LA VERITÀ e L’ANNUNCIO DEL KERIGMA EVANGELICO
Sappiamo come la nostra cultura moderna è impregnata da relativismo, come affermava già Papa Benedetto XVI e lontana dalla verità, intanto che pretende fare di ogni affermazione o moda una verità, una delle tante esistenti. Un aspetto dove questo si rileva in modo particolare è nel linguaggio stesso, veicolo per l’espressione della realtà.
Il linguaggio è sempre stato, già nelle culture antiche, il miglior mezzo umano di espressione per eccellenza. È stato sempre inteso come espressione dei desideri e delle intenzioni che scaturiscono dal più profondo dell’uomo stesso. Poiché si tratta di un’informazione che deve essere letta e interpretata per essere compresa, ciò implica che è un’espressione del pensiero umano. È anche un’espressione del sentimento, come è abituale dire oggi, e lo sarà nella misura in cui quest’ultimo si esprime attraverso il pensiero, il quale viene poi comunicato oralmente o per iscritto attraverso il linguaggio, altrimenti tutto si ridurrebbe al livello dei gesti corporei o delle espressioni tipiche degli animali. Aristotele afferma che “le cose che sono nella voce sono denotazioni delle passioni che sono nell’anima”, e San Tommaso, nel suo commento, dice che “per cose nella voce” devono capirsi i nomi, i verbi, e le altre cose che ad esse si riconducono”.[1] [2]
Il linguaggio umano ha sempre cercato di essere preciso per poter compiere la funzione che gli è stata assegnata, e funziona sempre in relazione a una regola oggettiva. Tutte le lingue sono convenzionali, rispettano un certo parametro per cui certi termini esprimono tali e soltanto tali concetti, che a loro volta rappresentano verità oggettive della realtà esterna, umana. Esiste in ogni lingua un numero minimo di termini detti equivoci, parole che in una certa lingua hanno significati diversi e non correlati. La quantità di questi termini è sempre esigua, e pure non alterano la precisione del linguaggio, poiché il contesto permette di discernere in che senso devono essere interpretati senza causare malintesi. La grande maggioranza dei termini non sono mai equivoci, pur essendo tanti di loro a volte analoghi, ma sempre con un significato preciso.
La nostra cultura moderna soffre di una vera e propria crisi del linguaggio, perché molti termini vengono gratuitamente svuotati del loro contenuto convenzionale e sostituiti da un altro termine di natura arbitraria, di solito prodotto da una certa imposizione culturale, un’imposizione che diventa moda, arbitraria nel senso più crudo della parola, perché viene imposta dai veri centri di potere, che da un certo momento in poi decidono di installare nuove categorie. Quello che sta succedendo con la cosiddetta teoria del “gender” ne è un esempio molto eloquente, ma non è l’unico.
In discipline come la filosofia e la teologia assistiamo anche a una successione di diverse “mode” che vanno e vengono nel tempo. Questo succede in particolare per certi termini che vengono svuotati dal loro significato originale e resi sfumati o volontariamente ambigui. Ciò che accade con il termine kerygma ne è un chiaro esempio.
- Kerygma nelle fonti della Rivelazione [3]
Kerygma (traslitterato = Kérygma) deriva dal greco κήρυγμα, e significa: “proclamazione, annuncio”. Proviene dal verbo κηρύσσω: “annunciare, predicare”. In greco significa esattamente: “proclamazione fatta da un araldo”. Nel Nuovo Testamento indica la proclamazione della fede ai non credenti, e la proclamazione del vangelo, cioè della salvezza come inizio del Regno di Dio, che si realizza attraverso la parola di Gesù.
