Ci sono dei nomi completamente singolari per designare luoghi, paesi o perfino porzioni di terra. Fra questi ne troviamo uno speciale, quello di Terra Santa. In questo modo designiamo non una costruzione edilizia, un tempio o monumento qualsiasi, bensì un’estensione, una geografia, una terra vera e propria, un insieme di luoghi che sono stati dimora di tantissimi popoli e nazioni nel corso della storia; essa è chiamata santa perché è stata “visitata” e benedetta in modo particolare da Dio. Questo lo credono senza dubbio tutti i fedeli delle tre grandi religioni monoteiste.
Il papa Paolo VI, nella sua storica visita in Terra Santa, ne parlava in questi termini: “Questa terra unica al mondo per la grandezza degli avvenimenti di cui è stata teatro”[1]. Questi “avvenimenti” lì svolti fanno chiaro riferimento alla tradizione giudeo-cristiana, dalla quale deriva in gran parte la cultura più influente d’oggi. Fanno pure un certo riferimento alla tradizione islamica, in quanto essa ha preso parecchi elementi da quella giudeo-cristiana. Questa è la terra, infatti, alla quale Dio chiamò Abramo perché venisse ad abitarvi, promettendola alla sua discendenza per sempre (cfr. Gen 12,7 e 13,15). Questo fatto dà precisamente origine alla tradizione ebraica ed al suo rapporto con la terra di Palestina. Seguiranno fatti diversi, i quali costituiranno parte dell’essenza del popolo d’Israele, come la vita d’Isacco, Giacobbe, la conquista della terra da parte di Giosuè, la storia dei re e dei profeti. Questa terra ha anche una grande importanza per i cristiani e la loro tradizione, non soltanto a causa dalla necessaria connessione storica con i patriarchi ed i profeti dall’Antico Testamento. I cristiani sono anch’essi “Figli d’Abramo mediante la Fede” (cfr. Rm 4,16); inoltre è stata questa terra la patria terrena di Gesù e teatro universale del Vangelo e della redenzione del mondo.
Per questi motivi Paolo VI ha potuto affermare anche: “Terra dove vissero un tempo i nostri padri nella Fede; terra dove risuonò la voce dei profeti, che parlarono nel nome di Dio, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; terra, infine e soprattutto, che la presenza di Cristo ha reso ormai benedetta e sacra per i cristiani e, si può dire, per l’intero genere umano” [2].
1. Si può parlare di “luoghi santi”?
Esistono luoghi sulla terra che sono associati in modo particolare alla presenza divina. Ciò è citato nella Sacra Scrittura: “Perché invidiate, o monti dalle alte cime, il monte che Dio ha scelto per sua dimora? Il Signore lo abiterà per sempre” [3]. I luoghi che godono di una speciale presenza divina (come quelli menzionati, chiamati “dimora” di Dio) sono considerati “santi” e “sacri”. Dio stesso ne dà testimonianza nel parlare a Mosè: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!” [4].
I cristiani sono tali dal momento che accettano la Filiazione Divina di Gesù Cristo, ossia che è Figlio di Dio per natura o Verbo Incarnato, vero Dio dunque. Giacché esistono luoghi i quali, a causa di una particolare presenza storica della divinità, sono chiamati santi, allora per i cristiani i posti nei quali la presenza fisica e personale del Verbo Incarnato si realizzò storicamente, devono senza dubbio essere chiamati così, “santi”.
La presenza storica del Verbo Incarnato avvenne in modo umano, vale a dire un “uomo” fu concepito in un luogo determinato, dove nacque, crebbe e fu istruito, in un altro posto lavorò e predicò, ed in un altro finalmente morì. Ogni posto dove quella presenza si è sviluppata ha le stesse caratteristiche di quelli ove ricordiamo il passaggio di un uomo qualsiasi. C’è tutta una geografia che lo vide camminare, andare da un luogo all’altro. Infine, siccome parliamo di Cristo che è Dio, ci ha lasciato un’eredità del tutto particolare, che nessun altro poteva lasciarci, associata anche questa ad un luogo santo. In prova della sua divinità e dottrina, “è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture” (cfr. 1 Cor 15,4).
