L’UOMO COME IMAGO DEI 

L’Uomo come Imago Dei 

  1. Testi e significati originali           

Creazione dell’uomo
Michelangelo Buonarroti
Cappella Sistina – Città del Vaticano

           La prima notizia dell’uomo come “immagine di Dio” (imago Dei) la troviamo senza dubbio nella Sacra Scrittura, nel momento stesso di essere creato l’uomo da parte di Dio. Leggiamo nel testo sacro [Vg]: “Creavit Deus hominem ad imaginem suam ad imaginem Dei creavit illum masculum et feminam creavit eos” (“Creò Dio l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò [Gen 1,27]).[1]

          Troviamo l’espressione anche nel versetto precedente, quando Dio manifesta la volontà di creare l’uomo: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram (“Facciamo l’uomo a immagine e somiglianza nostra” [Gen 1,26]).

            Nel testo ebraico originale, l’espressione di Gen 1,27 si legge: be tsélem (“a [nella] immagine”). Il termine tsélem sembra designare originalmente una somiglianza non fisica; è utilizzato nella Bibbia per significare le statue di dei o imperatori (2Re 11,18; Num 33,52), e per significare anche un modello o disegno grafico di un’altra realtà (1 Sam 6,5; Ez 23,14).[2]

            Per similitudo (“somiglianza”), l’ebraico utilizza il termine demût dalla radice dâm (sangue), significando senz’altro la somiglianza fisica, che viene dal sangue. Le circostanze sono infatti diverse in un caso e nell’altro: Tsélem è la somiglianza non fisica, ma quella che rende presente il nome del genitore nella storia e nelle generazioni che seguiranno: Quello che riceve il tsélem è proprio il suo “rappresentante”. Nel caso della Genesi, l’uomo (adam) sarà il rappresentante di Dio sulla terra. Questa caratteristica mette di rilievo la trascendenza di Dio nel racconto; non essendo Dio ‘immanente’ al mondo, vuole quindi nominare un suo rappresentante.[3]

            La Bibbia greca (LXX) traduce tsélem con il vocabolo εἰκόνα (accusativo di εἰκών = eikōn), per Gen 1,26 y 1,27, termine che tanto nella Sacra Scrittura come in buona parte della letteratura profana possiede tre significati, in stretto rapporto fra loro e in scala di importanza: 1 – immagine (propria di una riproduzione pittorica, una statua o uno specchio), e metaforicamente anche rappresentazione; 2 – fantasma, forma immaginaria; 3 – paragone, comparazione. In ogni caso, considerando il suo primo significato, si può dire che eikòna traduce ottimamente il termine ebraico. 

  1. Distinzione immagine – somiglianza

            La distinzione fra immagine e somiglianza, di un punto di vista biblico, si chiarirà di più nel confronto fra Gen 1,26 (creazione di Adamo) e Gen 5,3 (nascita di Set, figlio di Adamo). In 5,3 viene detto, infatti, che Adam generò Set a centotrenta anni.

– 1,26: Facciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram…

– 5,3: genuit (Adam) ad similitudinem et imaginem suam…

            Osserviamo che l’ordine dei termini si inverte. Si cerchiamo di tradurre direttamente il testo ebraico, il paragone diventa ancora più interessante:

– 1,26: Facciamo l’uomo a (nella) nostra immagine e come nostra somiglianza

– 5,3: E (Adam) generò nella sua somiglianza e come la sua immagine, e lo chiamò (Set).[4]

1 – Come abbiamo detto, la radice ebraica per somiglianza è dâm = demût (di sangue). La somiglianza, biblicamente, viene dalla procreazione. Nella discendenza genetica (tra Adamo e Set, il secondo versetto), la somiglianza prende la precedenza sull’immagine, dal momento che quest’ultima implica solo una rappresentanza, un segno. Invece nel rapporto Dio – uomo di Gen 1,26, la precedenza è del segno o immagine (tsélem), non esistendo un legame di sangue.

2 – Nel rapporto tra Dio e l’uomo, l’immagine o rappresentanza è più significativa che qualsiasi tipo di somiglianza, perché si tratta in definitiva del rapporto di una creatura riguardo il suo creatore; mentre che in 5,3 parliamo di un rapporto genetico. Ecco perché in 1,26 la precedenza è del termine immagine e si aggiunge: “come nostra somiglianza”. In 5,3 l’ordine è invece l’inverso. La somiglianza tra Adamo e Set è data dal sangue. Ciononostante, in 1,26 esiste una somiglianza analoga, comparativa, in quanto che Dio ha voluto far partecipe all’uomo dal suo lignaggio: “Di lui, infatti, noi siamo anche stirpe” (Atti 17,28).

