Storicità dei Vangeli: Come datare scientificamente?

         I-Vangeli-sono-dei-reportages.-Anche-se-a-qualcuno-non-va-201x300 Continuiamo con l’esposizione del volume I vangeli sono dei reportages ( sulla Storicità dei Vangeli ), di Marie- Christine Ceruti- Cendrier (originale in francese); edizione italiana pubblicata da Mimep – Docete, 2008, Pessano con Bornago, 368 pagine. In quest’opportunità faremo un riassunto della prima parte del primo capitolo: La metodologia utilizzata per datare i Vangeli, pp. 15-30.

            Come si procede per datare un testo? Ci sono tre metodi – complementari- più uno. Vediamo prima questi tre metodi:

  • Il primo consiste nel datare i supporti, vale a dire la pergamena, o pietra, o la carta sulla quale il testo è scritto, o ancora l’inchiostro o la matita adoperati; o anche i caratteri, o la tecniche di stampa. Questi metodi fanno riferimento alle scienze fisico-chimiche, archeologiche o geologiche.
  • Il secondo è il metodo “filologico”, e consiste nello studiare la lingua del testo in questione. A partire delle espressioni usate, sarà possibile ritrovare la data approssimata della lingua del testo. L’obiezione che si solleva è quella del falso: Un testo potrebbe sembrare essere antico e non esserlo affatto. Ma questa obiezione non regge se consideriamo gli esperti in materia. Basta una parola sola per scoprire che un testo non è autentico.
  • Il terzo metodo è quello degli “indizi”. Se l’autore fa riferimento ad avvenimenti dei quali si conosce con certezza la data, sarà possibile collocare il testo temporalmente. Se un testo parla di televisione, triclini, o portantine, avrà immediatamente un’età massima (non potrà essere anteriore a …). Dalle volte può darsi di essere di fronte a un testo più recente dei fatti raccontati. L’autore sempre lascia, immancabilmente, volontariamente o meno, qualche anacronismo (un riferimento storico posteriore all’epoca in cui i fatti raccontati sono accaduti).

Inversamente, ci troveremo con tutta probabilità davanti ad un testo autentico se non si riscontra nessun genere di anacronismo, e se, in compenso, ci sono molti indizi “veri”, vale a dire, numerosi dettagli sul modo di vivere o vestirsi in una determinata epoca, sulla topologia dei luoghi, sulle piante, sugli animali, ecc.

Dalle volte troviamo degli indizi “perduti”. Si può essere certo dell’autenticità di un testo, se esso contiene un dettaglio la cui esistenza o il cui significato, nel frattempo dimenticati, vengono riscoperti.

Chi ha mai dubitato, ad esempio, dell’autenticità della ‘stelle di Rosetta’? Questa, scoperta durante la campagna di Egitto di Napoleone nel 1799, ha permesso a Champollion di decifrare i geroglifici. Nessuno ha mai pensato che essa risalisse alla nostra era o fosse un falso. Perché? Perché essa registra un decreto sacerdotale del 196 a.C., in onore del faraone Tolomeo V, e lo fa in tre versioni (grazie le quali Champollion ha decifrato i geroglifici), versioni delle tre lingue dominanti all’epoca di Tolomeo V:

1 – il greco, lingua internazionale di allora; 2 – il demotico, la lingua del commercio, della letteratura e dell’amministrazione dell’epoca; 3 – i geroglifici, utilizzati sempre all’epoca in ambito religioso.

Abbiamo annunciato che per datare un testo esistono tre criteri: quelli che abbiamo appena esaminato, più uno. Quest’ultimo non è applicato se non ai testi della letteratura giudaico-cristiana, e più precisamente, a quelli del Nuovo Testamento, con una predilezione speciale per i Vangeli. Di cosa si tratta? Molto semplicemente di determinare la loro datazione in base delle idee che sono espresse, della filosofia che viene esposta e dell’elaborazione del pensiero. I tre metodi sposti in precedenza non sono che l’analisi dell’involucro, del guscio del testo, che ci forniscono la sua età. Qui si tratta del testo stesso. La domanda è: le idee, il pensiero che esso esprime, ci permettono questo tipo di scoperta?

Per poterlo affermare, bisognerebbe non solo che ogni epoca avesse il suo tipo di idee o la sua filosofia – o viceversa, che ogni tipo di idee avesse la sua epoca – ma anche che non fosse possibile imbattersi in quel genere di idee al di fuori di quella specifica epoca … Questo non accade sempre; anzi, si dà il caso che Virgilio, Nietzsche, i sostenitori della New Age e molti altri ancora abbiano la stessa idea di Eraclito [540-480 a.C.ca.], il concetto cioè dell’eterno ritorno. Si dà il caso del marxismo, il quale è una filosofia tipica del XX secolo. Se si trova un testo che parla di “lotta di classe”, di “sfruttamento del proletariato” e dei “domani che cantano”, si può essere certi che si tratta di un testo marxista, e quindi databile del XIX o XX secolo. A questo si risponde che, in questo caso, non si stanno datando le idee ma il vocabolario. Si torna cioè al secondo dei metodi esposti, quello filologico.[1] Dunque, è chiaro che non sono le idee ad appartenere in assoluto ad una determinata epoca, ma il modo in cui esse vengono espresse.

