Libertà e schiavitù : La libertà cristiana nel Nuovo Testamento

Gesù lavando i piedi a Simone Pietro nel Cenacolo – Giotto; Capella degli Scrovegni (Padova)

Libertà e schiavitù : La libertà cristiana nel Nuovo Testamento

  1. Introduzione: libertà, servizio e schiavitù

            L’idea di libertà è entrata nella civiltà occidentale – e ha anche avuto notevole influsso in altre – grazie all’apporto determinante, anche se non esclusivo, del cristianesimo.

Tommaso di Aquino riporta un testo molto significativo del Damasceno, proprio quando inizia a trattare, nella seconda parte della sua Somma di Teologia, il ritorno dell’uomo a Dio attraverso i suoi atti: «Come insegna il Damasceno, si dice che l’uomo è stato creato a immagine di Dio, in quanto l’immagine sta a indicare “un essere dotato d’intelligenza, di libero arbitrio, e di dominio sui propri atti”».[1]

L’uomo ha intelligenza e anche a capacità di scelta, il chiamato libero arbitrio, e questa capacità si fondamenta nel fatto di essere creato a immagine di Dio (cfr. Gen 1,27).[2] E’ questa la nozione che viene trasmessa dalla tradizione ebreo- cristiana. Ecco perché la libertà appariva – già nel AT – strettamente legata al rapporto immediato che il credente ha con il suo Dio, in quanto cerca di vivere secondo quell’immagine secondo la quale è stato creato; tale rapporto appunto lo emanciperebbe da ogni dipendenza dei signori terreni. Ciò si vede nella pedagogia divina, osservando particolarmente come Dio ha voluto liberare il suo popolo della schiavitù del Faraone in Egitto, il quale si presentava come un vero anti-dio: Chi è il Signore che io debba ubbidire alla sua voce e lasciare andare Israele? Io non conosco il Signore e non lascerò affatto andare Israele (Es 5,2). Dio aveva inviato Mosè dal Faraone per ordinare che Israele servisse Dio nel deserto. Questo sarà l’ammonimento finale che Dio rivolgerà al Faraone: Lascia andare il mio popolo perché mi serva nel deserto; ecco, fino ad ora tu non hai ubbidito (Es 7,16).

Il riconoscere l’immagine di Dio implica, da parte del uomo, il dover servirlo: «L’uomo è creato – insegna St. Ignazio di Loyola – per lodare, riverire, servire Dio il suo Signore e così salvare la propria anima».[3] Il Faraone non vuole servire Dio perché non riconosce il Signore, non si riconosce a sua immagine. Ma neppure vuole lasciare che altri lo servano. Il servizio di Dio implica anche il servizio degli altri, e la negazione del primo comporta la negazione del secondo, già dall’inizio della storia del peccato: “Sono forse il guardiano di mio fratello?” (Gen 4,9), rispose Caino al Signore che gli chiedeva notizie di Abele, suo fratello; Caino rispose dunque che non lo sapeva, che era suo diritto ignorare il fratello; non era infatti il guardiano di lui.

La stessa cosa è successo con l’idea di libertà, quando questa si è progressivamente staccata dalle matrici cristiane. La libertà passerà a costituire solo e esclusivamente un diritto del soggetto individuale, diritto che soprattutto consente di esonerarsi dal dovere nei confronti di altri. L’appello alla libertà serve in tal senso a giustificare un atteggiamento di distanza nei confronti di Dio e degli altri. Senza questi punti fissi di riferimento, il mondo moderno cerca di assolutizzare l’idea di libertà, riuscendo invece soltanto a svuotarla dal suo vero senso e dalla sua vera natura.

  1. La nozione di libertà nel Antico e Nuovo Testamento

            Nel AT esiste la radice ĥpŝ (haphasha o hophes), con il significato di libertà: Sia il servo sensato amato come la tua anima; non rifiutargli la libertà (Sir 7,21 [23]).[4] Anche in Lv 19,20, dove si sottolinea che “la donna schiava non ha la libertà”.[5] Il senso allora è chiaro: Libertà si oppone allo stato di schiavitù. Lo schiavo non è libero e viceversa.

Gesù Cristo, che è venuto a redimere l’uomo, arricchisce la nozione veterotestamentaria di libertà, nel introdurre la necessità di osservare la sua parola e conoscere la verità: Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8, 31-32). Libertà entra in stretto rapporto con la verità della Rivelazione di Gesù e con la sua conoscenza.

