GEORGE PELL: DIARIO DI PRIGIONIA

GEORGE PELL: DIARIO DI PRIGIONIA

Recensione al libro: George Pell: Diario di Prigionia; vol. 1: L’appello (27 febbraio – 13 luglio 2019); ed. Cantagalli, Siena 2021; 442 pp.        

Cardinale George Pell

Il 7 aprile 2020, l’alta corte di Australia si è espressa in modo unanime per annullare il verdetto di colpevolezza ed emettere uno di assoluzione del Cardinal George Pell, già arcivescovo di Sydney, ex-arcivescovo di Melbourne ed ex-segretario alle Finanze dello Stato Vaticano, ribaltando l’incomprensibile condanna del cardinale per abuso sessuale ‘storico’. Pell aveva trascorso 405 giorni in prigione dalla prima sentenza di condanna. Durante il suo soggiorno, scrisse il diario di Prigionia, la cui prima parte vide la luce alla fine dello stesso anno 2020.[1]

Le parole citate sono quasi le testuali del famoso giornalista George Weigel, che scrisse la prefazione di questo volume, un “diario di prigionia che non avrebbe mai dovuto vedere la luce”, come afferma. Noi crediamo invece che è un grande bene che abbia questo visto la luce, poiché lo consideriamo luce per noi e per la Chiesa di oggi, tanto rimpicciolita in se stessa e con un peso tanto insignificante nell’affrontare e risolvere i grossi e urgenti problemi di questo mondo.

È un bene che abbia visto la luce perché è un balsamo per lo spirito; scritto con uno stile semplice, proprio del quotidiano succedersi degli avvenimenti. Descrive i dettagli più semplici: Il vito che mangiava, il tratto, in genere rispettoso, delle guardie, il chiasso di alcuni compagni di prigionia delle celle vicine, le visite che riceveva, la quantità immensa di lettere (una trentina al giorno) che riceveva di tutto il mondo – pur se la maggioranza gli erano consegnate in ritardo. Vi troviamo anche delle pagine con delle riflessioni molto profonde e illuminanti in rapporto alla grande crisi che vive la Chiesa. Scrive, ad esempio: “Quando pensiamo di rendere più gradevole Gesù eliminando gli insegnamenti più ostici o minimizzando l’importanza della preghiera, della fede, della croce, ecc., non dobbiamo meravigliarci se poi le persone se ne vanno e decidono di non unirsi a noi. Una religione troppo comoda è una religione falsa” (p. 66). Parla in seguito di certe correnti riformatrici della Chiesa e dei cambiamenti che vogliono ottenere. E afferma, senza indugi: “Non scoprono mai tutte le loro carte. È stato per me un campanello di allarme quando, rivolto una volta a un altro prelato europeo, gli aveva detto che il primo criterio per la bontà di un vescovo era testimoniare la fede cattolica e apostolica. Al mio interlocutore – dice – è venuta la schiuma in bocca per l’indignazione e la disapprovazione”.[2]

La situazione di angoscia che vive la Chiesa, di mancanze di energia, di vocazioni, di presenza nel mondo, percepita da Pell, non ha altra origine che la dimenticanza e il rifiuto del soprannaturale, elemento caratteristico di certe correnti della chiesa odierna, che il cardinale  nota acutamente: “Il soprannaturale fa parte integrante della dottrina cristiana, e quando il Cattolicesimo viene ridotto a un’istituzione agnostica che si occupa del sociale, si tradisce la Tradizione, i fedeli scompaiono e il loro esodo si fa sempre più rapido” (p. 107). Riconforta la visione di un tanto alto prelato come George Pell, che sa riscoprire, nel crogiuolo di una sofferenza immeritata, il cardine della grave crisi che vive la chiesa nel mondo moderno, quando essa dimentica di annunciare il vangelo e seguire il compito tracciato dal suo maestro. Pell riconosce gli effetti devastanti di un tale atteggiamento, da lui eseguito in parte nel passato: “La situazione attuale è quasi l’opposto di quella che si viveva dopo il Concilio Vaticano II, quando tutti noi, giovani sacerdoti e religiosi eravamo ‘progressisti’, impegnati nelle riforme conciliari, quando lentamente sono apparse le differenze tra quelli che si erano impegnati a seguire il dettato dei documenti conciliari e tra quelli che guardavano a quei testi semplicemente come trampolino e lancio di utilizzare per altri e ‘migliori’ opzioni. Trentamila uomini hanno abbandonato il sacerdozio e in numero maggiore ancora i religiosi” (p. 78).