La presenza storica di Gesù è allora quella che ha convertito la geografia palestinese in “santa”, come nessun’altra può esserlo, ed ha pure santificato i luoghi in cui Egli è vissuto. Esiste un’altra considerazione, ed è questa: dato che per i cristiani, Gesù è una realtà storica ed allo stesso tempo “vivente” – grazie al mistero della Risurrezione e glorificazione nel Cielo – va oltre la storia stessa, cioè è eterna. Quelle realtà perciò, che hanno avuto rapporto storico con Gesù, diventano eterne anche loro. La santità di questa terra non è perciò soltanto storica, bensì attuale, permanente, ed è pure strumento di santificazione di coloro che prendono contatto con essa, se questi così vogliono.
Perciò i cristiani di tutto il mondo “anelano venire almeno una volta nella vita”, come dichiarava Paolo VI. Vengono a prendere contatto con la “presenza perenne, attuale e fisica” di Gesù, di Maria, degli Apostoli e della Chiesa. Vengono a trovare una presenza “viva” di Dio, come non la si può trovare altrove. Davanti a quella presenza è possibile pregare, pellegrinare, supplicare, meditare, realizzare atti di pietà diversi, adorare, venerare, raccomandare intenzioni particolari. Così lo fece sua Santità Paolo VI in 1964, secondo le sue stesse parole: “Noi umilissimamente e brevissimamente vi ritorneremo in segno di preghiera, di penitenza e di rinnovazione per offrire a Cristo la sua Chiesa, per richiamare ad essa unica e santa, i fratelli separati, per implorare la divina misericordia in favore della pace fra gli uomini…, per supplicare Cristo Signore per la salvezza di tutta l’umanità” [5].
2. L’autenticità storica dei luoghi santi
Cercheremo di analizzare una questione che è certamente attuale, ed è quella dell’autenticità dei luoghi santi. Effettivamente, nella misura in cui aumenta l’interesse archeologico e religioso intorno ai luoghi santi (fenomeno che negli ultimi decenni è cominciato ad accadere proprio in rapporto ai luoghi biblici), incomincia a porsi la domanda sulla loro autenticità. Sono autentici i luoghi santi venerati da ebrei, musulmani e cristiani? E’ specialmente in rapporto a questi ultimi è che la domanda sembra essere messa in rilievo.
La venerazione di un luogo sacro si trova in stretto rapporto con l’evento storico che si presuppone lì accaduto. Nel caso contrario non occorre venerare quel luogo differentemente da un altro. Ciò significa che il ricordo di qualsiasi evento non è indifferente o indipendente dal luogo in questione.
E’ comune però, sentire parlare in certi circoli d’indifferenza riguardo all’importanza dell’autenticità storica di un luogo santo, soprattutto se questo si trova in rapporto con la devozione religiosa attuale. Ciò accade spesso oggi fra molti degli studiosi che eseguono scavi in Terra Santa. Ci spieghiamo meglio; s’afferma per esempio che: “Non importa dove sia accaduto il fatto preciso che dà origine al ricordo e alla sua venerazione (in particolare quella religiosa), bensì interessa soltanto il ricordo stesso e la venerazione”. La persona che affermava questo aveva la pretensione di giustificare la sua opinione riguardo alla “Betlemme” dove Gesù sarebbe nato. Questa non sarebbe appunto la riconosciuta “Betlemme di Giudea”, ma un’altra in Galilea. Non diede nessun argomento per provarlo. Anzi, da quanto sappiamo, non ne esiste alcuno.
Crediamo che questo tipo d’indifferenza apparente nasca piuttosto dalla necessità di negare “a priori” l’autenticità di un luogo santo, senza prendere in considerazione argomenti sufficienti in favore o in contro. Per la persona alla quale facevamo referenza, l’evidenza del culto cristiano da lunghissimi secoli a Betlemme di Giudea, non costituiva assolutamente prova, come neanche l’assenza di ogni traccia di culto religioso a Betlemme di Galilea. L’esistenza di tracce di culto viene eppure normalmente accettata come argomento di grande importanza per casi simili. Ci sembra perciò che questa posizione abbia uno sfondo nettamente ideologico, il quale nelle maggioranze delle volte nasce da un pregiudizio antireligioso.