Lo troviamo già nell’Antico Testamento in relazione ai profeti, come Giona, che viene citato nello stesso Vangelo quando Gesù si riferisce all’annuncio di questo profeta ai Niniviti.[2] D’altra parte, l’annuncio stesso di Gesù, nella sua prima predicazione, fu il seguente: “Convertitevi, perché il regno di Dio è vicino” (Mt 3,2). Si può affermare che la parte più sostanziale e densa del Kerygma risiede nell’ordine cristiano, che cerca di afferrare la totalità dell’essere umano nelle sue manifestazioni interiori ed esteriori, private e pubbliche, e le indirizza nella totalità della sua vita verso il Padre che è nei cieli”.[3]
Sia ormai San Pietro nel suo primo discorso il giorno di Pentecoste, come più tardi San Paolo, identificheranno in modo particolare il kerygma con il primo annuncio che avrà al suo centro la proclamazione della risurrezione di Gesù Cristo: “Uomini d’Israele, udite queste parole: Gesù il Nazareno fu un uomo accreditato da Dio presso di voi con prodigi, portenti e miracoli, che per mezzo di lui il Signore operò in mezzo a voi (…); voi, per mano di empi senza legge, lo avete ucciso inchiodandolo al patibolo. Ma Dio lo ha risuscitato, liberandolo dalle doglie della morte” (Atti 2, 22-24). Questo porterà alla proclamazione del suo messianismo e della sua divinità: “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo questo Gesù che voi avete crocifisso” (Atti 2,36). [4]
San Paolo mette in relazione il kerygma con la proclamazione della salvezza di Gesù Cristo: “A Colui che può rafforzarvi nella condotta conforme al mio vangelo e all’annuncio (il termine kerygma) di Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero taciuto fin dai tempi eterni” (Rom 16,25). La mette anche in relazione con le varie apparizioni di Gesù risorto: “Vi ho prima di tutto trasmesso, come l’ho ricevuto anch’io, che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture; che fu seppellito; che è stato risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture; che apparve a Cefa, poi ai dodici (…) E ultimo di tutti, apparve anche a me, come all’aborto” (1 Cor 15, 3-8). Qualche paragrafo dopo, citerà esplicitamente il termine con il significato di annuncio della risurrezione (1 Cor 15,14): “Se Cristo non è stato risuscitato, vana dunque è la nostra predicazione e vana pure è la vostra fede”.
- Il Kerygma nel Magistero della Chiesa
Il termine è stato usato storicamente da alcuni Padri. Forse è un po’ più difficile trovarlo in vari fonti magisteriali, benché il suo significato: proclamazione o annuncio del Vangelo, sia ben definito in queste dichiarazioni. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma, ad esempio: “La catechesi si articola in un certo numero di elementi della missione pastorale della Chiesa, che hanno un aspetto catechistico, che preparano la catechesi o che ne derivano: primo annuncio del Vangelo, o predicazione missionaria allo scopo di suscitare la fede; ricerca delle ragioni per credere; esperienza di vita cristiana; celebrazione dei sacramenti; integrazione nella comunità ecclesiale; testimonianza apostolica e missionaria”.[4]
Il testo sembra riferirsi piuttosto allo svolgersi della catechesi, ma si afferma contemporaneamente che la catechesi nasce da questo “primo annuncio” (kerygma), che ne è già parte, benché sarà seguito da molti altri elementi. In tal caso, questa continuità del kerigma con la catechesi imposta il primo come qualcosa di più di una semplice intuizione o espressione di simpatia per catturare la benevolenza degli altri. Il kerigma possiede da sé un contenuto e questo è intimamente legato a quello che sarà offerto in seguito dalla catechesi. [5]
L’esortazione apostolica Evangelium Nuntiandi di San Paolo VI (8.12.1975), considerata una guida preziosa per la missione evangelizzatrice della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, in riferimento alla nuova evangelizzazione, offriva alcune linee guida per il suo svolgersi secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II. Vent’anni dopo, San Giovanni Paolo II accenna all’intenzione del suo predecessore con queste parole: “La nozione di Paolo VI di evangelizzazione riafferma fedelmente l’insegnamento di Cristo, la tradizione della Chiesa, e la visione del Concilio Vaticano secondo. È una concezione completa che evita i tranelli dell’enfasi eccessiva su un particolare aspetto di questa realtà complessa, a scapito degli altri. Nella visione di Papa Paolo VI, l’evangelizzazione include quelle attività che dispongono le persone ad ascoltare il messaggio cristiano, la proclamazione del messaggio stesso, e la catechesi che rivela le ricchezze della verità e della grazia contenute nel kerygma”.[5] [6]
Nel magistero di San Giovanni Paolo II, troviamo anche le indicazione che possono considerarsi ormai definitive in ciò che riguarda la teologia della missione, secondo i principi della lettera enciclica Redemptoris Missio del 1990: “Anche se la chiesa riconosce volentieri quanto c’è di vero e di santo nelle tradizioni religiose del buddismo, dell’induismo e dell’islam riflessi di quella verità che illumina tutti gli uomini, ciò non diminuisce il suo dovere e la sua determinazione a proclamare senza esitazioni Gesù Cristo, che è “la via, la verità e la vita”… il fatto che i seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio ed essere salvati da Cristo indipendentemente dai mezzi ordinari che egli ha stabilito, non cancella affatto l’appello alla fede e al battesimo che Dio vuole per tutti i popoli”.[6] Di conseguenza, non si può sostenere che il kerygma sia qualcosa di diverso dalla proclamazione esplicita di Gesù Cristo come salvatore, pur se quest’ultima ammette gradi diversi di spiegazione e approfondimento.
