = “prōtós mou ēn” (πρῶτός μου ἦν). Il primo termine è un comparativo e deve essere inteso temporalmente, come sembra più probabile.

Il riferimento alla preesistenza di Gesù è chiaro, e tale riferimento alla preesistenza è comune nel Vangelo: nel Prologo (1,15, dove è posto anche in bocca di Giovanni Battista, in terza persona), in 8,58 e in 17,5. Che si trovi anche in bocca di Giovanni non è un problema, secondo l’autore, poiché ciò è suggerito nel nostro versetto citato di 1,15 e in 1,27.[23] Zevini afferma che, così come nei Sinottici la superiorità di Gesù si mostra nell’area del suo potere (cfr. Mc 1,17; Mc 3,11; Lc 3,16), per il nostro autore si realizza nella condizione divina.[24]

vv 32-34: Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».        

– Ho visto lo Spirito […] come una colomba: l’uso del tempo perfetto (“ho visto” = tethéamai) dà l’idea di un’azione conclusa. Considerando che si riferisce alla scena della discesa dello Spirito come colomba su Gesù, l’allusione al Battesimo come qualcosa di già passato appare più che chiara e colloca la testimonianza del Battista in una prospettiva temporale successiva rispetto alla scena del Battesimo.

Colui che mi ha inviato […] rimanere su di lui: la presentazione di Giovanni Battista come “inviato da Dio” è una costante del Vangelo di Giovanni; la troviamo nel Prologo (1,6) e ancora una volta per bocca di Giovanni in 3,28.

Questo è il Figlio di Dio: qui abbiamo un problema testuale. L’edizione critica di Nestlé-Aland legge “figlio di Dio” (ὁ ὁ υἱός τοῦ θεοῦ) insieme alla maggior parte dei manoscritti antichi e delle edizioni moderne, dei traduttori e degli esegeti. Esiste la lettura parallela: “l’eletto di Dio” (ὁ ἐκλεκτός τοῦ θεοῦ), debolmente attestata da pochi manoscritti.[25] Entrambi i titoli sembrano riferirsi al servo di Dio, considerando che il contesto è quello del battesimo di Giovanni e che nella versione di Marco (Mc 1,11) e nei paralleli si legge: “il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto”, analogamente a quanto si legge nella versione dei LXX di Isaia: “Giacobbe, mio servo, Israele, che io sostengo; il mio eletto, nel quale l’anima mia si è compiaciuta, al quale ho dato il mio spirito per portare il giudizio alle nazioni” (Is 42,1 LXX). Nel passo citato si usa “l’eletto” = ho eklektós (ὁ ἐκλεκτός). Questo dimostra che la confessione cristologica del Battista subisce almeno un influsso dalla concezione del servo di Dio, fenomeno che si ritroverà nello sviluppo successivo del Vangelo giovanneo.

4 – La questione di Betania, al di là del Giordano

Poiché si tratta di una località di cui non esistono resti visibili, si è pensato che la menzione “al di là del Giordano” non sia precisa e debba riferirsi a una località sul lato occidentale del Giordano, il che spiegherebbe perché gli ebrei provenienti da Gerusalemme raggiunsero facilmente il luogo. Origene sembra essere il primo a sottolineare (intorno al 200 d.C.) che questa seconda Betania non era mai stata identificata, preferendo la lezione Betabara (“luogo del passaggio”), una località citata nel Talmud, pur se poco attestata in altre fonti.[26]

Sito del Battesimo a “Betania, al di là del Giordano” (Al Maghtas)

L’area è oggi identificata come Betania o Al-Maghtas, grazie ai resti archeologici rinvenuti dopo il 1990: è stata identificata un’antica città di epoca romana e bizantina con diverse piscine battesimali, strutture risalenti dalla fine del IV secolo. Solo più tardi, intorno al V o al VI secolo, la venerazione del luogo del Battesimo passò alla riva occidentale del Giordano. I resti della parte orientale furono gravemente degradati durante i secoli di dominazione araba e se ne persero le tracce entro il XV secolo.[27]

Tommaso d’Aquino commenta anche questa frase, affermando che può essere interpretata sia in senso letterale che “mistico”.[28]

a) Letterale: La dà il Crisostomo: “Giovanni scriveva questo Vangelo quando forse erano ancora vivi alcuni che erano vissuti al tempo di questi avvenimenti e conoscevano i luoghi. Perciò, quasi per dare maggiore certezza al racconto, li coinvolge come testimoni di ciò che avevano visto.

b) Mistico o spirituale: Il motivo va cercato nell’affinità che si riscontra fra questa località e il Battesimo. Infatti nel caso che si legga Betania, che significa “casa dell’obbedienza”, il nome suggerisce che occorre giungere al battesimo mediante l’obbedienza della fede (Rm 1,5: Abbiamo ricevuto la grazia di indurre … all’obbedienza della fede tutti i pagani). Se invece si legge Betabora, che significa “casa della preparazione”, si intende significare che per mezzo del Battesimo l’uomo si prepara alla vita eterna.