Le conseguenze del progressismo per la società e per la Chiesa si sono rivelate un disastro, e lo sono ancora, tanto negli ambienti protestanti come in quelli cattolici. Ne racconta un esempio il cardinale quando parla degli elogi funebri celebrati in onore di Bob Hawke, un ex primo ministro australiano, cerimonia vista da lui in televisione dal carcere: “Tutto era ben curato (…), c’era anche l’Alleluia di Händel. La Sydney Opera Hause era piena e all’esterno c’erano 1500 persone. Tuttavia, non è stata pronunciata una parola su Dio, su Cristo o sulla vita dopo la morte, se si esclude il testo cantato del coro” (p. 353). In parallelo, una società senza Dio e senza Cristo si dirige in modo massiccio verso la crudeltà e l’ingiustizia, dimenticando le virtù che l’hanno edificata: “Dio è lo Spirito di amore che ha creato l’universo attraverso suo Figlio, e che perdona ogni peccato quando si è sinceramente pentiti (…) Se il Cristianesimo prosegue nel suo continuo declino, ne risulterà una società meno incline al perdono” (p. 83). Il relativismo riguardo alla ricerca e possessione della verità oggettiva si fa anche più forte con la dimenticanza di Dio: “Quando però esiste soltanto la mia o la tua verità, quando la verità è il prodotto del potere ed è imposta agli altri da chi è più potente, la ricerca delle prove diventa superflua e addirittura noiosa” (p. 410).

Il cuore del problema risiede indubbiamente nella gerarchia della Chiesa, e nei vescovi in particolare. L’opinione su quale dovrebbe essere il compito principale e l’atteggiamento di un vescovo cattolico è stata ormai sposta. Ecco un’altra mostra: “Papa Benedetto e il cardinale Sarah hanno ragione in affermare che l’assenza di Dio è il cuore dei nostri problemi, e se un vescovo deve rifiutare i consigli o inimicarsi l’opinione pubblica per riportare o mantenere Dio al centro, allora ben venga” (p. 349). L’atteggiamento di chi non difende la Fede né si radica nelle verità immutabili del NT non fa altro che fomentare la crescita del secolarismo e dell’anticristianesimo come mentalità politicamente corretta, che è la realtà quale assistiamo oggi: “Alle forze sempre più violente a favore del politicamente corretto non basta che tutte le persone siano trattate con rispetto e amore, ma in nome della tolleranza esigono non soltanto che la pratica omosessuale, come pure i matrimoni tra lo stesso sesso, sia dichiarata legale, ma che tutti approvino tali pratiche, almeno pubblicamente e che tutti si astengano dall’abbracciare in qualsiasi dibattito pubblico gli insegnamenti cristiani sul matrimonio e sulla sensualità. È la fine della libertà religiosa” (pp. 389-390). Allo stesso tempo, fa dilagare gli spiriti cristiani in una mentalità assolutamente soggettivista, in particolare in quello che riguarda il dopo morte: “[Esiste] il sentimento diffuso secondo il quale le persone hanno un diritto (quasi) universale alla felicità del paradiso. Il punto è che tale presunto e sconsiderato diritto, nel giro di un paio di generazioni, degenererà nell’incredulità nella vita dopo la morte. Sempre più persone ritengo che la prospettiva dell’annientamento dopo la morte sia preferibile a quella di un Dio giudice. Ma ciò che noi pensiamo di ciò che sarà dopo la morte non cambia la situazione di una virgola, a prescindere da quale sia la nostra opinione” (p. 422).