In realtà il ricordo e la venerazione di un fatto storico in un luogo, ha senso soltanto nella misura in cui quest’evento è storicamente autentico, come abbiamo già accennato. Inoltre, non si mette in pratica un ragionamento che dovrebbe essere assolutamente previo a qualsiasi giudizio, ed è questo: “Se un luogo santo è diventato tale perché lì è cominciata a generarsi una venerazione religiosa che si è mantenuta lungo i secoli, e che non si è manifestata mai in qualsiasi altro posto riguardo allo stesso evento, allora dal punto di vista della probabilità è più sicuro che il cosiddetto luogo sia autentico”. Ci deve essere “qualcosa” (e qualcosa di vero) che faccia nascere la devozione là e non in qualsiasi altro luogo.
La venerazione di un luogo santo, si basa inoltre di solito in una determinata tradizione storica, ed è proprio questa a servire di ponte o nesso tra l’evento che si considera storico e il tempo presente. E non si tratta solo di tradizioni orali ma in tanti casi pure di testimonianze scritte. Nessuno esige, per provare l’esistenza di personaggi o fatti della storia profana, più che il solo testimonio dei documenti scritti o di tradizioni orali. Anche se alcune di queste tradizioni dovrebbero senza dubbio essere sottomesse ad un rigoroso esame critico, mai devono essere escluse nel loro insieme ed a priori. Lo stesso principio deve essere applicato alle tradizioni sui luoghi santi. Per sfortuna questo principio non viene sempre rispettato.
Esiste, infatti, una corrente che considera la sola esistenza di una tradizione storica in favore dell’autenticità di un luogo o evento sacro, come una prova contro, ossia come una garanzia di mancanza d’autenticità. Sappiamo che anche se esistono tradizioni più attendibili di altre – ed eventualmente qualcuna non attendibile, giacché se ne conosce con certezza l’origine posteriore – non le si dovrebbero rifiutare per il solo fatto che sono tradizioni. Eppure non è raro sentire ad esempio, che “riguardo a certi luoghi o ricordi storici di Terra Santa che contano con una forte tradizione a favore d’epoca bizantina o crociata, sembra più sicuro e meglio, il mettere la loro autenticità in dubbio“. E questo si fa purtroppo in blocco, senza esaminare sufficientemente il caso in particolare. Esistono studiosi totalmente scettici in rapporto a qualsiasi vestigio o tradizione d’origine bizantina o crociata, scetticismo storico che curiosamente non sentono per nessun fatto o personaggio della storia profana. La nostra impressione è che obbediscano ad un pregiudizio elaborato ovviamente in anticipo.
Noi crediamo sinceramente che questa posizione sia ancora più ideologica della prima, e certamente ancora più ingenua. E’ proprio la tradizione storica, e la forza particolare della sua evidenza in certi periodi della storia, quella che permette di conoscere oggi con abbondante grado di certezza, l’autenticità di un luogo santo. Mettere questo in dubbio “perché esiste una tradizione”, è chiaramente un controsenso. Ripetiamo che sempre sarà valido esaminarla con gli appositi elementi critici, e trovare forse qualche volta un minore grado di autenticità. In ogni caso non si può generalizzare, e meno ancora in maniera superficiale ed acritica, giacché in quello che riguarda i luoghi santi le tradizioni sono in maggioranze certamente attendibili. Sono proprio queste tradizioni quelle che hanno guidato studiosi ed archeologi ad interrogarsi e trovare evidenze d’ordine fisico in favore della loro autenticità.
La tradizione storica è invece un “ponte”necessario, come abbiamo accennato. Essa permette di superare l’agnosticismo storico al quale si dovrebbe per forza arrivare se non ci fosse, giacché i singoli dati archeologici sono di solito insufficienti.