            Altri testi della Scrittura sono:

– Sap 2,23: Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità e lo ha fatto a immagine della propria natura.

Sir 17,3: Li ha rivestiti di forza come se stesso, li ha fatti secondo la sua immagine.[5]

            Nel Nuovo Testamento, San Paolo parla dell’uomo come: immagine e gloria di Dio (1 Cor 11,7). Ancora più spesso utilizza questo termine per Cristo: immagine del Dio invisibile (2 Cor 4,4; Col 1,15), modello secondo il quale l’uomo deve essere trasformato e diventare un uomo nuovo (2 Cor 3,18).

  1. Testi del Magistero e della Tradizione

            I testi del Magistero moderno mettono pure in rilievo l’iconicità dell’uomo: «La Sacra Scrittura, infatti, insegna che l’uomo è stato creato a immagine di Dio, capace di conoscere e di amare il proprio creatore» (Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et Spes, 12). Il Catechismo della Chiesa Cattolica, nel citare questa sentenza, aggiunge: «soltanto l’uomo è chiamato a condividere, nella conoscenza e nell’amore, la vita di Dio. A questo fine è stato creato ed è questa la ragione fondamentale della sua dignità» [CCC, 356].

a) Dignità, persona, anima e corpo: Viene pure spiegato in cosa consista questa dignità di persona: «non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone; è chiamato, per grazia, ad una alleanza con il suo Creatore, a dargli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare in sua sostituzione» [357]. E ancora: «è stato creato per servire e amare Dio e per offrirgli tutta la creazione» [358].

            Questa nozione di immagine si desume principalmente dell’anima dell’uomo, ma non esclude pure il corpo umano:

– [363]: «Spesso, nella Sacra Scrittura, il termine anima indica la vita umana (Mt 16, 25-26; Gv 15,13) oppure tutta la persona umana (At 2,41). Ma designa anche tutto ciò che nell’uomo vi è di più intimo (Mt 26,38; Gv 12,27) e di maggior valore (Mt 10,28; 2Mac 6,30), ciò per cui più particolarmente egli è immagine di Dio: “anima” significa il principio spirituale nell’uomo.

– [364]: «Il corpo dell’uomo partecipa alla dignità di “immagine di Dio”: è corpo umano proprio perché è animato dall’anima spirituale, ed è la persona umana tutta intera ad essere destinata a diventare, nel Corpo di Cristo, il tempio dello Spirito (1Cor 6, 19-20; 1Cor 15, 44-45).

b) Rapporto con il Figlio di Dio fatto uomo:

            Per molti dei Padri che hanno affrontato l’argomento, il rapporto con l’uomo Cristo è quello che dona la luce definitiva sull’interpretazione della realtà naturale dell’uomo:

– «È l’uomo, grande e meravigliosa figura vivente, più prezioso agli occhi di Dio dell’intera creazione: è l’uomo, è per lui che esistono il cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione, ed è alla sua salvezza che Dio ha dato tanta importanza da non risparmiare, per lui, neppure il suo Figlio Unigenito. Dio infatti non ha mai cessato di tutto mettere in atto per far salire l’uomo fino a sé e farlo sedere alla sua destra».[6]

Creazione di Adamo – mosaici della Basilica di Monreale (Sicilia)

– «Il primo uomo, Adamo, fu creato da quest’ultimo, dal quale ricevette l’anima per vivere… Il secondo Adamo plasmò il primo e gli impresse la propria immagine. E così avvenne poi che egli ne prese la natura e il nome, per non dover perdere ciò che egli aveva fatto a sua immagine. C’è un primo Adamo e c’è un ultimo Adamo. Il primo ha un inizio, l’ultimo non ha fine. Proprio quest’ultimo infatti è veramente il primo dal momento che dice: “Sono io, io solo, il primo e anche l’ultimo”».[7]