Di conseguenza, l’annuncio del kerygma deve partecipare delle caratteristiche proprie del mistero dell’Incarnazione, che cerca di redimere ed elevare l’intero uomo: “Il ‘Kerygma’, lanciato come un impulso missionario, deve incendiare tutte le realtà lungo la storia e trasformarle nel regno di Dio. Il ‘Kerygma’ è una norma che deve incarnarsi nella vita degli uomini e che, incarnandosi, trasforma tutta questa vita purificando il naturale e trasfigurandolo con l’elevazione di nuovi e soprannaturali apporti”.[7]
- Concezioni ideologiche del kerygma [7]
Con l’emergere della cosiddetta esegesi e teologia dialettica dopo la prima guerra mondiale, il termine kerigma tornò in auge tra gli esegeti e i teologi protestanti, specialmente K. Barth, seguito da R. Bultmann. Questa corrente è nata in opposizione alla teologia liberale che esaltava la sola religione, umiliando la fede e la teologia. Questa nuova teologia comporta anche un nuovo metodo che implica un approccio globale della fede, cercando di mettere al centro la parola di Dio e il kerigma come messaggio di Dio all’uomo, ma non come una verità da credere o come storia religiosa da imparare. Il problema di Barth è, che come protestante, pensa che nulla si può predicare di Dio: “Solo Dio interpreta se stesso”. Dio è totalmente Altro. I dogmi o le verità di Fede sono frutto di un processo dove interviene la filosofia ellenistiche, non sarebbe vangelo puro.
Appare anche la cosiddetta teologia kerigmatica, che troverà la sua roccaforte nella scuola dell’Università di Tubinga, caratterizzata da una forte sensibilità verso i testi biblici (cerca un’interpretazione dei testi secondo le loro origini), un’autocomprensione del testo nella Fede in relazione al kerigma, utilizzando la filosofia esistenziale di Heidegger. Bultmann insisterà sul significato teologico-esistenziale, cioè il pensiero teologico sviluppato nelle prime comunità.[8] Tuttavia, egli dividerà arbitrariamente il messaggio del NT in due fonti: Un kerygma ebraico, di cui Giovanni l’Evangelista e i suoi scritti sono un riflesso, e uno ellenistico, di cui lo è San Paolo con le sue lettere, mentre l’aspetto escatologico dei Vangeli e degli altri scritti del NT apparterrebbe alla fase pre-teologica. Quest’ultima divisione è totalmente arbitraria e anche gratuita, nel suo tentativo di eliminare dagli scritti di San Paolo ogni connessione e riferimento alle fonti del NT. Considera, inoltre, il messaggio di Giovanni come inserito nella tradizione ebraica, ma non come un riflesso delle stesse parole e azioni di Gesù.
Questo tipo di analisi ha portato a un’opposizione e a un vero divorzio tra la nozione di kerigma da una parte, e quella di teologia o ragione teologica dall’altra. Si separano anche kerigma e storia. Si pensa che quanto più spontaneo e privo di contenuto sia l’annuncio, tanto più sarà fedele al kerigma originale del vangelo. Il kerygma sarà seguito da una riflessione sulla fede, ma è una riflessione svuotata dal suo contenuto dottrinale. Per quanto questa corrente pretenda di essere kerigmatica, questo non è il significato del termine che troviamo nelle fonti della rivelazione, come abbiamo visto, né aveva questo senso la proclamazione originale del vangelo e la tradizione successiva.
- Nuove formulazioni del kerygma
Abbiamo mostrato come è proposta una nuova postulazione dell’idea del kerigma come qualcosa di spontaneo e assente da qualsiasi contenuto, anche se queste idee fluttuanti non costituiscono, in rigore, un sistema teologico indipendente. Molti dei suoi sostenitori si considerano debitori del magistero di Papa Francesco. Ma la domanda è: è questa la concezione del kerigma che si può vedere nell’insegnamento dell’attuale pontefice? [8]
Papa Francesco commenta esplicitamente il termine nella sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Abbiamo riscoperto che anche nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma“, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale. Il kerygma è trinitario. È il fuoco dello Spirito che si dona sotto forma di lingue e ci fa credere in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione ci rivela e ci comunica l’infinita misericordia del Padre”. Più avanti afferma ancora: “È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che sempre si deve tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre annunciare durante la catechesi in una forma o nell’altra, in tutte le sue tappe e i suoi momenti”.[9] Da ciò si evince che, pur sottolineando la centralità e la principalità dell’annuncio, si constata allo stesso tempo che esso possiede un contenuto, il che ritorna continuamente nella catechesi e nelle tappe della formazione.
