CUORE, LIBERTA e ABITO – VIRTU’ in TOMMASO DI AQUINO    

CUORE, LIBERTA e ABITO – VIRTU’ in TOMMASO DI AQUINO         

Tommaso di Aquino è un maestro universale, e lo dimostra tramite l’universalità delle materie da lui trattate. Lo scopo di questo lavoro è mostrare con quanta competenza e profondità sviluppa le varietà di significati di questi termini e realtà collegate tra loro. Il suo spirito  acuto, aperto alle grandi intuizioni, gli permette superare le barriere culturali proprie del suo entorno culturale. Si apre così alla grande sfida di trattare sulla libertà dell’uomo, argomento centrale della filosofia di tutti i tempi.

I. IL CUORE

San Tommaso in vetrata della Cattedrale di Saint-Rombouts, Mechelen (Belgio)

            Non tutti probabilmente sanno che Tommaso d’Aquino scrisse un opuscolo sul movimento del cuore, in cui non si riferisce, in primo luogo, al cuore in senso allegorico o traslato (cercando di significare la volontà o l’interno dell’uomo, come farà sì in altre opere), ma al cuore in senso fisico, per quanto possa sembrare incredibile. Si tratta di un opuscolo indirizzato al Maestro Filippo di Castrocoeli, e fu scritto nel 1272, poco prima della morte dell’Angelico[1].

            Questo opuscolo, dato il suo argomento, appartiene alla psicologia razionale (antropologia filosofica nel linguaggio filosofico), concentrandosi su uno degli aspetti dell’unione tra l’anima (attraverso un’operazione vitale) e il corpo (attraverso un organo fondamentale). Il movimento del cuore è naturale perché è mosso da una certa anima, il che non avviene nei corpi inanimati -che non possiedono cuore- o in quelli ormai morti, dove avvenne anche lo spegnimento del cuore. Per San Tommaso, il movimento del cuore fisico, lungi di essere una prova di una totale autonomia della materialità o corporeità dell’uomo, è una chiara evidenza dell’esistenza di un principio vitale, chiamato anima.

  1. Il movimento del cuore e gli altri movimenti

            Afferma in quest’opuscolo che il movimento del cuore è naturale, per quanto si contragga e si espanda (sistole-diastole), perché quando il cuore si ferma, l’animale muore. Il tipo di movimento che compie è quindi naturale, in procedenza da un principio intrinseco e non da un appetito. Distinguerà quindi tra il movimento ritmico naturale del cuore e le alterazioni che può subire a causa della percezione di vari oggetti da parte del soggetto, come nel caso di ricevere una sorpresa, di una notizia terribile e inaspettata, di una grande gioia o del semplice calore. Il cuore è un motore, e il motore non si muove per alterazione, applicando un principio di Aristotele (nell’opuscolo Sul moto degli animali): “È necessario che ciò che deve essere un motore non sia tale per alterazione”.

            Un punto importante sottolineato nell’opuscolo è il seguente: “le affezioni dell’anima non sono causate dalle alterazioni del cuore, ma piuttosto le affezioni dell’anima causano le alterazioni del cuore”, facendo l’esempio dell’ira, che è una passione dell’anima sensibile; pertanto, “ciò che in essa è formale proviene dall’affezione dell’anima, mentre ciò che in essa è materiale appartiene al movimento del cuore, come il fatto che il sangue brucia nel cuore” (qualcosa di simile è affermato nel trattato sulle passioni)[2].