Ciononostante è necessario un altro chiarimento ed è questo: crediamo che nel caso concreto di Terra Santa e paraggi, si possano distinguere tre tipi di luoghi in rapporto alla tradizione.
– Quelli che si trovano fortemente appoggiati sulla tradizione storica, sostenuta in molti casi da documenti scritti, e per i quali si sa con certezza che la devozione obbedisce alla tradizione lì sorta. Esempio di questo tipo sono Betlemme, il Santo Sepolcro di Gerusalemme, e Nazaret.
– Altri luoghi, per i quali il sostegno d’una tradizione certamente esiste, non trovandosi però dei documenti scritti che l’avallino, oppure trovandosi quella tradizione interrotta lungo la storia, oppure divisa tra due o tre localizzazioni possibili. Questo sembra essere il famoso caso di Emmaus, oppure del “campo dei pastori”, vicino a Betlemme.
– Altri, dove per il contrario, la devozione ad un racconto o fatto determinato ha permesso che incominciassero ad essere ricordati, ignorando la tradizione storica, la quale tante volte neppure è esistita. Questo è il caso del Khan del Buon Samaritano, sulla strada di Gerico, che ricorda una “parabola” e non un fatto storico. E’ anche il caso della Grotta del Latte a Betlemme, di tradizione apocrifa.
Riguardo al secondo gruppo, l’archeologia e l’investigazione storica devono determinare, per quanto sia possibile, il luogo esatto o con più probabilità di esserlo. Riguardo all’ultimo gruppo, si tratta di una mera evocazione dove l’ubicazione precisa non è per nulla importante, ma in ogni modo questi casi sono facilmente riconoscibili e differenziabili. Tutto ciò non sminuisce l’autorità delle tradizioni che avallano il primo gruppo. Segnale di metodologia incorretta è confondere, in altre parole, disprezzare le tradizioni che ne sostengono l’autenticità in base ai problemi che possiamo trovare negli altri due casi.
Per il primo tipo di luoghi e parlando specialmente di quelli di tradizione cristiana, l’esistenza di questa nei suoi diversi stadi (bizantina, crociata, giudea cristiana) su uno stesso luogo, permette di riconoscerne l’autenticità. Naturale del punto di vista cristiano è vedere in ciò un chiaro disegno provvidenziale, che ha avuto per scopo rendere più accessibile la conoscenza dei luoghi santi, piuttosto che un ostacolo a tale conoscenza.
Non è nostra intenzione ora entrare in uno studio dettagliato dei luoghi santi cristiani, che trascende assolutamente la nostra capacità. Prendiamo piuttosto un esempio: il santuario di Betlemme, uno dei più famosi.
Dati precisi affermano che l’imperatore romano Adriano, il quale si adoperava per cancellare dalla Palestina ogni vestigio del nuovo culto (il cristianesimo), cercò di far sparire la grotta sotto un bosco dedicato a Adone, in modo che “si piangesse la morte del favorito di Venere, in quel presepio medesimo in cui si erano uditi i primi vagiti del Figlio di Dio fatto bambino per la nostra salvezza” [6]. E San Cirillo di Gerusalemme afferma pure aver visto il luogo coperto di alberi intorno al 348. Orbene, “l’installazione del culto d’Adone in quel posto è perfettamente logica nella mentalità religiosa greca e romana se presupponiamo l’esistenza lì di un culto anteriore riguardante la nascita di un dio”. Consideriamo questo un dato a favore dell’esistenza della tradizione cristiana, esistente prima di questo fatto d’origine pagana[7]. Vediamo così che le testimonianze della tradizione giudeo-cristiana senz’altro esistono.
Scoperte archeologiche vicino alla grotta della Natività, come tombe, cisterne, ecc., provano l’uso e la venerazione del posto. Infine, abbiamo la testimonianza dell’apologista San Giustino, chi poco dopo l’anno 150 (dunque, molto prima dell’epoca bizantina), scrive sulla “tradizione della Grotta di Betlemme”[8].