            Il termine di libertà (evleuqeri,a|) è stato introdotto nel lessico cristiano principalmente da Paolo, pur se non esclusivamente. Egli non solo usa il termine (Gal 5,1)[6], ma in diverse occasioni caratterizza la sua predicazione intera – o il suo vangelo – esattamente come ‘vangelo della libertà’.[7] Ben sappiamo che fin da principio il suo messaggio si espose a fraintendimenti, proprio a motivo della sua permanente insistenza sulla libertà.

Dai diversi aspetti che si riportano con l’argomento della libertà nel Nuovo Testamento vorremo segnalare tre, ma svilupperemo soprattutto i primi due:

A – La libertà della Legge, o libertà come emancipazione della legge, secondo principalmente San Paolo;

B – L’espressione “Legge della libertà”, la quale la troviamo nella lettera di San Giacomo apostolo;

C – La giustificazione del cristiano e il suo rapporto con la libertà, il che sarà sviluppato in modo indipendente.

  1. La libertà in rapporto alla circoncisione e le pratiche della Legge mosaica

San Paolo è stato lo strumento scelto dalla Provvidenza per chiarire e lottare insistentemente sulla base dell’affermazione della libertà cristiana riguardo alle pratiche della Legge, a cominciare della circoncisione. Ritornerà sul argomento in diverse momenti, essendo probabilmente il più rilevante quello del capitolo 5 della lettera ai Galati, considerata la “Carta magna della libertà cristiana”.

Seguiamo il commento di San Tommaso di Aquino a certi versetti:

– Gal 5,1: Cristo ci ha liberati perché fossimo liberi; state dunque saldi e non vi lasciate porre di nuovo sotto il giogo della schiavitù.

Secondo San Tommaso, questa è un’ammonizione con due motivi o oggetti compresi: Per il primo induce al bene, per il secondo proibisce il male. Ma in questo caso, il male consiste in tornare alla “schiavitù della Legge”. Così lo suggerisce infatti il contesto, giacché nel capitolo precedente della lettera (cap. 4) l’Apostolo ha paragonato il rapporto del cristiano con la legge mosaica a quello delle due mogli di Abramo: la moglie libera, Sara, che darà alla luce il figlio della promessa, Isacco, pur essendo anziana e sterile, e Agar, la schiava, dalla quale nasce Ismaele (4,31: Perciò, fratelli, noi non siamo figli della schiava, ma della donna libera). Anche San Tommaso stesso, nel commento, usa perfino le parole dello stesso apostolo Pietro allo scopo di paragonare la Legge allo stato di schiavitù: “Perché tentate Dio mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i padri nostri né noi siamo stati in grado di portare?” (At 15,10)

Nel versetto di Galati si dice “di nuovo”, suggerendo che tornare alla Legge è come un ricadere. Tommaso spiega, infatti, che dopo il Vangelo, l’osservare i precetti della legge sarà un peccato grande conducente all’idolatria: «Se si sottomettevano al giogo della circoncisione e delle altre osservanze dei precetti cerimoniali, era come se ricadessero nelle stesse cose nelle quali in precedenza praticavano l’idolatria».[8]

Perché il giogo della Legge è dannoso ed è peccato e conduce all’idolatria, se attualmente praticato? Il motivo è perché toglie l’effetto della Passione del Signore. Il sacrificio di Cristo rimarrebbe inutile se si crede alla efficacia di qualsiasi pratica cerimoniale della Legge. Ecco perché si insiste: Non lasciatevi imporre il giogo della schiavitù… [279]

Rispondendo a una obiezione, cita Agostino che prende in considerazione l’atteggiamento degli stessi Apostoli: «Gli apostoli osservavano veramente i precetti cerimoniali e con l’intenzione di osservarli, perché secondo il parere degli Apostoli ciò era lecito ai giudei di quel tempo, prima della diffusione della grazia (…) Nel tempo dopo la diffusione della grazia è peccato mortale osservare i precetti della Legge; nel tempo intermedio era invece possibile osservarli pure per i Giudei che si convertivano, purché non riponessero in essi la loro speranza [278]».[9]