            Perfino il Magistero più recente, sottolinea anche che il rapporto intimo con Cristo è la chiave per capire l’identità dell’uomo: «In realtà solamente nel Mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo» (Gaudium et Spes, 22). Questa illuminante sentenza del Concilio sarà ripresa dal magistero di San Giovanni Paolo II dal suo primo inizio, esplicitandola e sviluppandola ancora: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione». E ancora: «Dio è entrato nella storia dell’umanità e, come uomo, è divenuto suo ‘soggetto’, uno dei miliardi e, in pari tempo, Unico! Attraverso l’Incarnazione Dio ha dato alla vita umana quella dimensione che intendeva dare all’uomo sin dal suo primo inizio, e l’ha data in maniera definitiva».[8]

  1. Immagine e somiglianza in San Tommaso di Aquino

            Nella Somma di Teologia, si domanda l’Aquinate circa l’esistenza nell’uomo di un’immagine di Dio, e riguardo su in cosa essa consista:

a) Nozione e caratteristiche: – «Immagine deriva dall’atto dell’imitare. Quindi un uovo, per quanto possa essere simile e uguale a un altro uovo, non potrà essere chiamato sua immagine, appunto perché non ne costituisce una riproduzione. — Il concetto di immagine non include invece l’uguaglianza poiché, come dice St. Agostino, “dove c’è l’immagine non vi è senz’altro l’uguaglianza”, come è evidente nel caso dell’immagine di una persona riflessa in uno specchio. Però [l’uguaglianza] è richiesta nell’immagine perfetta: poiché nell’immagine perfetta non deve mancare nulla di quanto appartiene al prototipo da essa riprodotto.

            È chiaro che nell’uomo vi è una certa similitudine [o immagine rappresentativa] di Dio, dipendente da lui come dal suo esemplare: ma non è una similitudine di uguaglianza, poiché l’esemplare supera all’infinito la copia. Quindi si dovrà dire che nell’uomo vi è un’immagine di Dio non perfetta, ma imperfetta. E questo vuole indicare la Scrittura quando dice che l’uomo è fatto “a immagine di Dio”: poiché la preposizione “a” (ad) indica l’approssimazione a una cosa, che però è distante».[9]

            Si tratta dunque di una approssimazione o imitazione; non una qualsiasi ma nella specie. Continua a dire S. Tommaso: «Per una vera immagine non basta una somiglianza qualsiasi, anche se c’è dipendenza da altri. Se infatti la somiglianza si limita al genere o a un accidente comune, non si potrà dire per questo che una cosa è a immagine di un’altra: come un verme originato dalla carne dell’uomo non può essere detto immagine dell’uomo perché simile a lui nel genere [animale]; e neppure una cosa che riceve il [colore] bianco a somiglianza di un’altra può essere detta sua immagine, essendo il bianco un accidente comune a molte specie. Quindi per avere un’immagine si richiede la comunanza secondo la specie, ed è il caso dell’immagine del re esistente in suo figlio, o per lo meno la comunanza secondo qualche accidente proprio della specie, in modo particolare secondo la figura, ed è il caso dell’immagine di un uomo riprodotta nel bronzo».[10] Nel caso dell’uomo questa comunanza con Dio si dà sotto l’aspetto della razionalità (natura intellettiva), che per l’uomo costituisce la caratteristica fondamentale della sua essenza.[11]

            Perciò solo nella creatura razionale troviamo una somiglianza con Dio “come immagine” (che si riduce alla “comunanza secondo la specie”, in certo modo), nelle altre creature solo come vestigio. E la creatura umana supera le altre per l’intelletto. Dunque, nelle altre parti dell’uomo (corpo, ad es.) ci sarà solo qualche somiglianza di vestigio (non somiglianza di accidente proprio ma solo di un effetto).[12]

            Come è possibile osservare, questa concezione è molto vicina al concetto di imago Dei che si riscontra nella Scrittura, e che proviene dalla stessa etimologia ebraica: L’immagine, quando non è perfetta (come sarebbe quella di un uomo con se stesso) è allora uguale nella specie (un suo figlio) o almeno rappresenta quella specie in un certo modo approssimato (immagine speculare, statua, sigillo, ecc.). San Tommaso fa pure notare che, nel caso dell’uomo Cristo, l’immagine di Dio è perfetta, e perciò viene chiamato “immagine” e non “a immagine”, poiché esiste identità di natura, mentre che nell’uomo la somiglianza si dà in una natura estranea.[13] Quest’ultimo argomento si trova pure sviluppato nel commento alla lettera ai Corinzi.[14]

b) Gradi della immagine: Per l’Aquinate si possono riconoscere almeno tre gradi di questa nozione di immagine.