E’ proprio questo metodo, e – quel che è peggio- è “solo questo metodo”, che è utilizzato per datare i testi del Nuovo Testamento (specialmente i Vangeli), curiosamente, solo loro …  Ecco, per esempio, quello che dice Gilles Becquet – eminente biblista – in un suo articolo, dove si sforza di giustificare, in base al loro contenuto, non solo l’epoca, ma anche il luogo nel quale i Vangeli sono stati scritti: [2]

«La comunità alla quale scrive Marco (verso l’anno 70) è a Roma. E’ stata scossa dalla persecuzione di Nerone, che ha eliminato Pietro e Paolo. E’ composta di cristiani provenienti dal mondo ebraico e pagano. L’autore ci invita a scoprire un Gesù che si rivela progressivamente (ma la professoressa Cendrier fa notare che invece, Gesù lo fa immediatamente, in Mc 1,1 e 1,11) come Figlio di Dio e che oltrepassa i limiti della Galilea. Così, alla fine, è un centurione romano il primo a proclamare Gesù come Figlio di Dio, di fronte al crocifisso: Veramente costui era il Figlio di Dio! (Mc 15,39)», ma Cendrier nota, con esattezza, che anche Mt 27,54 ripete la stessa confessione del centurione e Lc 23,47 pone in bocca di lui un’espressione molto simile; l’argomento fondato sulle caratteristiche della comunità alla quale Marco scrive non sembra dunque essere consistente.

«Matteo (secondo l’autore, verso l’80-85), è composta da ebrei convertiti a Cristo, fuggiti da Gerusalemme e rifugiati in Libano e nella Siria del sud. A questi, Matteo presenta un Gesù che “compie le Scritture”, e cita frequentemente l’Antico Testamento per dimostrare che Gesù è davvero l’atteso Messia è il nuovo Mosè». La nostra autrice fa notare che anche gli altri evangelisti non sono da meno con la attesa messianica di Gesù, addirittura utilizzando la stessa espressione: Marco per ben tre volte; Luca praticamente sette; Giovanni dieci.

«Luca scrive per delle comunità del mondo greco (80-85 ca.) che hanno bisogno di consolidarsi e di imparare ad esprimere la propria fede nella cultura di quel mondo: Poiché queste comunità sono state sotto il dominio romano, Luca non parla proprio male di quest’ultimo. [3] Nel processo a Gesù, fa dire al governatore romano Pilato: Nulla ho trovato in quest’uomo che meriti condanna (Lc 23,14-15)». Eppure, vediamo come Gv 19,6 mette anche in bocca di Pilato: Io non trovo in lui alcuna colpa, mentre che Mc 15,14 e Mt 27,23: Che male ha fatto? Tutte obiezioni e chiarimenti sempre fatti dalla nostra professoressa nel suo libro (cfr. p.21).

Infine, «il vangelo di Giovanni è stato terminato molto tardi (verso il 95). Si rivolge a comunità dell’Asia minore (attuale Turchia), in un momento in cui gli ebrei se la prendevano violentemente con i cristiani. Da ciò il segnalare gli avversari come “i Giudei” (ma le lotte tra giudei e cristiani sono cominciate quando Gesù era in vita, e le prime persecuzioni pure; San Paolo ne è un esempio). In contrasto con una nuova corrente che vuol ridurre la fede ad un sistema intellettuale e che minimizza la realtà umana di Gesù, Giovanni insiste sull’ “Incarnazione del Verbo”». Secondo Cendrier, quest’ultima idea è stata presa da Sant’Ireneo, dalla sua opera Adversus Haereses (Contro le eresie), III, 11,1, e spiega il perché.

Infatti, l’influsso di un altro testo di Ireneo, per quanto riguarda i luoghi della redazione dei Vangeli, ed i lettori ai quali si rivolgevano, sembra evidente: «Matteo, tra gli Ebrei e nella sua propria lingua pubblicò un vangelo scritto, mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e fondavano la Chiesa; dopo la loro partenza, anche Marco, discepolo e traduttore di Pietro, mise per scritto la predicazione di Pietro. Luca, il compagno di Paolo, mise in un libro il Vangelo da lui predicato; in seguito Giovanni, il discepolo del Signore, quello che riposò sul suo petto, pubblicò anch’egli un vangelo, quando dimorava ad Efeso, in Asia» (Adv Haereses, III,1,1).

Il problema – nota sempre Cendrier- consiste in che se si riferisce apertamente a questa fonte (Ireneo), è impossibile sostenere l’ipotesi di una redazione tardiva dei vangeli (come lo fa Becquet senza scrupoli), o quella della loro composizione da parte delle “comunità” affabulatrici, neppure pensare che sia il contenuto (sollecitato) dei racconti dei Vangeli a determinare la loro datazione. Becquet giustifica la sua metodologia dicendo che è normale, anzi “facile”, il datare i vangeli in questo modo.

L’autrice cita ancora qualche altro caso simile. L’analisi degli altri metodi lo lasceremo per un prossimo articolo.

[1] Di fatto – afferma l’autrice- l’idea della lotta di classe è già in Platone (V-IV sec. a.C.); l’idea dello sfruttamento vergognoso del proletariato è già nella Bibbia: Non maltratterete né vedove né orfani … [Es 22,11]; l’idea dei domani che cantano è l’età dell’oro di Virgilio … (Cendrier, p. 19)

[2] G. Becquet, Les Evangiles reportage ou Fiction ? ; In Notre Histoire 72, p. 20.

[3] Fa notare Cendrier che tutte le comunità le quali avrebbero potuto raggiungere gli Apostoli si trovavano allora sotto l’impero romano. Quest’argomento proverebbe, piuttosto, che questo Vangelo è stato scritto prima delle persecuzioni romane contro i cristiani (ossia, prima del 66 e non dopo l’anno 80).

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