Qua Aquino presenta due pareri diversi: San Girolamo pensava che, nel caso degli Apostoli, loro osservavano simulatamente i precetti della Legge per non dare scandalo ai Giudei, specialmente la circoncisione, che veniva allora osservata più come una norma legale (di appartenenza al popolo eletto) che come una norma cultuale. Agostino pensa invece che davvero gli osservavano perché era lecito per i Giudei prima della diffusione della Grazia. Sempre si avverte comunque, di non porre la speranza nei precetti cerimoniali, in modo di non stimare vano il sacrificio di Cristo, poiché così facendo si sbaglierebbe sul vero segno dell’Alleanza.[10]

Ripeterà ancora questi concetti in Gal 5,2: Ecco sono io, Paolo, che ve lo dico: se vi lasciate circoncidere, Cristo non vi sarà di utilità alcuna. E di nuovo: (5,3) Attesto di nuovo ad ogni uomo che viene circonciso: egli è obbligato a mettere in pratica tutta la legge.

Tommaso afferma che Paolo lo ripete con enfasi (Sono io, Paolo, che ve lo dico), dichiarandolo solennemente, per far vedere che il “segno” di una religione obbliga in coscienza ai precetti di essa (come il battesimo obbliga ad osservare la religione cristiana). Il segno era la circoncisione, e in qualità di tale, obbligava a compiere tutta la legge (Gc 2,10: Se uno infatti osserva tutta la legge, ma inciampa in un solo punto, diventa colpevole di tutto). E questo si deve a che il segno obbliga in coscienza a compiere ciò significato da esso; operare allora contro coscienza retta è peccato pure mortale (per l’intenzione e non per l’opera). «La ragione è che avere coscienza di qualche cosa da fare non è altro che giudicare di operare contro Dio a meno che si faccia quella cosa. E operare contro Dio è sempre peccato» [282].

Di modo che per il cristiano, osservare la Legge porta a due danni: Il primo è la perdita di Cristo; il secondo è la perdita della grazia di Cristo, essendo il primo causa del secondo; ecco perché afferma: (5,4) Siete stati abbandonati da Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siate decaduti dalla Grazia. Ambedue danni hanno la formalità di schiavitù, perché senza la grazia di Cristo si ricade nel peccato.

In collegamento con quest’argomento, si trova quello dell’epistola ai Romani dove sviluppa il rapporto tra la Legge è il peccato. Sembra infatti, che il danno di osservare la Legge suggerisca che in se stessa sia essa cattiva (Rm 7,7): Che cosa diremo dunque? La legge è peccato? No di certo! Anzi, io non avrei conosciuto il peccato se non per mezzo della legge…

San Tommaso chiarirà insegnando che «non si dice che la legge ha fornito l’occasione di peccare, ma che il peccato stesso ha tratto occasione della legge. Ci sono due tipi di occasioni di scandali: Quando uno compie un’opera riprovevole per la quale il prossimo viene scandalizzato (vbg.: frequentare locali disonesti); ma invece se uno compie un’opera retta, come l’elemosina, persino se qualcuno viene scandalizzato, lui non pecca nel farla e neppure scandalizza. Così, la legge ha compiuto una cosa retta per quanto ha proibito il peccato, ma l’uomo ha tratto occasione della Legge (…) Le passione dei peccati che appartengono alla concupiscenza del peccato non sono causate dalla legge, come se questa le provocasse, ma dal peccato che le provoca, traendo occasione dalla legge».[11]

  1. La legge della libertà

            La lettera di Giacomo Apostolo menziona per ben due volte l’espressione: Legge della libertà.

– Gc 1,25: Colui invece che considera attentamente la legge perfetta della libertà e vi persevera, divenendo così non un ascoltatore distratto, ma un esecutore concreto, costui sarà beato per il suo agire (l’espressione è: eivj no,mon te,leion to.n th/j evleuqeri,aj)

– Gc 2,12: Parlate e agite come persone che saranno giudicate in base alla legge della libertà. (Espressione: dia. no,mou evleuqeri,aj me,llontej kri,nesqai).