            Aggiunge Aquino un curioso collegamento tra il moto appetitivo degli animali e il moto volontario dell’uomo: “In tutti gli animali, tranne che nell’uomo, l’intero processo di movimento è naturale, poiché essi non agiscono per deliberazione, ma per natura: così la rondine costruisce naturalmente il suo nido e il ragno la sua tela. Soltanto all’uomo, invece, corrisponde l’agire liberamente, e non naturalmente. Eppure il principio di ogni sua azione è naturale. Così come non conosce naturalmente le conclusioni delle scienze speculative, ma le scopre con il ragionamento, tuttavia conosce naturalmente, con evidenza, i principi non dimostrabili, dai quali procede verso la conoscenza. Allo stesso modo è naturale per l’uomo, da parte dell’appetito, desiderare la felicità come fine ultimo e fuggire ciò che può renderlo infelice, anche se può scegliere dove intende trovare questa felicità”. In questo modo, sembra stabilire l’Aquinate una certa analogia tra il movimento volontario dell’uomo e il movimento del cuore, perché il movimento volontario nell’uomo è in un certo senso naturale per lui, in quanto è inscritto nella sua natura e procede dalla sua anima, anche se differisce dagli altri movimenti appetitivi e dal movimento naturale del cuore. L’Aquinate chiarisce, nell’opuscolo, che per gli animali e per l’uomo “il movimento delle altre membra è causato dal movimento del cuore”, e questo movimento “è il principio di tutti i movimenti che si sviluppano nell’animale”. L’anima è il primo principio della vita, di cui è necessaria l’esistenza e che essa diriga, a partire dal cuore (che fa di motore), gli organi destinati per natura a esercitare la propria funzione[3].

            Come commenta un autore su questo opuscolo, è vero che per l’Aquinate l’anima, in quanto atto primo di un corpo organico che possiede la vita in potenza, è presente in ogni parte del corpo, come dirà in diverse sue opere[4]. Tuttavia, sembra che egli assegni al cuore il ruolo di inizio della concrezione di quell’unità che è l’uomo. Afferma infatti: “Si ritiene che il cuore sia il punto di contatto tra la realtà materiale e quella spirituale che costituiscono l’unità sostanziale, l’uomo. Da quanto detto sopra, si capisce che l’anima non risiede nel cuore, perché si trova in ogni parte del corpo. Tuttavia, essa sarà responsabile dell’inizio, del mantenimento e della fine dell’unità sostanziale, essendo informata dall’anima e dando così inizio al movimento che, se termina, porrà fine all’unità sostanziale chiamata uomo”[5].

  1. Significati di ‘cuore’ in Tommaso di Aquino

            Esiste, quindi, in San Tommaso, un primo significato fisico-organico del cuore, il che appare anche in altri suoi scritti. Secondo questo significato afferma che “la forza motrice risiede principalmente nel cuore, per mezzo del quale l’anima diffonde al corpo tutti i movimenti e le altre operazioni”[6]. (È primo principio) “delle forze vitali in tutto il corpo ed è il primo principio di tutte le membra per quanto riguarda l’essere”[7].

            Poiché si è detto che anche certe apprensioni esterne, percepite attraverso i sensi, possono avere influsso sul movimento del cuore, è che si passa così al suo secondo significato, come sede dell’attività sensibile: “il cuore è lo strumento delle passioni dell’anima”[8]. Pur se, in certi aspetti, parte del linguaggio del Dottore Angelico può considerarsi non più attuale, è chiaro che esiste una relazione tra le passioni e i movimenti del corpo, come anche una certa analogia fra il cuore come principio dei movimenti vitali e l’amore come motore primo dell’affettività.

            Il terzo significato, il più proprio nelle opere dell’Angelico, è quello della sfera razionale, che designa l’“affettività razionale”, se possiamo chiamarla così: “Il cuore è la potenza spirituale umana capace di essere colpita dalla bontà e dal valore profondo delle cose”[9]. Così San Tommaso interpreta il Salmo 84, 3: “il mio cuore e la mia carne gioiscono nel Dio vivente”, dove per cuore si intende l’appetito intellettivo e per carne l’appetito sensibile[10].

            È per questo motivo che esistono diversi testi dell’Aquinate dove sembra identificarsi cuore con volontà, come ad esempio: “l’amore è atto della volontà che viene indicata con il termine cuore (…) la volontà è principio di tutti i moti dello spirito”[11]. Pure nel Commento al vangelo di Giovanni, quando si parla del tradimento di Giuda e che il diavolo aveva già suggerito qualcosa nel suo cuore:

 «si dice essere nel ‘cuore dell’uomo’ quanto si trova nel suo pensiero e nella sua volontà. Perciò nella frase: “quando il diavolo aveva messo nel cuore di Giuda …”, ciò si deve intendere che l’aveva messo nella di lui volontà. Questo può avvenire in due modi: diretta e indirettamente. Nel primo di essi (direttamente), in questo modo può mettere qualcosa nel cuore di un uomo soltanto colui che ha il potere di muoverne interiormente la volontà. E questo può farlo solo Dio; perciò lui solo può agire direttamente sulla volontà dell’uomo.

