Risurrezione di Gesù
La Chiesa proclama l’evento tale come ha fatto lungo i suoi duemila anni di storia; la Risurrezione di Gesù, provando la sua divinità e della Chiesa da lui fondata. Giovanni, all’inizio della sua lettera, disse: Colui che noi abbiamo sentito, colui che abbiamo veduto con i nostri occhi, che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato, cioè il Verbo della vita (1Gv 1,1), questo vi annunziamo (Gv 1,2). È questo l’annuncio principale della Fede, quello che si chiama il kerygma o primo annuncio. Quando i primi discepoli predicavano, parlavano innanzitutto di “quel Gesù confermato con miracoli e prodigi che avete ucciso, è adesso Dio l’ha risuscitato”. Ecco perché, senza la Risurrezione, vana è la nostra Fede, afferma San Paolo (cfr. 1Co 15,14). Proprio questo significa Pasqua, ‘passaggio’ della morte alla vita. E noi dobbiamo meditare molto su questo non solo oggi, ma ogni domenica, perché ogni domenica è Pasqua; si commemora la Risurrezione di Gesù. Dire che Cristo è Risorto è dire che quel uomo, del quale si era separata l’anima e il corpo, sono tornati a unirsi, e in modo glorioso. La Divinità di Gesù mai è stata separata, ma sì l’anima umana di Gesù dal suo corpo, e questi si uniscono di nuovo dal proprio potere di Gesù. La morte rimane vinta. Benché ha cercato di insediare il suo calcagno, la morte è rimasta vinta, e vinta nella Croce, perché la vittima della Croce era pure e innocente. Per questo motivo la Croce deve essere l’unico nostro vanto, come dice San Paolo; sembra pazzia, ma è la massima sapienza. Ma Cristo è testa e capo della Chiesa; allora, la vita nuova da Lui acquistata è pure versata sulla Chiesa. L’anima increata della Chiesa è lo Spirito Santo e noi, come membra, siamo chiamati a risorgere con Lui. Ecco perché è la festa della Speranza. “Perché Cristo è risorto; cercate i beni di lassù, dove Cristo è assiso alla destra di Dio”. Agli occhi del mondo è incredibile; parlare della risurrezione di un uomo! Sant’Agostino diceva che è infatti incredibile; ma sono tre gli incredibili: È incredibile che un uomo risusciti dai morti, ma è ancora più incredibile che dodici uomini rudi, terrenali, ossequenti e assai testardi come erano gli Apostoli l’abbiano creduto, ed è ancora più incredibile che siano riusciti a convincerne il mondo su quel incredibile! Ecco perché il primo incredibile è vero. Ma, siamo noi convinti? Come sono le nostre messe? Come è il nostro apprezzo per la Messa, dove si celebra la morte del Calvario e anche la Risurrezione? Qua entrano i dubbi. Ecco perché San Paolo ci esorta a “cercare le cose di lassù”. Il Signore ci è avvertito sugli scandali, nei ministri e nei laici, e ha detto che è inevitabile che avvengano, dicendo comunque: “Guai a quello per causa di chi vengono!” Ma Lui ci chiama a non uscire dalla strada. G. K. Chesterton diceva: La Chiesa vive della Fede, ma la Fede non può morire, come la Chiesa non può morire perché gode della promessa di Cristo pur se non conosciamo il numero. Ma c’è un pericolo per la Fede: Non viene uccisa ma può morire di vecchia, di anziana. Cosa succede quando diventiamo un po’anziani? Iniziano a spuntare le rughe, le macchie, i cappelli bianchi, e allora inizia la preoccupazione per occultare tutto quanto. Questo può succedere con la Fede: Può trasformarsi in solo esteriore, in solo apparenza. Quello è il fariseismo, curando solo l’esterno. Ma la Chiesa ha un capo che è uscito fuori dal sepolcro e dalla morte, ancora giovane. Ecco perché la Fede, come la Chiesa, risorge e genera di nuovo dei cuori giovani, giovane nel cuore, senza importare gli anni. Ecco perché risorge di nuovo, quando più morta sì la crede. La Chiesa rinasce. È il mistero della Risurrezione del Signore, nei cuori che credono. Perciò è la festa della Speranza, la quale siamo chiamati a non perdere, al di là degli scandali e tanti guai. La speranza fondata su Colui che non ci può ingannare, perché è la speranza infusa su di Lui. Quando c’è dolore e c’è vergogna, non bisogna togliere il cuore di quella speranza. Passiamo allora dalla morte alla vita: Dobbiamo vivere nella luce, e non più nelle tenebre del peccato. Possiamo risorgere con la penitenza e vivere nella Carità di Cristo, con la quale amiamo Dio e il prossimo come Lui ci ha amato. Usciamo da noi stessi e andiamo incontro a Cristo che ci attende alla porta, alla porta del cuore! Nella Messa, Cristo risorto sta nell’Eucaristia, dove lo troviamo veramente. Cari miei, buona Pasqua! ma buona Pasque in questo modo, cercando le cose di lassù. Bisogna alzare il nostro sguardo. Che la Madonna, a chi oggi accompagniamo nel suo profondo gaudio, ci ottenga quella speranza ferma e che non si può spezzare. Così sia.