Con l’espressione “legge perfetta della libertà” l’autore intende il Vangelo. Il contesto è chiaro al riguardo. En 1,21 si afferma, ad esempio: La parola seminata in voi, che ha la forza di salvare le anime vostre, e poco dopo si afferma che: Chi è ascoltatore della parola e non esecutore, assomiglia a un uomo che considera le fattezze del suo volto in uno specchio (1,23). Quest’ultima espressione fa pensare alla parabola del seminatore, dove Gesù avverte circa quelli che ricevono la parola ma non la custodiscono adeguatamente (Mt 13, 1-23), o a quello che “costruisce la sua casa sulla sabbia” (Mt 7,26).[12] In alcuni scritti ebraici del tempo vicino a Cristo (chiamata ‘letteratura inter testamentaria’) si parlava già da “legge che rende l’uomo libero”, ma il riferimento era soltanto alla Legge scritta e ai precetti; non tanto in quanto Parola di Dio seminata nell’uomo.[13]

            Il contesto della lettera di Giacomo vuole che si pensi alla Legge dell’AT nell’adempimento datole da Cristo (Mt 5,17: Sono venuto non per abolire ma per portare a compimento). Di modo che si identifica con la “parola di Verità” di 1,18, con la “parola piantata” di 1,21, con la “parola” di 1,23.[14] Il Vangelo è una vera “legge di libertà”, attraverso la Parola trasmessa, perché ci rende capaci di compiere quanto Dio realmente vuole da noi (cfr. Gv 8, 31-32).[15] Il nocciolo del pensiero sembra coincidere con quello di San Paolo: Il vangelo di Gesù non è che uno sviluppo naturale della Legge del AT, come un rapporto tra bocciolo e fioritura, restando sempre in salvo la novità del Vangelo. Bisognerà vivere di accordo al Vangelo; questo ci mette in rapporto con quanto segue.

  1. Libertà, rifiuto del peccato e schiavitù della Carità

– Gal 5,13: Fratelli, siete stati chiamati alla libertà; soltanto non dovete poi servirvi della libertà come un pretesto per la carne, ma per mezzo della carità siate gli uni schiavi degli altri.

La nuova condizione acquisita della libertà non deve essere un pretesto né un’occasione per ricadere nella previa condizione di schiavitù, secondo si esprime l’Apostolo Paolo pure in altri passaggi: Non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!» (Rm 8,15).

Il Vangelo e la grazia ci hanno conferito uno spirito di adozione, di veri figli. Rifiutarlo con il peccato sarebbe decadere verso il peggio, e la libertà dello spirito verrebbe travolta dalla schiavitù della carne. Ecco perché – afferma San Tommaso – l’Apostolo esorta ai Galati a non abusare della loro libertà, credendo di poter peccare impunemente.[16]

Il modo di stare saldi è mediante la Carità, e per questa ragione l’afferma esplicitamente. La Carità procede dallo Spirito Santo, e l’effetto concreto sarà l’essere soggetti e servire gli uni gli altri. Di fatto, si dirà più avanti (6,2): Portate il peso gli uni degli altri …, e anche: Gareggiate nello stimarvi a vicenda (Rm 12,10). La Carità esige che ci serviamo vicendevolmente, e tuttavia essa resta libera, perché causa di se stessa (mentre che lo schiavo è quello sempre mosso da un altro). Di modo che si dà questo stretto legame fra libertà e schiavitù della Carità.[17]

Molti di questi concetti vengono pure espresse nel commento alla lettera ai Romani con un’altra formulazione, la lotta tra la chiamata legge del peccato e la legge di Dio.

Rm 7, 21-23: Trovo infatti questa legge: che quando voglio compiere il bene, è il male che incombe su di me. 22Mi compiaccio della legge di Dio secondo l’uomo interiore, 23ma vedo una legge diversa nelle mie membra che osteggia la legge della mia mente e mi rende schiavo alla legge del peccato che sta nelle mie membra.

L’uomo secondo ragione si compiace nella Legge di Dio; perciò la Legge di Dio concorda con la sua ragione (…) Ad ogni modo, si sperimenta nella membra un’altra legge, che San Tommaso qualifica come ‘stimolo del peccato’, stimolo che può essere chiamato legge per due ragioni:

  1. a) A causa della somiglianza degli effetti: Perché come la legge induce a compiere il bene, così lo stimolo (fomite) induce al peccato.
  2. b) Mediante un confronto con la causa: Perché il fomite o impulso al peccato ha una doppia causa: La prima è il peccato stesso che prende il dominio del peccatore e gli imponi la propria legge che è l’impulso a peccare, come un padrone detta legge allo schiavo;

La seconda causa è Dio stesso, che suscita nel peccatore una pena per il suo peccato, e secondo la tale pena le forze inferiori non obbediscono alla ragione. In base a questa considerazione, la stessa disobbedienza delle forze inferiori, che detta l’impulso a peccare, viene chiamata ‘legge’ in quanto viene introdotta dalla giustizia divina, come la sentenza di un giudice che impone la legge (1Sam 30,25: Da quel giorno in poi impose questa decisione come legge e norma a Israele fino ad oggi).[18]

  1. Il rapporto con la giustificazione

            San Paolo tratta abbondantemente della giustificazione per la Fede e non per le opere della Legge. Il rapporto con la libertà sarà analizzato a parte. Vediamo solo qualche accenno.