La tradizione giudea- cristiana è stata ripresa nei tempi bizantini, quando sorse la prima basilica (e nel caso concreto di Betlemme anche quella attuale), e poi in epoca crociata quando si fecero nuove costruzioni e lavori di restauro. In questo modo vediamo come i diversi stadi della tradizione permettono di seguire le orme della venerazione sul posto lungo la storia, e di collegarsi con le origini stesse.
A volte si nega pure l’autenticità di un luogo santo contro tutta una tradizione e perfino contro testi biblici o evangelici, fondandosi sull’interpretazione che si fa di un altro testo biblico, in apparente contraddizione con essi. Non si tenta neppure di far armonizzare questi testi, quando si potrebbe farlo senza inconvenienti gravi, e così facendo risolvere la difficoltà. Ad esempio, J. Murphy O’Connor afferma in una delle sue opere, che “Gli evangelisti non concordano sul luogo dove Maria e Giuseppe vissero prima della nascita di Gesù. Per Matteo è implicito che fosse Betlemme (cfr. Mt 2), mentre Lucca afferma che si trattava di Nazaret (Cf. Lc 2,4-5) ” [9]. Afferma l’autore che è più probabile sia Matteo ad aver ragione, poiché Giuseppe apparteneva ad una famiglia giudaica (cioè, della Giudea, dove è Betlemme). Se la sua patria fosse stata Nazaret, sarebbe stato più naturale ritornare lì, quando Erode il Grande minacciò la famigilia, piuttosto che scappare in Egitto. Una volta morto Erode, Giuseppe pensò di tornare. Non andò a Betlemme giacché temeva Archelao, figlio d’Erode che governava in Giudea, il quale sembrava aver ereditato l’omicida imprevedibilità del padre; andò invece in Galilea (a Nazaret), dove regnava Erode Antipa. A questo però, possiamo fare due osservazioni:
– La prima è che per Matteo non è implicito che gli sposi vivessero a Betlemme, ma piuttosto incomincia il capitolo due del Vangelo (l’unico citato da O’Connor), dicendo: “Gesù nacque a Betlemme di Giudea…” (Mt 2,1). E’ ciò sufficiente per disprezzare la tradizione lucana su Nazaret, tanto ricca, senza neanche presentare argomenti rilevanti di critica biblica? Inoltre, sarebbe perfettamente possibile in questo caso, far concordare i due racconti, se prendessimo in considerazione che Matteo no menziona certi dettagli come lo fa Luca, dettagli che implicano il contatto diretto con un testimone oculare, come la Madonna, che Luca può avere avuto e Matteo no. Il fatto che Giuseppe appartenesse ad una famiglia di Giudea non si contrappone al fatto che abitasse in Galilea, dove c’erano pure dei giudei.
– La seconda è questa: sarebbe da prendere in considerazione il fatto che l’origine nazaretana di Giuseppe dovesse per forza implicare una fuga a Nazaret piuttosto che in Egitto? Conviene ricordare che Erode il Grande, che Giuseppe tanto temeva, regnava su tutta la Palestina, e non soltanto sulla Giudea. Alla sua morte il regno fu diviso tra i suoi figli. Archelao (4 a.C.- 6 d.C.) – anche Lui temuto da Giuseppe – ebbe la Giudea ed Antipa la Galilea. Perciò Giuseppe non tornò a Betlemme (ove potrebbe aver pensato di tornare in un primo momento, giacché vi aveva dei parenti), bensì decise di spostare la propria famiglia a nord, nel suo luogo di origine, che era anche quello di Maria, vale dire a Nazaret. Si potrebbe pensare che sebbene Erode regnasse su tutta la Palestina, soltanto “mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù…” (Mt 2,16). E’ vero, ma lo stesso O’Connor afferma che “i giudei pensano automaticamente all’Egitto come un luogo di rifugio“ 9, secondo la tradizione biblica (cfr. 1Re 11,40; 2Re 25,26; Ger 26,21). L’autore assicura anche che la famiglia era vissuta a Nazaret talmente a lungo, da considerare quel luogo come “la sua patria (di Gesù)” (Mt 13,54; Lc 4,16), avendo pure lì i propri parenti (cfr. Mt 13,55-6). “Lucca – continua l’autore- pensò quindi che Giuseppe e Maria fossero nativi di Nazaret”. E con ragione lo pensò -diciamo noi-, poiché gli argomenti per saperlo con certezza erano tanti.