            Siccome però la volontà è mossa dall’oggetto esterno, ossia dal bene percepito, da ciò deriva che chi suggerisce una data cosa come buona può dirsi che mette qualcosa nel cuore di un uomo, facendoglielo apparire come un bene, da cui è mossa la volontà. Questo però può avvenire in due modi: o suggerendo dall’esterno; e in tal modo può mettere qualcosa nel cuore altrui anche un uomo; oppure suggerendo interiormente, e questo può farlo il diavolo. Infatti, essendo l’immaginativa una facoltà corporea, permettendolo Dio, è soggetta al potere del demonio. Cosicché egli, sia nella veglia che nel sonno, può formare in essa delle immagini, dalla cui percezione la volontà dell’uomo è spinta a desiderare quelle date cose. E così il diavolo influisce sul ‘cuore dell’uomo’, non direttamente quale movente, ma indirettamente come suggeritore»[12].

            Ne parleremo sul ruolo principale della volontà nei testi dell’Aquinate.

            Nei significati spirituali che Tommaso dona al termine cuore, non troviamo soltanto l’applicazione alla volontà, ma anche all’intelletto. Nel commento a Matteo cita la Glossa, la che afferma che l’uomo è chiamato ‘immagine di Dio’ in ragione della memoria, dell’intelletto e della volontà. Così che l’espressione: “con tutto il cuore” si riferisca all’intelligenza, “con l’anima” alla volontà, “con la mente” alla memoria. Precisa più avanti la Glossa, nell’affermare che “c’è differenza tra mente e cuore. Mente viene da ‘misurare’, mentre cuore viene preso per la semplicità dell’intelletto; la mente quanto al pronunciare, poiché con il discorso si misura l’intelletto, o il pensiero: quindi vuole dire che nel parlare e nel meditare amiamo Dio totalmente[13]. Anche: «quod aliquis habet mandata Dei primo quidem in corde per memoriam et iugem meditationem»[14].

            Quando si parla dell’atto della virtù intellettuale della Fede, se afferma anche che il ‘credere’ risiede nel cuore (‘credulitas cordis’)[15], secondo Rom 10, 10: Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza”. E che nel cuore entrano non soltanto degli affetti, ma perfino ‘cogitationes’[16].

            Considerando entrambi i sensi, il cuore indica anche la radice o la sede dell’intelligenza e della volontà, nonché dei loro atti interiori e, soprattutto, di quelli semplici (simplex intuitus intellectus e simplex affectus voluntatis). In relazione a questo significato, il cuore appare come il centro o il nucleo intimo e vitale più profondo della persona[17], il suo luogo incomunicabile e dove risiede la sua dignità (imago Dei), nonché il luogo in cui si riceve la grazia di Dio e l’anima viene resa idonea a conoscerlo e ad amarlo soprannaturalmente. Solo Dio può conoscere i segreti del cuore e solo Lui può muoverlo senza violenza: “si possono conoscere i pensieri, in quanto questi si trovano nell’intelletto, e gli affetti come si trovano nella volontà. In questa maniera solo Dio può conoscere i pensieri del cuore e gli affetti della volontà”[18]. Inoltre: “Gli uomini possono, parlando, rivelare agli angeli i segreti del loro cuore: perché la conoscenza [diretta] dei segreti del cuore è prerogativa di Dio”[19].

            È lì, nell’intimo del cuore dell’uomo, che si compie la sua decisione ultima, la sua libertà, che è agita dalla volontà, dalla capacità di scegliere, non solo tra cose diverse, ma alla sua stessa radice, tra il bene e il male, di tenere fede al suo fine ultimo o di rifiutarlo. È così che Dio ha parlato al popolo: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi (…) Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti” (Dt 30, 15-17). E: “io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza” (Dt 30, 19).