E’ questo in grande misura l’argomento del capitolo 3 della lettera ai Romani (3, 9-11; 20-25), e anche della lettera ai Galati 3, 8-26, soprattutto in rapporto alla figliolanza di Abramo.  Scegliamo qualche testo che parla appunto della prigionia del dominio della Legge:

– Gal 3, 23-24: 23Prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi come prigionieri sotto il dominio della legge, in attesa della fede che sarebbe stata rivelata. 24Cosicché la legge è divenuta per noi come un pedagogo che ci ha condotti a Cristo, perché fossimo giustificati dalla fede. 

Aquino afferma che la legge, infatti, ci custodiva sotto il suo dominio, in quanto ci faceva evitare l’idolatria e molti altri mali; eravamo custoditi, comunque, non come persone libere ma quasi come schiavi sotto il timore, e questo “sotto la legge”; cioè, sotto il peso e il dominio della legge. Ma eravamo custoditi “rinchiusi”, cioè eravamo conservati perché non ci allontanassimo della vita ma ci preparassimo ‘ad essa’, cioè alla buona fede che doveva essere rivelata (cfr. Is 56,1).[19] E doveva essere rivelata, perché dato che la fede supera ogni intelligenza umana, essa non si può ottenere con il proprio pensiero, ma dalla rivelazione e dal dono di Dio.

Afferma perciò che la Legge fu come un pedagogo, che viene da paedos (fanciullo) e gogè (guida). Infatti, i giudei, come fanciulli deboli, venivano allontanati dal male con il timore della pena, ed erano spronati al bene dall’amore e dalla promessa di cose temporali. Per il Giudei la promessa consisteva nella benedizione della eredità della futura discendenza, ma non era ancora giunto il tempo per conseguire quell’eredità (perciò ancora rinchiusi). Era necessario che fossero conservati fino al tempo della futura discendenza e fossero tenuti lontani dalle cose illecite e questo fu fatto mediante la legge. Essendo comunque pedagogo, essa tuttavia non conduceva all’eredità perfetta (Eb 7,19: La legge infatti non condusse nulla a perfezione).[20]

  1. Conclusione

Da quello che abbiamo esposto, sembra esista una dialettica fra legge e libertà negli autori del Nuovo Testamento, in quanto la prima tende a renderci schiavi, la seconda invece ci libera. Ciononostante, San Paolo è anche prodigo in espressioni nelle quali sancisce la bontà della Legge, sia quella mosaica come quella di Cristo. La soluzione passa per sapere in quale modo e misura la legge antica viene assimilata e incorporata a quella nuova (Mt 5,17: Non crediate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti; non sono venuto ad abrogare, ma a portarla a compimento).

Ogni Legge è un contratto bilaterale che esige l’intervento di un mediatore o garante. Nel caso della legge antica, il mediatore, Mosè, essendo soltanto uomo, non poteva rendere nulla a perfezione, solo indicare da parte di Dio quello a fare e prescrivere le pene. Nel caso della Nuova Legge, il mediatore è Gesù, “autore di salvezza eterna” (Eb 5,9).

La Legge Nuova non si distingue dall’antica per la finalità intrinseca, giacché entrambe guardano lo stesso fine, portare gli uomini a Dio. La differenza radica nella perfezione, perché l’antica era imperfetta e preparatoria di quella nuova. Esiste anche una grande differenza nella sua caratteristica principale: Insegna San Tommaso, infatti, che «la Legge nuova è principalmente infusa (interiore) (…) è la stessa grazia dello Spirito Santo, concessa a coloro che credono in Cristo» (S. Th., I-II, 106,1). Ecco perché permette che il soggetto faccia le opere di Carità tramiti i meriti dello stesso Mediatore e garante, Gesù Cristo, che garantisce le opere buone con il suo sacrificio.