Crediamo che sia necessario non temere l’investigazione seria riguardo alla questione dell’autenticità. La maggior parte dei luoghi venerati dai cristiani ha delle tradizioni e solide evidenze a favore. Gli argomenti contro sono piuttosto fallaci, incompleti, metodologicamente incorretti. Gli studi sull’autenticità e il modo di conoscerla con certezza, non sono alieni alla pietà e alla devozione cristiana attuale. Al contrario, sono in stretto rapporto con essa e ne sono il naturale sostegno.
Secondo una recente dichiarazione ufficiale, è specialmente valido per i cristiani, che “di fronte al luogo santo occorre porsi non in una logica umana, che ha la pretesa di definire tutto in base a ciò che si vede e si produce, ma in atteggiamento di venerazione, ricco di stupore e di senso del mistero”[10]. L’avere i criteri della Fede uniti a quelli della scienza è l’unica via possibile per i cristiani, affinché siano portatori legittimi e non usurpatori del nome che portano.
3. Il senso generale dei luoghi santi
Crediamo sinceramente, dopo questa riflessione, d’essere in grado di dare un’idea più precisa sul senso generale dei Luoghi Santi. Prima però è necessario spiegare più in dettaglio i molteplici aspetti di quel senso generale, poiché esso si manifesta in maniere diverse. Ricorriamo per questo scopo alla preziosa esposizione del padre Lino Cignelli[11], chi si serve a sua volta di numerosi testimonianze dei padri della Chiesa. Aggiungeremo infine il nostro contributo personale.
1) Innanzitutto è la “patria spirituale” dei figli di Dio:
Paolo VI si esprimeva così: “Questa terra benedetta è divenuta, pertanto in certo modo, il patrimonio spirituale dei cristiani di tutto il mondo, i quali bramano di poterla visitare, in pio pellegrinaggio, almeno una volta durante la vita” [12]. E’ “patria spirituale” perché è la “culla” della nostra più autentica esistenza come cristiani. E’ “culla” della Chiesa, giacché “è proprio lì dove la Chiesa è nata, e dove ha cominciato a dare i suoi primi passi, sostenuta dal suo Divino Fondatore e guidata dal suo primo vicario…” [13]. Ed ancora più recentemente: “Questo è il richiamo della terra di Palestina, patria spirituale di tutti i cristiani, perché patria del Salvatore del mondo e della sua madre”[14].
Già i Santi Padri rilevavano l’importanza singolare di questa terra: San Girolamo la chiamava “Terra Promessa” (Ep 129,4) e “la patria del Signore” e conseguentemente dei credenti” (108,10.31). Sant’Efrem, la patria della nuova umanità, in quanto “la nascita” del Signore della Vergine “genera tutti”, contenendo “i figli di Adamo e Adamo stesso” (CSCO 187, 107-109). Per Esichio è “la Metropoli del mondo”, la Chiesa Madre (ST 264,262.281).
2) Luoghi di grazia, carismatici e santificanti:
La Sacra Scrittura dà pure testimonianza della santità di certi luoghi, poiché Dio versò su di essi qualche grazia particolare e speciale. Leggiamo ad esempio in 2 Cr 7,15: “Ora i miei occhi sono aperti e i miei orecchi attenti alla preghiera fatta in questo luogo”. Ci sono perfino dei luoghi associati ad un carisma particolare. Uno dei casi più conosciuti è quello della piscina di Betesda (o Betzaetà), nel vangelo di Giovanni, nella quale “un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina ed agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto” (cfr. Gv 5,4).