II. LA VOLONTA’ e il LIBERO ARBITRIO

            Stabilito quanto detto sopra, che con il concetto di cuore si intende soprattutto l’interno dell’uomo, e di in modo piuttosto principale la volontà, analizzeremo ora ciò che l’Aquinate considera essere l’origine della volontà e come questa agisce liberamente.

            Bisogna ricordare che, per Aquino, la volontà è il principale motore dell’anima e che procede direttamente da essa, benché presupponga l’intelligenza. Così: «Primum autem movens in viribus animae ad exercitium actus est voluntas»[20]. E anche: «Voluntas non directe ab intelligentia procedit sed ab essentia animae, praesupposita intelligentia»[21]. Secondo il padre Fabro, la riflessione più matura di San Tommaso sull’argomento (il “punto di arrivo”) si trova nella controversa questione De Malo, dove si afferma: “Intelligo enim quia volo et utor omnibus potentiis et habitibus quia volo”[22].

            È vero che in alcuni testi egli colloca la radice della libertà nella ragione, come ad esempio: «Tota ratio libertatis ex modo cognitionis dependet… Totius libertatis radix est in ratione constituta»[23]. Ma è proprio lì che usa ‘ragione’ e non ‘intelletto’ in senso stretto, favorendo che si capisca l’appartenenza all’ordine o genere razionale ma non alla facoltà intellettiva in particolare.

            La dottrina dell’Aquinate, per quanto riguarda la dialettica tra il moto dell’intelligenza e quello della volontà, prosegue affermando che, per quanto riguarda la determinazione dell’atto, attraverso la presentazione dell’oggetto all’intelletto, è l’intelligenza a muovere la volontà, ma per quanto riguarda l’esercizio dell’atto stesso, questo implica un soggetto, poiché il movimento proviene da un agente (come il capo di un esercito in guerra) che agisce per un fine. Da qui, e a partire da essa, la volontà muove tutte le altre potenze dell’anima ai loro atti[24]. In una prospettiva che Fabro stesso chiama “esistenziale” e che egli stesso adotta, postula la cosiddetta superiorità metafisica della volontà sull’intelletto[25].

            Nello stesso contesto: «Liberum arbitrium est causa sui motus: quia homo per liberum arbitrium seipsum movet ad agendum»[26]. San Tommaso continua: “Tuttavia la libertà non esige necessariamente che l’essere libero sia la prima causa di se stesso; come per ammettere che uno è causa di un altro, non si richiede che ne sia la causa prima. Dio pertanto è la causa prima, che muove le cause naturali e quelle volontarie. E come col muovere le cause naturali non toglie che i loro atti siano naturali, così movendo le cause volontarie non toglie che le loro azioni siano volontarie, che anzi è proprio lui che le fa esser tali: infatti egli opera in tutte le cose conforme alle proprietà di ciascuna”[27].

            C’è un punto intatto di forza della libertà al centro della volontà, che si sottrae al rigido “raggiungimento intenzionale” della volontà da parte dell’intelletto, mentre essa (la volontà) conserva la capacità che è il nucleo della responsabilità: «Applicare autem intentionem ad aliquid vel non applicare, in potestate voluntati existit. Unde in potestate voluntatis est quod ligamen rationis excludat»[28].

III. GLI ABITI e LE VIRTU

            La realtà globale, anche quella del mondo sensibile, ci conferma che esistono, nella stessa natura, determinati agenti che vanno modificando e perfezionando i suoi atti nella misura che gli esercitano, “come una modificazione acquisita del comportamento di un organismo che tende ad adattarsi all’ambiente nel quale vive”[29], come i pulcini quando imparano, a forza di ripetuti colpi, a beccare il cibo ogni volta con maggiore esattezza e più prontamente. Tale attitudine può essere definita come ‘habitus’ a livello sensitivo. Il riflesso condizionato è un caso limite, dove il soggetto -un animale, come si è esperimentato parecchie volte- sembra perdere per completo l’autodeterminazione del suo movimento rispetto a certi stimoli, pur se è capace di liberarsene se lascia di sentire lo stimolo durante un certo tempo.