            «Perché l’uomo è a immagine’ specialmente per la sua natura intellettiva, egli raggiungerà il grado massimo di questa sua somiglianza, nell’atto in cui la natura intellettiva può massimamente imitare Dio. Ora, la natura intellettiva imita Dio al massimo quanto al fatto che Dio conosce e ama se stesso. Quindi l’immagine di Dio nell’uomo può essere considerata sotto tre aspetti:

            [1°] Primo, in quanto l’uomo ha un’attitudine naturale a conoscere e ad amare Dio: e questa attitudine si trova nella natura stessa della mente, che è comune a tutti gli uomini.

            [2°] Secondo, in quanto l’uomo conosce e ama Dio in maniera attuale o abituale, però non in modo perfetto: e questa è l’immagine dovuta alla conformità della grazia [fede, carità, virtù…].

            [3°] Terzo, in quanto l’uomo conosce e ama Dio in maniera attuale e perfetta: e questa è l’immagine secondo la somiglianza della gloria. Quindi, nel versetto del Salmo [4,7]: Risplende su di noi, Signore, la luce del tuo volto, la Glossa [ord.] distingue tre immagini, e cioè di creazione, di ricreazione e di somiglianza. – La prima immagine dunque si trova in tutti gli uomini, la seconda nei soli giusti, la terza nei soli beati».[15]

c) Predicazione di immagine riguardo alla Trinità: Potrebbe pensarsi che, chiamando l’uomo imago Dei a causa della sua capacità razionale, non dovrebbe essere immagine che dalla sola essenza divina (o Dio in quanto uno), perché la considerazione della Trinità scappa totalmente alla sola capacità razionale naturale dell’uomo e la si conosce solo tramite la Rivelazione.

            Spiegherà S. Tommaso: «La distinzione delle Persone divine è data solo dall’origine, o meglio dalla relazione di origine, come spiegato [I, 40,2]. Ora, il processo di origine non è uguale per tutti gli esseri, ma è conforme alla natura di ciascuno; infatti, in un modo si producono gli esseri animati e in un altro quelli inanimati; in una maniera nascono gli animali e in un’altra le piante. È evidente quindi che la distinzione delle Persone si verifica secondo il modo che è conforme alla natura divina. Perciò essere a immagine di Dio, secondo l’imitazione della natura divina, non esclude la possibilità di esserlo anche secondo la Trinità delle Persone; anzi l’una cosa è implicita nell’altra. – Bisogna perciò ammettere che nell’uomo vi è l’immagine di Dio, e secondo la natura divina, e secondo la Trinità delle Persone; poiché in Dio stesso esiste una sola natura in tre Persone».[16] In altre parole, se si è provato che si può dire dell’uomo che è “a immagine di Dio” (a motivo della sua natura razionale), questo vorrà dire: “a immagine di quello che Dio veramente è”, cioè della sua essenza, indipendentemente del mistero interno di questa essenza divina riguardo le sue relazioni interne (di origine).

            Sarà ancora più esplicito al momento di spiegare in cosa l’uomo somigli di più all’essenza divina e in cosa di più alla Trinità:

– «Per quanto riguarda la somiglianza con la natura divina, le creature razionali arrivano in qualche modo a una imitazione secondo la specie in quanto imitano Dio non solo nell’essere e nel vivere, ma anche nell’intendere, come si è visto. Le altre creature invece non intendono, pure se traspare in esse un certo vestigio dell’intelletto creatore, considerando la loro disposizione.

– Parimenti, siccome la Trinità increata fonda le sue interne distinzioni sulla processione del Verbo dal Padre che lo esprime e sulla processione dell’Amore da ambedue, si può affermare che nella creatura razionale esiste un’immagine della Trinità increata secondo una somiglianza specifica: poiché in tale creatura (l’uomo, l’angelo) si trova un’emanazione del verbo mentale da parte dell’intelletto e un’emanazione dell’amore da parte della volontà. Nelle altre creature invece non si riscontra né il principio del verbo mentale, né il verbo, né l’amore; vi si trova però un vestigio, il quale indica l’esistenza di tale realtà nella causa che l’ha prodotta».[17]