Anche l’espressione “oltre il Giordano” non manca di significato mistico. Giordano infatti significa: “la loro discesa”; e perciò, secondo Origene, figura del Cristo, che è sceso dal cielo, come afferma lui stesso nel Vangelo: Io sono disceso dal cielo, per fare la volontà del Padre mio (Gv 6,38). Per questo si dice (Ecclesiastico 24,41: Sono come un fiume di derivazione). E da lui devono essere purificati tutti coloro che entrano in questo mondo, secondo Ap 1,5: Ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue.[29]

 

[1] Beutler afferma che la doppia comparsa del “rendere testimonianza” en 1, 32-34 inquadra tutta la sezione (cfr. J. Beutler, Comentario al evangelio de Juan, EVD, Estella 2016, 62).

[2] Cfr. R.E. Brown, Giovanni, Commento al vangelo spirituale, Citadella, Assisi 19913, 56.

[3] Cfr. J. Beutler, Comentario al evangelio de Juan, 21. Gv 20,31: Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

[4] Cfr. Tommaso di Aquino, In evangelium Iohannis expositio, I, lec. XII [225. 226].

[5] Cfr. In evangelium [227].

[6] Lc 9, 30-31: Ed ecco due uomini venire a parlare con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme.

[7] Coincide con quello che viene detto in Mal 4,6.

[8] Dt 18,15: Il Signore tuo Dio susciterà per te, fra i tuoi fratelli, in mezzo a te, un profeta come me: lui ascolterete.

[9] Lo stesso Gesù si riferisce al Battista come a uno “più che un profeta” (Mt 11,9).

[10] Cf. R. Brown, Giovanni, 58.

[11] Il testo di Is 40,3 nella versione greca (LXX) utilizza gli stessi termini e solo ne semplifica leggermente alcuni.

[12] Mc 1, 2-3: Come sta scritto nel profeta Isaia: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”; Es 23,20: Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato; Mal 3,1: Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me.

[13] Cfr. J. Beutler, Comentario, 64.

[14] Brown afferma essere la ragione il fatto che Giovanni (l’evangelista) non vuole rialzare la figura del Battista come Precursore, benché tutto il contesto dei cap. 1 e 3 lo mostrano in quel modo (cfr. Giovanni, 57).

[15] L’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita (Ap 7,17). Essi combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re (Ap 17,14). Nel primo caso, il contesto riflette pure un ambiente di gloria; si ha detto prima che “la vittoria è del Agnello” (7,10), e che gli eletti erano davanti del trono e dell’Agnello (7,9).

[16] “Non si può dubitare affatto che ‘l’Agnello’ del Apocalisse di Giovanni abbia la sua origine in questa tradizione apocalittica” (C.H. Dodd, L’interpretazione del quarto vangelo [Biblioteca Teologica 11; Paideia Brescia 1974], 292). Afferma alla volta che l’Apocalisse condivide con il quarto vangelo diverse espressioni proprie della chiesa di Efeso (cfr. L’interpretazione, 297).

[17] Cfr. R. Brown, Giovanni, 78.

[18] Così lo vede J. Beutler, Comentario, 67. In Gv 12,24 Gesù afferma che è giunta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato e poi inizia a parlare della necessità che il chicco di grano muoia per portare frutto. Il nome “servitore” (diákonos) è menzionato una volta in 12:26 – ma non quello di “servo”. Sebbene Beutler veda una connessione molto intima, il contesto di questi versetti in Giovanni è comunque quello della glorificazione del Figlio dell’uomo.

[19] Si veda pure il paragone fra Mt 8,17 en Is 53,4, e quello di Eb 9,28 con Is 53,12. Clemente Romano (I, 16) applicava pure tutto Is 53 per intero a Gesù.

[20] Questa è l’opinione di R. Brown, Giovanni, 80. L’autore sostiene che “mentre è possibile che Giovanni Battista considerasse Gesù come il servo sofferente, non ci sono prove reali che lo abbia fatto”. Ma i dati scritturali che egli stesso fornisce sono di solito considerati più che sufficienti per determinare solidi rapporti tra i versetti e anche tra l’AT e il NT, tenendo presente che la scienza e il metodo scritturale lavora solo con delle congetture, benché cerchi quelle che cercano di offrire una base più reale e solida.

[21] Cfr. G. Zevini, Vangelo secondo Giovanni, 87, nota 5.

[22] Cfr. R. Brown, Giovanni, 81-82.

[23] Brown si dichiara pure in favore della preesistenza temporale come fondamento della superiorità in dignità (cfr. Giovanni, 74. 84).

[24] Cfr. G. Zevini, Vangelo, 88.

[25] Solo una copia del Sinaitico (S*), manoscritti minori: b, e, ff2, e certe versioni siriache.

[26] Cfr. R. Brown, Giovanni, 59; G. Zevini, Vangelo, 85.

[27] Vedere informazioni su: https://viajealpatrimonio.com/listing/sitio-del-bautismo-betania-en-la-otra-orilla-del-jordan-al-maghtas/#:~:text=Una%20zona%20denominada%20Betania%20o,iglesias%20y%20monasterios%20hoy%20redescubiertos.&text=El%20r%C3%ADo%20Jord%C3%A1n%20apenas%20recorre,desembocar%20en%20el%20mar%20Muerto. Altri siti in italiano: https://it.visitjordan.com/Wheretogo/The-Baptism-Site?tabId=145 [consultati 17/12/2022].

[28] Con il termine latino «mystice», designa San Tommaso un senso spirituale della Scrittura saldamente fondato e difeso da altre citazioni della Scrittura e dal contesto.

[29] Cfr. Tommaso di Aquino, In evangelium [252].

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Rispondi