            Riprendendo due definizioni di Aristotele, San Tommaso ci dice che “Abiti sono disposizioni di un essere perfetto verso l’ottimo; e dico perfetto l’essere che è disposto secondo natura”, e in modo più generico: “Disposizione secondo la quale uno è bene o mal disposto”[30]. Tra queste, le virtù morali sono quegli abiti che “portano a compiere bene l’azione buona”[31]. La virtù morale, infatti, è un abito del secondo modo, dice l’Angelico: ” è ciò che rende buono chi la possiede, e buone le azioni che egli compie”[32].

            Quello che ora ci interessa è valutare il rapporto fra il variopinto mondo degli abiti, in concreto le virtù morali, con la libertà, già analizzata come caratteristica essenziale di ogni volontà razionale, in particolare dell’essere umano.

            In relazione con quanto detto, l’Aquinate analizza, in diversi momenti delle sue scritti e in diverse opere, la relazione che esiste tra la virtù e l’atto libero nell’uomo, contro quello che potrebbe vedersi come un condizionamento della libertà da parte dell’abito o della virtù. Così, nel commento alle Sentenze: «In tutto ciò che rientra nella scelta, la volontà rimane libera, avendo solo la determinazione di desiderare naturalmente la felicità e non in modo determinato questo o quello (‘in hoc vel illo’). Anche se non può essere costretta, tuttavia può essere portata a fare qualcosa da certe disposizioni e abiti che la rendono più propensa a scegliere diversamente»[33]

            Questo ed altri testi sembrano stabilire una differenza nell’uomo fra l’appetito naturale di felicità e l’elezione di altre cose. Queste altre cose non sono soltanto i mezzi (ea quae sunt ad finem) ma perfino quello che viene chiamato da Fabro il fine ultimo in concreto. Ad esempio:

  «Il fine è ciò verso cui sono ordinate le cose che sono per il fine. Poiché la volontà si muove al suo oggetto che gli viene proposto dalla ragione, si muove in modi diverso a seconda che esso le viene proposto in modo diverso. Per cui, quando la ragione le propone qualcosa come assolutamente buono, la volontà si muove verso di esso in modo assoluto; e questo è il volere (velle). Quando invece le propone qualcosa sotto l’aspetto di bene (sub ratione boni) al quale altre cose sono ordinate come a fine, allora tende ad esso con un certo ordine, il quale si trova nell’atto della volontà non secondo la propria natura (ut natura), ma secondo le esigenze della ragione (ut ratio[34].

            “Tutto questo presuppone la realtà di una scelta concreta di un fine concreto personale nella propria vita -afferma il p. Fabro-: È mediante la scelta di questo fine ultimo che si costituisce la moralità fondamentale dell’atto umano e che la volontà umana si dice buona o cattiva, ed è mediante lo sviluppo di questa scelta che si viene formando e qualificando la personalità morale dell’uomo nella sua integrità”[35].

              È in questa scelta del fine ultimo concreto, dove l’abito – e in particolare la virtù – sembra giocare un ruolo decisivo. Così, ad esempio, secondo certi autori: “In virtù della natura razionale comune a tutti gli uomini, la felicità è per tutti il bene pieno e perfetto; in virtù delle particolare disposizioni che condizionano ciascuno, il tale o tal altro bene concreto sarà stimato come quello che può renderci felici […] L’appetizione del fin ultimo concreto è condizionata, quanto alla disposizioni, dalle passioni e dagli abiti morali del soggetto”[36]. E anche: “Gli abiti buoni sono necessari per rettificare la volontà nella volizione del fine ultimo concreto”[37].

              Esiste un testo del Compendio di Teologia che sembra dare ragione a quello affermato precedentemente:

  «il fine ultimo è naturalmente desiderato da tutti, e per questo tutti gli uomini, essendo dotati di intelletto, desiderano naturalmente la felicità (…) Ma ciò non ripugna alla libertà di arbitrio, che riguarda solo i mezzi in ordine al fine. Che poi uno ponga la felicità in questo o in quel bene, ciò non conviene a questo (soggetto) o quello in quanto è uomo, dato che in questa valutazione o desiderio gli uomini sono differenti: dipende invece del fatto che ognuno è quello che è […] e lo è in base alle proprie passioni o abitudini: per cui se uno cambia, potrà apparirgli migliore qualche altra cosa. Il che è manifesto in coloro i quali, spinti dalla passione, desiderano una cosa come ottima, ma cessata quella passione, per es. l’ira o la concupiscenza, non la giudicano più allo stesso modo. Gli abiti sono invece più permanenti, per cui si persevera più tenacemente in quelle cose che si fanno per abitudine; e tuttavia fintanto che gli abiti possono mutare, anche la valutazione e l’appetito dell’uomo circa l’ultimo fine può mutare (in questa vita)»[38].