Così sono pure sentiti i Luoghi Santi dal credente che li visita. “La grazia, il carisma proprio dei Luoghi Santi è soprattutto il passaggio storico del Dio-Uomo, passaggio santo e santificante che ha lasciato un segno profondo e incancellabile. I Misteri, i gesti salvifici che il Cristo vi ha compiuto, hanno un valore e una presenzialità perenne; sono qui ancora oggi vivi ed operanti, e da qui si diffondono ovunque nel mondo grazie alla Scrittura e alla Liturgia”[15].Da quanto è detto si spiega pure la prassi, attestata da San Paolino (Ep 49,14), di riportare in patria reliquie dai Luoghi Santi, e l’altra di usare materiali presi dai detti luoghi per la costruzione di edifici sacri, prassi documentata archeologicamente dal P. Bagatti[16].
3) Luoghi della Presenza divina:
Prima ci riferivamo alla presenza dei “misteri di Cristo” nei luoghi santi, ora invece la considerazione sarà sulla stessa presenza divina, e quella di Cristo Signore in particolare. Se l’intera creazione è sacramentale e teofanica, cioè segno e rivelazione di Dio (cfr. Sal 8 e 19; Sap 13,3ss), la Terra Santa lo è a titolo speciale in quanto “sacramento geografico” della presenza di Dio Salvatore[17]. Diceva recentemente Giovanni Paolo II: ““Dio è presente nello stesso modo in ogni angolo della terra”, esistono però dei “sacri luoghi” nei quali l’incontro con la divinità può essere sperimentato di maniera più intensa” [18].
Il passo del Dio- Uomo ha lasciato la sua impronta. Diceva infatti, Paolo VI a proposito di Betlemme: “Il Cristo, tuttora vivo nella sua Chiesa, si manifesta al mondo a partire da questo luogo, da questa culla che segnò il suo apparire sulla terra” [19].
E’ appunto questa Presenza viva che chiama e attira oggi come chiamava ed attirava duemila anni fa. Da sempre si viene in T.S. per nostalgia di Lui, per incontrarlo e partecipare ai suoi Misteri, per attingere alla “sua pienezza” di grazia. Già San Girolamo, rilevava questa Presenza ineffabile dicendo che in T.S. si cammina ovunque “con Cristo al nostro fianco” (cfr. Ep 46,13) [20].
4) Luoghi della Parola divina:
Il Signore, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, ha parlato in questa terra. E continua a parlare da qui perché le sue Parole sono sempre attuali e valide, “non passeranno!” (cfr. Mt 24,35). “Poiché da Sion uscirà la Legge e da Gerusalemme la Parola del Signore” (Is 2,3; Mi 4,2; Cfr. Gv 4,22-26). Effettivamente il Maestro divino ha operato e insegnato qui (Mc 1,14s.; At 1,1ss), e da qui sono partiti gli Apostoli col suo Messaggio di salvezza universale (Lc 24,47; At 1,8; Rom 15,19-Ad Gentes 3).
Siccome la Parola di Dio viene dalla Terra Santa, questa è naturalmente il luogo ideale per leggerla e capirla bene, specialmente dal punto di vista storico- letterale, “fondamento – al dire di San Girolamo- del senso spirituale (cfr. Ep 129,6). Da qui il titolo di “quinto Vangelo” dato alla patria di Gesù. E da qui il bisogno di visitarla con la Bibbia in mano. I singoli santuari sono “memorie” eloquenti, “documenti vivi” come dice San Paolino (cfr. Ep 49,14) [21].
Poiché appunto la Parola di Dio si trova nel suo ambiente naturale, la si può capire qui meglio che altrove: “Qui s’impara il metodo per comprendere chi è il Cristo. Qui si scopre il bisogno di osservare l’ambiente della sua dimora tra noi: i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, le pratiche religiose, tutto ciò di cui Gesù si è servito per rivelarsi al mondo. Qui tutto parla, tutto ha un senso…” [22].