C’è certamente una precisazione molto importante su come insegnarlo e trasmetterlo: “La centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche”.[10] Tutto questo è molto prezioso e certamente adatto alla sensibilità moderna. Senza dubbio l’annuncio evangelico deve esprimere l’amore di Dio che di per sé precede qualsiasi obbligo morale o cultuale, ma ciò non vuol dire che vi sia contrario o si opponga.
Gesù ci ricorderà spesso quale è il comandamento più importante: Glielo domandano (Mc 12, 28-29; Mt 22, 36-37); lo chiede anche lui agli altri (Lc 10, 26-27), e sottolinea che l’amore per Dio si fondamenta nella preghiera come la sua più intima forma di relazione (Mt 6,6). Gesù stesso affermerà che l’amore si dimostra con le opere, che è un atto morale (Mt 7,21)[11], e nella parabola dei due figli, colui che realizza l’azione, benché si sia rifiutato di farla in primo luogo, compirà la volontà del Padre (Mt 21, 28-32). Quanto alle altre caratteristiche enumerate dal Papa, certamente che è un bene il proporre la verità senza imporla, cercando che la volontà si muova liberamente verso di essa, ma ben lungi da ciò la pretesa di relativizzare la verità affermando che questo è la natura del kerigma, come talvolta viene proposto.
- Conclusione
La supposizione di alcuni circa che Papa Francesco abbia ripreso l’idea della “predicazione kerigmatica” di Jüngmann e degli autori della scuola di Innsbruck, che opponevano il dogma al kerigma, è infondata, almeno di quanto appare della lettura di Evangelii Gaudium. Gli autori di questa scuola sostenevano, secondo le loro parole: “La teologia vuole servire soprattutto la conoscenza; per questo studia la realtà religiosa fino ai limiti estremi del conoscibile […] senza mettere in discussione l’interesse vitale che anima la ricerca. La predicazione, d’altra parte, si occupa della vita e quindi considera la realtà religiosa stessa solo come il bene ultimo della nostra ricerca […] Il suo oggetto proprio è e rimane la buona notizia, ciò che nel primo cristianesimo era chiamato il kerygma. Dobbiamo conoscere il dogma, ma dobbiamo proclamare il kerygma […]. La predicazione stessa rimane sempre l’annuncio della salvezza; infatti, il senso del cristianesimo non è la conoscenza, ma la vita; non la teologia, ma la santità”.[12] [9]
Potremmo approfondire un po’ queste riflessioni, pur se il tempo non è il dono che abbiamo più a disposizione. Non è così difficile far capire che il primo annuncio degli apostoli – l’annuncio già dallo stesso Gesù – non era privo di contenuto dottrinale o morale, e spesso esigeva un cambiamento radicale di comportamento e di vita, a volte richiesto con grande urgenza, come Simon Pietro che chiedeva la conversione degli ebrei che avevano sentito il suo discorso a Pentecoste: Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per ottenere il perdono dei vostri peccati: e riceverete il dono del Santo Spirito (Atti 2,38), o Gesù alla peccatrice: Vai e d’ora in poi non peccare più (Gv 8,11).
Ricevere e accettare la realtà possedente un certo contenuto è connaturale all’uomo e al suo modo normale di conoscere, che cerca la verità, perché noi non conosciamo impressioni o stimoli vuoti ma riempiti da un significato concreto, e questo è il modo in cui gli uomini comunicano tra loro e l’umanità progredisce. Ciò capita ancora di più nel campo soprannaturale e nel campo della Rivelazione, che è l’ultima e la più sublime comunicazione di Dio all’uomo. Che il Signore ci permetta di custodire gelosamente il grande tesoro concesso alla sua Chiesa attraverso il grande dono della Rivelazione con tutto il suo contenuto, il che non si oppone al kerygma, bensì lo include e lo sviluppa rendendolo ancora più esplicito per il bene dell’umanità.
- Appendice: Sul linguaggio preciso in teologia [10]
Afferma San Tommaso di Aquino: «Si dice che uno espone la Scrittura diversamente da quanto intendeva lo Spirito Santo, quando le fa dire con la sua interpretazione cose contrarie a quanto lo Spirito Santo ha rivelato. Perciò sta scritto dei falsi profeti, che “persistevano a confermare il discorso” (Ez 3,16), usando cioè false interpretazioni della Scrittura. – Parimente, uno professa la sua fede con le parole che proferisce: infatti la confessione è, come abbiamo detto, un atto di fede. Perciò un parlare inconsiderato sulle cose di fede (inordinata locutio) può dar luogo a una corruzione della fede. Ecco perché S. Leone Papa scriveva: “Poiché i nemici della croce di Cristo spiano tutte le nostre parole e tutte le nostre sillabe, non dobbiamo dare neppure la più piccola occasione di supporre che noi ci esprimiamo nel senso di Nestorio”» (Summa Theologiae, II-IIae q. 11 a.2 ad2).