Solo la Chiesa cattolica può salvare la nostra civiltà
Mai come in queste ore, con la cattedrale di Notre-Dame rimasta a lungo avvolta dalle fiamme, la Francia e l’Europa stessa sono portate ad interrogarsi sul loro futuro. Un interrogativo per esplorare il quale può tornare senz’altro utile un recente e profondo dialogo – pubblicato sul sito cattolico First things – fra lo scrittore francese più celebre di questi anni, Michel Houellebecq, e Geoffroy Lejeune, il direttore della rivista Valeur actuelles. Uno scambio di battute più che mai utile dal momento che, appunto, si concentra proprio sul futuro della Chiesa, la quale deve anzitutto fare i conti con le proprie criticità e le proprie ferite.
Questo, almeno, il punto di vista di Lejeune, secondo il quale una riflessione dovrebbe essere avviata in particolare a partire dalla liturgia contemporanea. «Devo ammettere», ha affermato il direttore di Valeur actuelles, «che in certe assemblee si respira un clima preoccupante, perché alcuni membri sembrano posseduti. E non mi sono mai sentito più lontano da Dio che in queste occasioni». Lejeune è altresì convinto che, «avvicinandosi ai costumi comuni, nel parlare la lingua del suo tempo, la Chiesa credeva di poter mantenere il legame con i fedeli che erano stati messi fuori gioco dalle rivoluzioni liberali e sessuali», ma qualcosa, evidentemente, è andato storto.
Interessante, venendo a Michel Houellebecq, è invece il passaggio in egli si chiede quali siano «esattamente i secoli di splendore della Chiesa», finendo per rispondere è impossibile non riconoscere la bellezza delle cattedrali, anche se è solo in «un chiostro romanico» che riesce a sentirsi «in pace, collegato alla divinità». Parole che spiegano bene quanto l’autore di Sottomissione sia un ateo devoto, e forse qualcosa di più. Sempre Houellebecq, infatti, dialogando con Lejeune sul futuro del cristianesimo sulla cui rinascita non ha però certezze («la Chiesa può riacquistare il suo antico splendore? Non lo so»), alla fine conclude: «Può il ritorno del cattolicesimo al suo antico splendore riparare la nostra civiltà danneggiata? La risposta è semplice, quasi scontata: sì».
Una presa di posizione senz’altro forte, anche se non del tutto sconvolgente se si pensa che, nell’ottobre dello scorso anno, tenendo una conferenza a Bruxelles, tutta dedicata all’Occidente, il celebre scrittore francese si era già pesantemente scagliato contro un mondo che non valorizza il sacro. «Una società senza religione, una società secolarizzata», aveva affermato Houellebecq, «conduce una vita infelice e breve. Questa era la tesi di Auguste Comte ma mi ha sedotto perché ho avuto l’opportunità di scoprire nella mia vita privata che la religione è in grado di cambiare il comportamento di un essere umano, in effetti è l’unica cosa in grado di farlo».
Sempre in quell’occasione, l’autore di Sottomissione aveva evidenziato come i cattolici possano essere il volano della rinascita anche demografica del Vecchio Continente: «Il fatto è che i fedeli cattolici mettono al mondo più bambini degli altri. E trasmettono i loro valori ai bambini. Cioè, il loro numero aumenterà».
Tornando al suo bel dialogo con Lejeune, viene però da chiedersi: come mai tocca ascoltare da un ateo devoto come Houellebecq una considerazione tanto esplicita sull’importanza del cattolicesimo come rimedio alla crisi della nostra società? E perché tanti pastori non riescono, a loro volta, a fare proprio un concetto così chiaro e decisivo? Forse è pure questa, in fondo, una manifestazione del vuoto che attanaglia l’Occidente. Difficile infatti non pensare, davanti alle immagini di Notre-Dame in fiamme, a come l’Europa oggi resti purtroppo povera del fuoco più importante. Quello della fede.