            Si capisce, in questo modo, come il ruolo delle virtù in rapporto alla volontà umana sia fondamentale dal momento che queste dispongono la volontà in maniera di prepararla per fare delle buone scelte. La virtù fa sì non solo che l’elezione sia retta, ma possiamo dire che in qualche modo perfeziona la stessa libertà di elezione:

1°) In primo luogo, facilitando l’esercizio della libertà, perché toglie gli impedimenti che possono mettere le cattive disposizioni provenienti dal peccato e dal vizio, e mette delle buone disposizioni perché le potenze appetitivi seguano u obbediscano la ragione prudente, e facciano una buona scelta: «Le potenze razionali, che sono proprie dell’uomo, non sono determinate a una sola cosa, ma sono indirizzate, in modo indeterminato, a molte: esse vengono determinate ai loro atti dagli abiti»[39].

 2°) In secondo luogo, e secondo certi autori, l’esercizio della virtù contribuisce alla crescita della libertà, aumentando quella che viene chiamata libertà ‘morale’, giacché questa cresce con l’esercizio della virtù, nella misura che questa si esercita. Nelle opere di giovinezza, San Tommaso distingue tra una ‘libertas a necessitate’ (compellens) e una ‘libertas a disponentibus’ (inducens et impellens)[40], che comunque sembrano due istanze della libertà. Si produce uno sviluppo della libertà umana a partire dagli abiti virtuosi che influiscono sulla volontà[41]. Questo è soprattutto vero se lo confrontiamo con il piano soprannaturale, tramite la Grazia e la Carità (abito e virtù infuse rispettivamente). San Tommaso sembra interpretare in questo modo la frase “la verità vi farà liberi” (Gv 8, 32) nel commento al vangelo di Giovanni[42].    

Estasi di Tommaso di Aquino – Santi di Tito (1593) – Chiesa San Marco a Firenze (IT)

 

           Nell’abito virtuoso si manifesta la nobiltà della volontà libera, perché trovandosi essa inclinata da un abito può non agire in base ad essa, eppure sceglie di seguire l’inclinazione quando opera secondo virtù[43]. Di fatto, lo stesso Aquinate dirà che è difficile non seguire l’inclinazione dell’abito (virtuoso, in questo caso): «difficile est operari contra id ad quod habitus inclinat»[44].

            Ciononostante, rimane nella volontà, come detto, la possibilità di non seguire l’abito: “Il legame tra habitus e libertà non è così stretto da impedire che la libertà trascenda l’influsso del habitus: il che è evidente nella vita morale, perché non sempre il vizioso fa atti cattivi, né il virtuoso fa sempre e necessariamente atti buoni”[45]. Così:

       «L’abito – scrive San Tommaso – non produce la sua operazione nell’anima per necessità, ma l’uomo se ne serve quando vuole. Perciò, rimanendo l’abito in lui, l’uomo può non usarne, oppure può compiere un atto contrario. E in questo modo, pur possedendo una virtù, uno può passare all’atto contrario”[46].

 

[1] Cf. TOMÁS DE AQUINO, «Sobre el movimiento del corazón (De Motu Cordis)» en ID., Opúsculos filosóficos genuinos, Poblet, Buenos Aires 1947, 90-101. Altra traduzione in spagnolo: Del Movimiento del Corazón, trad. Besterreche V., com. Caponneto M.; Athanasius- Scholastica, Bs. As, 1994.

[2] Cfr. S. Th (Summa Theologiae) I-II, q. 48, a. 2c: «il moto dell’ira provoca l’ardore del sangue e degli spiriti vitali intorno al cuore, che è lo strumento delle passioni dell’anima».