Afferma un autore contemporaneo: “Dobbiamo pronunciare la parola che giudica metafisicamente, con criteri assoluti: la parola che non si appoggia su costruzioni storiche convenzionali, né in mode passeggere. La parola che riflette l’essere, non la sua interpretazione; la parola che rimane, non quella che evolve; la parola che definisce, non quella che lusinga o confonde (…) La soluzione ultima è la parola in quanto veicolo di realtà metafisiche, al di sopra del cambiamento, indipendente degli orizzonti culturali, dei punti di vista. E questa parola non può essere altro che il riflesso della Parola, Dio stesso. Per quel motivo Ernest Hello ha detto magnificamente: “Affermare è l’atto iniziale della parola. Ogni verbo contiene il verbo essere. Ogni parola ha a Dio per sostegno. Quello che è, è il fondamento del discorso””[13].
[11] Un esempio di un parlare sconsiderato può essere forse precipito in questa frase: «Affioriamo da una notte dalle origini misteriose: chiamati a essere oltre ogni scelta, presto arriviamo alla presunzione e alle lamentele, rivendicando come nostro quello che ci è stato solamente concesso. Troppo tardi abbiamo imparato ad accettare l’oscurità da cui veniamo e a cui, infine, torneremo».[14]
R. P. Carlos D. Pereira, IVE
[1] Cfr. Aristotele, Peri Hermeneias I, 1-2; Tommaso di Aquino, Commento al libro di Aristotele: Peri Hermeneias II, 14.
[2] Mt 12,41: Gli uomini di Ninive insorgeranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno; poiché si convertirono alla predicazione di Giona; eppure c’è qui qualcosa di più di Giona.
[3] Cfr. J. Meinvielle, Iglesia y mundo moderno, Ed. Teoría, Buenos Aires 1966; © ediz. digital IVE Segni 2008, 207.
[4] Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), 6 [www.vatican.va/archive/catechism_it/prologue_it.htm#I.%20La%20vita%20dell’uomo%20-%20conoscere%20e%20amare%20Dio], visitato il 15/9/2021.
[5] Cfr. SS. Juan Pablo II, Discorso ai delegati della Federazione delle CCEE del Continente asiatico, Manila (15.1.1995), 4 [https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1995/january/documents/hf_jp-ii_spe_15011995_federation-of-asian-bishop-conferences.html], citando a SS. Pablo VI, Evangelii Nuntiandi, 2ss.
[6] Cfr. SS. Juan Pablo II, Lettera enc. Redemptoris Missio circa la permanente validità del mandato missionario (7.12.1990), 55 [https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_07121990_redemptoris-missio.html]
[7] Cfr. J. Meinvielle, Iglesia y mundo moderno, 208.
[8] Cfr. Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, a cura di P. Rossano, G. Ravasi, A. Girlanda, Ed. San Paolo; Cinisello Balsamo 1988, 1536-37.
[9] SS. Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (24.11.2013), 164. [http://www.vatican.va/content/francesco/es/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html].
[10] Evangelii Gaudium¸165.
[11] Mt 7,21: “Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.
[12] Cf. J.A. Jungmann, Die Frohbotschaft und unsere Glaubensverkündigung, Regensburg 1936, 60-61 [La buona novella e la nostra predicazione della Fede]. La sua proposta di teología kerigmatica fu seguita dalla scuola gesuitica di Innsbruck: Jungmann, Lackner, Dander, Lotz, Hugo Rahner (hermano del famoso teólogo Karl Rahner). I riferimenti di quest’antica opera seguono l’ordine suggerito di R. Gibellini, La teologia del XX secolo, BTC 69; ed. Queriniana, Brescia 62007, 225-31.
[13] Cf. E. Hello, Palabras de Dios. Reflexiones sobre algunos textos sagrados, Difusión, Buenos Aires, 92. L’intera citazione appartiene a J. C. Monedero, El lenguaje es discriminatorio: ¿y qué?, in http://es.catholic.net/temacontrovertido/330/1744/articulo.php?id=47533.
[14] Pontificia Academia per la vita: L’humana communitas nell’era della pandemia: Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita [22.7.2020], 1.1.