La figura di Osio di Cordova a Nicea

La figura di Osio di Cordova a Nicea

            Quest’anno si celebrano (tra Maggio e Agosto) i 1700 anni del concilio di Nicea, nell’antica Bitinia (nord ovest dell’attuale Turchia). Proprio per questo volevamo brevemente sottolineare la figura di un grande di Nicea, che svolse un ruolo fondamentale nel concilio: il vescovo Osio di Cordova.       

Ritratto del vescovo Osio di Cordova (Angel Barcia – 1878)

           La figura del vescovo Osio (Ossio, 256-368) di Cordova, in Spagna, fu di grande rilievo nell’antichità cristiana, in particolare nei momenti in cui si definivano solennemente i principali dogmi di Fede sulle verità cristologiche fondamentali.

           Osio nacque a Cordova nel 256 da un’importante famiglia romana; eletto vescovo della sua città natale nel 295, durante le persecuzioni di Diocleziano, rifiutò di abiurare la propria fede cristiana e fu perciò condannato all’esilio. Il suo nome è citato tra i diciannove vescovi presenti al Concilio provinciale di Elvira (300 ca). Non si sa quanto avesse contributo alla conversione dell’imperatore Costantino I, ma abbiamo evidenze di alcuni fatti che dimostrano come Osio sia stato in stretti rapporti personali con l’imperatore in diverse occasioni tra il 313-324, ed è noto perché divenne il suo principale consigliere nel trattare con i Donatisti (H. Leclercq, L’Espagne Chrétienne, Paris, 1905, 90-121), e nelle decisioni prese dall’imperatore contro il vescovo Ceciliano nel 316 (Cfr. Madoz G., Osio di Cordova, in Enciclopedia Cattolica IX, C. del Vaticano 1952, 405).

            Più decisiva sarà la sua missione, voluta dallo stesso imperatore, per cercare una soluzione nella controversia tra il patriarca Alessandro e il presbitero Ario. Sant’Alessandro era stato scelto come patriarca di Alessandria di Egitto nel 313; Ario all’inizio fu uno dei suoi sostenitori, ma ben presto iniziò a predicare le sue idee eretiche riguardo la disuguaglianza tra la persona del Verbo e quella del Padre. Ario diffondeva le sue idee in modo molto subdolo, anche con la composizione di canti che venivano ascoltate dai fedeli. Dopo molti richiami e correzioni paterne, Alessandro decise di convocare un sinodo dei vescovi dell’Egitto e della Libia nel 318, sinodo che, praticamente all’unanimità, rifiutò le tesi di Ario e ne pronunciò l’anatema. Ario, invece di sottomettersi, si rifugiò in Palestina accolto come perseguitato, mentre conquistava alla sua causa importanti sostenitori, tra i quali ricordiamo Eusebio di Cesarea ed Eusebio di Nicomedia. Costantino venne coinvolto nella controversia, con la pretesa di mediare tra due posizioni che non potevano in alcun modo essere composte. 

            È in questo contesto che Osio fu inviato in Alessandria (323-324) con una lettera dello stesso imperatore; convocò anche un sinodo, che rifiutò la dottrina di Sabellio (esponente del modalismo, che negava in sostanza la Trinità) e condannò lo scisma di Coluto. Sotto l’insistenza di Alessandro, fu convocato, per ordine di Costantino, il Concilio ecumenico di Nicea (325) in Bitinia, al quale parteciparono 318 vescovi e dove Osio di Cordova giocherà un ruolo da protagonista.

            È rimasta aperta la questione se Osio abbia presieduto il concilio, insieme ai due delegati papali, Vito e Vincenzo, essendo il Papa assente per motivi di salute. L’opinione tradizionale sempre l’ha sostenuto, fondandosi sul fatto che egli appare come primo firmatario dei decreti conciliari, i quali, però, vennero posteriormente molto rimaneggiati. Lo stesso Atanasio il grande, al tempo del Concilio, diacono del patriarca Alessandro, l’afferma e lo scrittore ecclesiastico Gelasio di Cizico è categorico nel dichiarare che Osio agì in nome del Pontefice e non soltanto in nome di Costantino, come certi storici suppongono. 

            Il concilio di Nicea stabilì che il Figlio è consustanziale al Padre e non generato, contraddicendo in tal modo le tesi di Ario che, pur ammettendo che Gesù fosse di sostanza simile a Dio, riteneva che questi avesse iniziato ad esistere solo nel momento in cui era stato generato. La formula del homousion (consustanziale), attribuita da Sant’Atanasio a Osio e ad Alessandro come autori, servì come pietra fondamentale dell’ortodossia, anche se successivamente i semiariani pretenderanno si sostituirla con l’espressione homoiousios (simile nella sostanza), considerando quest’ultima come ortodossa.

            Osio presiedette anche il Concilio di Sardica (oggi Sofia), nell’Illirico (343), convocato da papa Giulio II su istanza degli imperatori Costante e Costanzo II. Intervenne anche nella redazione del simbolo, che condannò l’arianesimo. Ma Costanzo II, filoariano, riuscì a convocare un sinodo eterodosso a Milano nel 355, nel corso del quale molti vescovi ortodossi fecero sentire il loro dissenso, ed alcuni di essi furono condannati all’esilio. L’imperatore Costanzo scrisse a Osio sotto pressione degli ariani, per condannare Atanasio; in risposta, Osio inviò la sua coraggiosa lettera di protesta contro l’ingerenza imperiale negli affari della Chiesa – conservata da Sant’Atanasio (cf. Hist. Arianorum, 42-45, cfr. PL, VIII, 1327-1332) –, che portò alla sua convocazione (356) a Sirmio, in Pannonia.

            Essendo ormai centenario, consumato dall’esilio e dalle pene subite, gli fu strappata la firma che sottoscriveva la seconda formula di Sirmio, che respingeva la formula del homousion, da lui però ritrattata nell’ora della morte, perché imposta con violenza. Mai però cedette nel condannare Atanasio. Morì probabilmente a Sirmio (o Cordova?) nel 357 o un anno dopo. Oltre ad essere una grande figura di rilievo nel cruciale concilio di Nicea, fu esempio di grande fortezza e di difesa della Chiesa innanzi ad ogni sopruso. Anche se non compare negli elenchi ufficiali, è considerato un Padre della Chiesa. La Chiesa ortodossa lo venera come santo confessore, con festa il 27 agosto. Nel gennaio di quest’anno, la diocesi di Cordoba ha avanzato la richiesta della canonizzazione di Osio, alla quale papa Francesco espresso il proprio appoggio.

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