[3] Cfr. De motu Cordis, op.cit.

[4] Ad esempio, SCG (Contro Gentes) II, 72: “absolute dicendum est eam totam esse in qualibet parte corporis”.

[5] Cfr. Villagra, Gabriela J.: De motu Cordis: una mirada sobre el corazón en Tomás de Aquino [https://www.academia.edu/12097265/De_Motus_Cordis_Una_Mirada_Sobre_el_Coraz%C3%B3n_en_Santo_Tom%C3%A1s_de_Aquino] (consultato il 20/2/2025).

[6] Cfr. SCG II, 72.6, op.cit., seguendo Aristotele, De Causa Motus Anim. X. Anche S. Th., II-II, 44, a. 5c: “il cuore corporeo è principio di tutti i moti del corpo”.

[7] In III Sent. d. 13, q. 2, a. 1, ad5: “primum principium omnium membrorum quantum ad esse” (Aris. Generatio animali, 2.6, 743b25‒30).

[8] Cfr. I-II, q. 48, a. 2c.; q. 87, a. 2c.

[9] Cf. Fernández Ruiz, J. I., ¿Existe en Santo Tomás una filosofía del corazón?, SAPIENTIA LXXVIII (2022), Fsc. 252; 235-248 (241-2) [https://erevistas.uca.edu.ar/index.php/SAP/article/view/5194/5767] (consultata il 24/2/2025).

[10] Cfr. I-II, q. 24, a. 3c.; II-II, q. 81, a. 7 sc.; III, q. 21, a. 2, ad3.

[11] L’ormai citato testo di S. Th (Summa Theologiae) II-II, 44, a. 5c.

[12] Tommaso di Aquino, In Iohannem vangelii expositio, 13, 1 [ed. Marietti 1742].

[13] Cfr. Super Evangelium Matthaei, c. 22, lec. 4 [Marietti 1814].

[14] “C’è qualcuno il quale ha i comandamenti di Dio nel cuore, mediante il ricordo e l’assidua meditazione” (cfr. In Ioh 14, lec. 5 [1933]).

[15] Cf. S. Th II-II, q. 12, a. 1, ad2; q. 3, a. 2 sc.

[16] Cf. S. Th II-II, q. 25, a. 7c.

[17] “S. Agostino dopo le parole riportate aggiunge che la misura di amare Dio è di amarlo con tutto il cuore, cioè di amarlo per quanto è possibile. E questo è proprio della misura che appartiene alla norma chiamata a misurare” (II-II, q. 27, a. 6, ad2). “La prima per il fatto che con essa si ama Dio con tutto il cuore, cioè in modo da rivolgere a lui ogni cosa: e così tutte le nostre brame sono rivolte a un solo oggetto” (II-II, q. 29, a. 3).

[18] I, q. 57, a. 4c.

[19] I, q. 117, a. 2. Anche: “A Dio invece rivolgiamo la parola non per manifestare il nostro pensiero a lui, scrutatore dei cuori; ma per indurre noi stessi e coloro che ci ascoltano ad onorarlo” (II-II, q. 91, 1c).

[20] “Il primo motore nell’esercizio dell’atto è la volontà” (cfr. S. Th., I-II, q. 17, a. 1; cfr. q. 9, a. 1).

[21] “La volontà non procede direttamente dall’intelligenza, ma dall’essenza dell’anima, presupposta l’intelligenza” (De Veritate, q. 22, a. 11, ad6um).

[22] “Intendo infatti perché voglio, e uso di tutte le altre potenze (e abiti) perché voglio” (De Malo, q. 6, a. un.). Cfr. Fabro C., Riflessioni sulla libertà, EDIVI, Segni 2004, 31.

[23] “Tutta l’essenza della libertà dipende dal modo della conoscenza […] La radice di ogni libertà è collocata nella ragione” (De Veritate, q. 24, a. 2).

[24] Cf. S. Th. I-II, q. 9, a.1. Anche De Malo, loc. cit., ad 10um.

[25] Cf. Fabro C., op.cit., 31, nota 35.

[26] “Il libero arbitrio è causa del suo operare; perché l’uomo muove se stesso all’azione per mezzo del libero arbitrio” (S. Th., I, q. 83, a. 1, ad3).