Il Cardinale alterna, nel suo diario, la narrazione degli avvenimenti quotidiani con interessanti riflessioni sulla politica, sulla situazione religiosa in Australia, Irlanda, Québec ed Europa, con opinioni su articoli di esegesi biblica, sulla spiritualità e autori spirituali, sulla coscienza morale e le teorie relativistiche, sulle accuse di abuso nella Chiesa, sullo sviluppo del proprio caso e sul suo prossimo appello, sui problemi della Chiesa e dell’educazione cattolica, soprattutto nelle università del mondo anglosassone (pp. 340 ss.): “Le università cattoliche sono ora più riccamente foraggiate, con personale laico altamente qualificato, dedicato all’eccellenza e spesso dotate di splendide strutture; molte però non si definiscono più cattoliche” (p. 344). In particolare cita la recensione fatta da un sacerdote gesuita amico suo, su un libro riguardo la vita e opera di Ted Hesburg, il sacerdote gesuita che è stato preside della famosa università di Notre Dame in Indiana lungo 35 anni. Lui è riuscito a moltiplicare il budget dell’università di più di 17 volte, e lo stesso fece con i finanziamenti. Secondo l’opinione dell’autore del libro – che Pell fa anche sua – questo “ha sostituito la ricerca della verità con la ricerca dell’eccellenza, e ha fatto in modo che il Cristianesimo non fosse più il cuore accademico dell’università, ma questo lui non l’ha mai riconosciuto o ammesso” (p. 346).

Lui è ben cosciente di trovarsi ingiustamente in prigione, e della necessità di fidarsi, anzi, abbandonarsi alla volontà di Dio, combattendo allo stesso tempo con tutti i mezzi legali per cercare di dimostrare la verità della sua innocenza, pur se, nel personale, dichiara perdonare e aver perdonato: “Ho perdonato e continuerò a farlo” (p. 427). Infine, un uomo che pensa, che sa che bisogna impiegare i veri mezzi umani e librare le grandi battaglie di Dio, ma che allo stesso tempo crede nel soprannaturale, e che vive della Fede, sperando in Dio, addirittura convinto che questo dovrebbe essere il compito di ogni vero pastore nella Chiesa cattolica. Il racconto di ogni giorno del suo giornale conclude sempre con una preghiera, a volte tanto bella e significativa come questa: “Concedimi, Signore, di sopportare le tribolazioni, e di conformare in ogni cosa la mia volontà alla tua, affinché io possa sinceramente dire: Fiat voluntas tua, sicut in cielo et in terra. Dammi, o Signore, la grazia di portare a compimento le cose di cui ti prego. Amen” (p. 369).

Siamo ormai lontani di poter compiere i desideri e i sonni di questo grande successore degli Apostoli, ma è buono e consolante sapere che tali pastori esistono e che il Signore li sa purificare nel crogiuolo della persecuzione ingiusta, allo scopo di renderli simili a sé. Che il Signore abbia pietà della sua Chiesa e ci mandi pastori della portata e visione del cardinal George Pell. Ne abbiamo bisogno. Che l’intercessione della Madre di Dio ottenga questa grazia alla sua Chiesa, per il bene di essa e la salute del mondo.

 

R. P. Carlos D. Pereira, IVE

[1] L’opera originale è: George Cardinal Pell, Prison Journal: Vol. I © 2020 Ignatius Press, San Francisco.

[2] Diario, 66.

Un altro articolo su Cardinale Pell, appena rilasciato in libertà dall’Alta corte australiana, è stato pubblicato da noi in questo blog. Si veda: https://bibbia.vozcatolica.com/2020/05/03/giustizia-degli-uomini-e-giustizia-di-dio-caso-del-cardinale-pell/

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Rispondi