Concludiamo citando il Catechismo della Chiesa Cattolica, su questo punto: «La Legge nuova è chiamata legge d’amore, perché fa agire in virtù dell’amore che lo Spirito Santo infonde, più che sotto la spinta del timore; legge di grazia, perché, per mezzo della fede e dei sacramenti, conferisce la forza della grazia per agire; legge di libertà (Gc 1,25; 2,12), perché ci libera dalle osservanze rituali e giuridiche della Legge antica, ci porta ad agire spontaneamente sotto l’impulso della Carità, ed infine ci fa passare dalla condizione di servo «che non sa quello che fa il suo padrone» a quella di amico di Cristo «perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15), o ancora alla condizione di figlio erede (cfr. Gal 4, 1-7. 21-31: Rm 8, 15-17)».[21]

  1. P. Carlos D. Pereira, IVE

 

[1] Tommaso di Aquino, Summa Theologiae, I-IIae, Proemium. La cita del Damasceno: De fide orthodoxa, lib. II, c. 12; PG 94, col 920.

[2] Gen 1,27: Dio creò gli uomini secondo la sua immagine; a immagine di Dio li creò; maschio e femmina li creò.

[3] Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali [23].

[4] Le versioni ebraiche del Siracide presentano la radice חפש en 7,21.

[5] Se un uomo giace con una donna schiava, promessa ad un uomo, prima che sia riscattata e che le sia data la libertà (huphash), darà un risarcimento, ma non moriranno perché la donna non è libera (Lev 19,20).

[6] Gal 5,1: Per la libertà Cristo ci liberò: state dunque saldi e non lasciatevi sottomettere di nuovo al giogo della schiavitù (Th/| evleuqeri,a| h`ma/j Cristo.j hvleuqe,rwsen\ sth,kete ou=n kai. mh. pa,lin zugw/| doulei,aj evne,cesqe).

[7] Cfr. 2 Tim 2, 8.9: Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, della stirpe di Davide, secondo il mio vangelo (…) la parola di Dio non è incatenata. O l’espressione ‘libertà in Cristo’: cfr. Gal 2,4: La nostra libertà che abbiamo in Gesù Cristo.

[8] Tommaso di Aquino, Commento alla lettera ai Galati, c. V, lez. I [278 ediz. Marietti].

[9] Aquino distingue tre tempi nel periodo degli Apostoli: Il tempo che precede la Passione (con Cristo), il tempo prima della diffusione della grazia o tempo intermedio, il tempo dopo la diffusione della grazia.

[10] La circoncisione era infatti un segno dell’alleanza fatta con Abramo (cfr. Gen 17,11).

[11] Cfr. Tommaso di Aquino, Commento alla lettera ai Romani, c. VII, lez. II [543 ediz. Marietti].

[12] Mt 7,26: Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica sarà paragonato a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.

[13] Secondo J. Michl, Le lettere cattoliche, ed. Morcelliana, Brescia 1968, 49 (Epist. Aristea, 31; Sent. Patrum 6,2).

[14] Gc 1,18: Egli ha voluto generarci secondo la sua volontà mediante la parola di verità; Gc 1,21: Ricevete con dolcezza la parola che è stata piantata in voi; Gc 1, 23-24: Se uno è ascoltatore della parola e non esecutore, è simile a un uomo che guarda la sua faccia naturale in uno specchio; e quando si è guardato se ne va, e subito dimentica com’era.

[15] Gv 8, 31-32: Se rimanete nella mia parola, siete veramente miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi.

[16] Cfr. Commento alla lettera ai Galati, c. V, lez. III [300].

[17] La libertà cristiana comporta dunque un servizio; anch’essa è una schiavitù, la felice schiavitù della giustizia (Rm 6,18) che è la libertà suprema e sottomissione a Cristo, fonte di ogni libertà. “Servire Dio è regnare”, dice il Vescovo ai suddiaconi al momento di ordinarli (Pontificale Romano, parte I); cfr. San Girolamo, A Galati (6,2); PL XXVI, 381 (San Paolo: Ep. Galati e Tessalon; com. di F. Amot, [Verbum Salutis; Studium Roma, 1964] 207).

[18] Cfr. Tom. Aquino, Commento ai Romani, c. VII, lez. IV [585-587].

[19] «Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché la mia salvezza è prossima a venire, e la mia giustizia è sul punto di rivelarsi».

[20] Cfr. Commento alla lettera ai Galati, c. III, lez. VIII [178-179].

[21] Cat. Chiesa Cattolica [1972]; cfr. Gal 4, 6-7: Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre». Così tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio; Rm 8,17: Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.

 

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