[27] Cfr. ibidem.

[28] “Applicare o meno un’intenzione a qualcosa è nel potere della volontà. Quindi è in potere della volontà escludere il vincolo della ragione” (De Malo, q. 3, a. 10).

[29] Pangallo M., ‘Habitus’ e vita morale: Fenomenologia e fondazione ontologica; LER, Napoli/Roma 1988, 14.

[30] «Habitus sunt dispositiones quaedam perfecti ad optimum; dico autem perfecti, quod est dispositum secundum naturam»; «Dispositio secundum quam aliquis disponitur bene vel male» (S. Th., I-II, q. 49, a. 2).

[31] «Perfecte autem virtus moralis este habitus inclinans in bonum opus bene agendum» (S. Th., I-II, q. 65, a. 1).

[32] S. Th., I-II, q. 56, a. 3, in base a quanto afferma Aristotele, Ethica 2, 6. Anche II-II, q. 47, a. 4co.

[33] Cfr. Tommaso di Aquino, In II Sent., d. 25, q. 1, a. 2., sol.

[34] De Veritate, 22, a. 13.

[35] Cfr. Fabro C., Riflessioni sulla libertà, 42.

[36] Cfr. A. Rodríguez Luño, La scelta etica. Il rapporto fra libertà e virtù (Ragione & Fede. Collana studi filosofico-teologici di base, 7; Milano 1988, 79). Aquino aggiunge che nell’appetito razionale -non naturale- esiste rettitudine quando si appetisce la beatitudine ‘ubi vere est’ (In IV Sent., d. 49. q. 1, a. 3, sol. 3, dove aggiunge: «ex parte appetitus naturalis semper est ibi rectitudo; sed ex parte appetitus rationalis quandoque est ibi rectitudo, quando scilicet appetitur ibi beatitudo ubi vere est; quandoque autem perversitas, quando appetitur ubi vere non est; et sic in appetitu beatitudinis potest aliquis vel mereri adjuncta gratia, vel demereri, secundum quod ejus appetitus est rectus vel perversus»). Questa scelta della felicità «ubi vere est» è quella che determina la rettitudine di un’azione e la moralità degli atti umani (cfr. S.M di Fatima Gaioli, La electio libre en el hábito virtuoso según el pensamiento de Tomás de Aquino, EDIVE, San Rafael 2023, 140).

[37] Cfr. G. Abbà, Le virtù per la felicità. Ricerche di filosofia morale – 3; Nuova Biblioteca di Scienze religiose 55, LAS, Roma 2018, 112.

[38] Tommaso di Aquino, Compendium Theologiae, c. 174.

[39] S. Th., I-II, q. 55, a. 1co. L’espressione finale è: «Potentiae autem rationales […] determinantur autem ad actus per habitus». L’articolo inizia così: «virtus nominat quandam potentiae perfectionem».

[40] «libertas a necessitate est quae consequitur naturam potentiae; et ideo per actus et habitus non variatur: sed libertas a disponentibus sequitur habitum et actum; et ideo secundum diversitatem actuum et habituum variatur» (In II Sent., d. 25, q. 1, a. 4, ad1 et c.).

[41] «[…] secundum philosophum, in I Metaphys., liber est qui sui causa est. Ille ergo libere aliquid agit qui ex seipso agit. Quod autem homo agit ex habitu suae naturae convenienti, ex seipso agit, quia habitus inclinat in modum naturae» (I-II, q. 108, a. 1, ad2).

[42] Come liberazione della servitù del peccato, di cui Rm 8, 32 (cfr. In Iohannem, 8, 32 [1199]). Cfr. Fatima Gaioli, La electio, 233.

[43] Cfr. S. M. di Fatima Gaioli, La electio libre, 185.

[44] Q. De Malo, 3, a. 13, ad6.

[45] Pangallo M., ‘Habitus’ e vita morale, 78.

[46] S. Th., I-II, q. 71, a. 4; cf. De virtutibus in communi, q. 1, a. 1, ad5, dove afferma che l’atto vizioso esclude l’atto virtuoso per contrarietà, ma non toglie la virtù acquisita.

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