            Riguardo alla prima difficoltà da noi sposta (che la considerazione della Trinità scappa alla capacità naturale), San Tommaso l’espone di modo simile nella terza obiezione dell’articolo 5, quando si domanda se l’essere immagine di Dio suppone che l’uomo potrebbe conoscere naturalmente la Santa Trinità. Risponderà (ad3) che questo soltanto sarebbe valido se l’uomo fosse immagine perfetta di Dio. Si è già detto, invece, che è immagine imperfetta. Di fatto, dice St. Agostino che vi è una differenza massima fra la trinità che è in noi e la Trinità divina. Perciò fa notare: “La trinità che è in noi, più che crederla, la vediamo; che invece Dio sia Trinità lo crediamo, ma non lo vediamo”».[18]

d) Differenza tra immagine e somiglianza: «C’è chi pensa con ragione che non siano state usate inutilmente le due parole immagine e somiglianza: poiché se si fosse trattato di una cosa sola sarebbe bastata un’unica espressione».[19]

            «La somiglianza implica una certa unità. Infatti, la somiglianza risulta da una comunanza di qualità, come dice Aristotele [Met. 5,15]» (…) Se guardiamo i trascendentali (uno, vero, buono), sono delle qualità che convengono a tutti gli enti e possono attribuirsi a ciascuno di essi. Qualcuna di queste (come la bontà, ad esempio) «può essere attribuita a una data cosa sia come presupposto che come coronamento – qualora sta a indicare una sua perfezione (…) Esiste infatti una bontà che è anteriore alla nozione di uomo, in quanto l’uomo è un bene particolare (bontà trascendentale), e c’è una bontà che è posteriore all’uomo stesso, in quanto diciamo che un uomo è buono in una maniera speciale, per la perfezione della sua virtù (bontà morale)». Lo stesso vale per la somiglianza in rapporto all’immagine. Continua San Tommaso: «In modo analogo la somiglianza si può considerare come anteriore all’immagine, essendo qualcosa di più generico dell’immagine, come si è visto sopra [a.1], e si può considerare come posteriore, se sta a indicare una certa perfezione dell’immagine. Diciamo, infatti, che l’immagine di qualcosa è somigliante o no all’originale secondo che lo rappresenta perfettamente o imperfettamente».

            Stando a quanto detto, Aquino conclude quanto segue: «Si può distinguere la somiglianza dall’immagine in due maniere:

– [1°] Primo, in quanto ne è un presupposto e ha un’estensione maggiore. E da questo lato la somiglianza è desunta dagli aspetti più generici che presentano le proprietà della natura intellettiva, dalle quali propriamente si desume l’immagine (In questo senso parla St. Agostino quando dice che “lo spirito” – la mente – fu creato a immagine di Dio, mentre che altre facoltà inferiori – compresso il corpo – sono create a somiglianza, o che la somiglianza di Dio nell’anima è fondata sulla sua incorruttibilità)».[20] Questo suppone un significato generico di somiglianza.

– [2°] «Secondo, la somiglianza può essere considerata come perfetta espressione dell’immagine. In questo senso il Damasceno [De fide orth. 2,12] scrive: “Immagine include l’intelligenza e la libertà di arbitrio; la somiglianza invece include la conformità nella virtù, per quanto è possibile all’uomo”. – E ha lo stesso significato il dire che la somiglianza riguarda l’amore della virtù, poiché non c’è virtù senza l’amore della medesima».[21]

            La prima considerazione è molto più generica di quella seconda. Di fatto, quella seconda, più specifica e precisa, è stata preferita nel linguaggio teologico, il che sembra coincidere anche con l’uso che ne fa la Scrittura riguardo al rapporto dell’uomo con Dio.

 

[1] Da sottolineare che il verbo che si traduce per “creare”, nell’originale ebraico, è barā, il che compare ormai tre volte in questo versetto di 1,27. Appare all’inizio in 1,1, per designare la creazione dell’intero universo, e solo una volta in più, sotto un’altra forma, lungo il racconto dei sei giorni del capitolo 1.

[2] Fece a pezzi tutti i suoi altari e le sue sculture (2Re 11,18); scaccerete d’innanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini (Num 33,52); vide degli uomini disegnati sui muri, delle immagini di Caldei dipinte in rosso (Ez 23,14); Fate dunque delle riproduzioni delle vostre emorroidi e delle sculture (1Sam 6,5).

[3] Cfr. Von Wolde Ellen, Racconto dell’inizio: Gen 1-11 ed altri racconti di creazione (Biblioteca bib 24; Brescia 1999), 27-31.

[4] 1,26: בְּצַלְמֵנוּ כִּדְמוּתֵנוּ. (b e tsalmenu k e demûtenu). 5,3: בִּדְמוּתוֹ כְּצַלְמוֹ (b e demûtô k e tsalmô). Le proposizioni b e e k e sono quelle che si invertono. La prima si traduce come “a” o “in”; la seconda significa “come”.

[5] κατ᾽ εἰκόνα è l’espressione usata nella LXX. εἰκόνα traduce immagine in tutte e due i casi, anche se per somiglianza esiste una differenza fra il termine impiegato in 1,26: ὁμοίωσιν e quello di 5,3: ἰδέαν.

[6] San Giovanni Crisostomo, Sermones in Genesim, 2,1: [PG 54, 587D-588A].

[7] San Pietro Crisologo, Sermones, 117 [PL 52, 520B] (cfr. Liturgia delle ore, IV, Uffici delle letture sabato 29° settimana).

[8] Cfr. S. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptor Hominis, 1. 8 [4/3/1979] (AAS 71 [1979] 258.271).

[9] S. Tommaso di Aquino, Somma Theologiae, I, 93,1. Cfr. S. Agustinus, Octoginta trium Quaestiones (q. 74 [PL 40, 85]). «La preposizione latina ‘ad’ si può intendere in due modi: Nel senso che indichi il termine dell’azione (come dicendo: “Facciamo l’uomo in modo tale, che in esso vi sia l’immagine”), o nel senso che indichi la causa esemplare (“Questo libro è fatto su quell’originale”). In questo secondo caso, imago Dei è la stessa essenza divina, chiamata impropriamente immagine» (S Th. I, 93,5, ad4). Il primo senso è così più proprio di quello secondo.

[10] Somma Theologiae, I, 93,2.

[11] Aquino dirà che pure negli angeli si riscontra questa natura intellettiva – più (perfetta) che nell’uomo – e perciò si li può chiamare immagini di Dio in un senso più assoluto, pur se in certo aspetto secondario relativo l’uomo ha un vantaggio (“che l’uomo proviene dall’uomo come Dio da Dio”; “che l’anima umana è in tutto il corpo come Dio in rapporto al mondo”; cfr. I, 93,3).

[12] Cfr. S Th. I, 93,6.

[13] «Il Primogenito di ogni creatura è l’immagine perfetta di Dio, che adegua perfettamente colui di cui è immagine: perciò di Lui si dice che è Immagine, non a immagine. Invece l’uomo per la somiglianza è chiamato immagine, ma per l’imperfezione di questa somiglianza è detto a immagine’. Ora, poiché la somiglianza perfetta con Dio esige identità di natura, l’immagine di Dio viene a trovarsi nel suo Figlio Primogenito come l’immagine del re nel suo figlio legittimo, mentre nell’uomo essa si trova come in una natura estranea, cioè come l’immagine del re si trova in una moneta d’argento, per usare il paragone di S. Agostino [Serm. 9,8]» (S Th. I, 93,1, ad2). Lo Spirito Santo non si dice immagine, perché la somiglianza, insita nel concetto di verbo mentale, non lo è nel concetto di amore (Cfr. S Th. I, 35,2, ad3).

[14] S. Tommas Aquini, Super primam epistolam ad Corinthios lectura, c. 11, lect. 2 [604], per 1Cor 11,7: immagine e gloria di Dio.

[15] Cfr. S Th. I, 93,4.

[16] S Th. I, 93,5.

[17] S Th. I, 93,6. Anche in I, 45,7: «Nelle creature ragionevoli, in cui si trovano volontà e intelligenza, si ha una somiglianza della Trinità, che è immagine, in quanto si riscontra in esse un verbo mentale e un amore che ne deriva».

[18] Cf. S Th. I, 93,5, ad3; St. Agostino, De Trinitate, XV, c. 20 [PL 42, 1088]; c. 23 [PL 42, 1090] e c. 6.

[19] Una sentenza di St. Agostino dal Lib. LXXXIII quaest. 51, citata da S. Tommaso nel Sed Contra di S Th. I, 93,9.

[20] Cfr. S. Agustinus, Octoginta trium Quaestiones (q. 51 [PL 40, 33]); De Quantitate Animae, 2 [PL 32, 1037].

[21] Cfr. S Th. I, 93,9. Abbiamo introdotto commenti nostri al testo e cambiato l’ordine di alcune parole.

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