La testimonianza dei Padri è anche molto eloquente al riguardo. Basta citare una bellissima sentenza di San Girolamo: “Come la storia greca viene capita meglio da coloro che hanno visto Atene, e il III libro di Virgilio da coloro che hanno navigato dalla Troade attraverso Leucade e Acrocerauni alla Sicilia e di qui a Ostia; così la Sacra Scrittura sarà più chiaramente e profondamente capita da chi avrà contemplato coi propri occhi la Giudea, ed avrà conosciuto i monumenti delle antiche città, nonché i nomi, rimasti identici o cambiati, delle varie località. Ecco perché noi abbiamo voluto sobbarcarci alla fatica di percorrere, in compagnia dei migliori eruditi ebrei, questo paese che sta sulla bocca di tutte le Chiese di Cristo” [23].
- Conclusione
Tutto ciò che abbiamo detto deve essere per noi più che sufficiente per rilevare l’importanza dei luoghi santi. Era nostra intenzione aiutare alla riflessione tanto quelli che, come noi, hanno la grazia di vivere in Terra Santa, che coloro che potrebbero visitarla come pellegrini. Per i primi, perché imparino ad amarla ogni giorno di più, ed amarla vuol dire prendere parte nell’amore preferenziale con il quale Dio l’ama, e “beati coloro che ti amano” (cfr. Tb 13,15). Per i secondi, affinché vengano a visitarla in vero pellegrinaggio, specialmente con occasione del grande Giubileo della Redenzione.
Carlos D. Pereira, IVE
(scritto nella rivista Incontro, in Terra Santa 2001)
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[1] Cfr. Paolo VI, Discorso a Meggido del 5-1-1964. Vorremmo porre l’accento in modo particolare sull’importanza delle parole di questo Pontificie riguardo alla Terra Santa, giacché fino al momento presente è l’unico Papa che l’ha visitata. E’ il nostro desiderio più caro che presto possa farlo anche sua Santità Giovanni Paolo II.
[2] Cfr. Paolo VI, Esortazione Apostolica: Le necessità della Chiesa in Terra Santa, in Enchiridion Vaticanum, volume 5 – Documenti della Santa Sede (1974 -1976), Bologna 121982; 157 (1974).
[3] Salmo 68 (67), 17.
[4] Esodo 3,5.
[5] Dal Discorso per la chiusura della seconda sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II (4/12/63).
[6] Cfr. Guida di Terra Santa, a cura di C. Baratto ofm., Jerusalem – Milano (1992) 147-8. Adriano fece la sua opera in torno al 134-135 dopo Cristo. Il testimonio di San Girolamo è del 395.
[7] Diez Florentino, Guía de Tierra Santa, Madrid (1990) 164-165. Da qui abbiamo anche presso le anteriori referenze di San Girolamo e San Cirillo. C’è pure quella d’Origene, chi intorno al 248 parla della “grotta del presepio a Betlemme”.
[8] Cfr. San Giustino, Diálogo con Trifone, 78. Il testo è presentato da: P. Cabezón Martín A. ofm., Belén, Gerusalemme (1991) 78.
[9] Cfr. Murphy O’Connor J., La TERRA SANTA, Bologna (1996) 381.
[10] Cfr. Pont. Consiglio della Pastorale per I Migranti e gli Itineranti, Il Santuario. Memoria, presenza e profezia del Dio vivente, I, 6 (in Supplemento L’Osservatore Romano, ed. italiana, n.21 del 285/8/99, p. III).
[11] Cfr. Cignelli L., Il Pellegrinaggio in Terra Santa (nei Padri della Chiesa), in LA TERRA SANTA (Giugno- Luglio 1979), 180-189.
[12] Cfr. Esortazione Apostolica: Le necessità della Chiesa in Terra Santa, 159; in Enchiridion Vaticanum, o.c., 171.
[13] Paolo VI, Cf. Radiomessaggio di Natale (1963).
[14] Cfr. Il Santuario…, 18 (in Supplemento L’Osservatore Romano, ed. italiana, n.21 del 285/8/99, p. VII).
[15] Cfr. Cignelli L., Il Pellegrinaggio…, 182. Da qui abbiamo presso pure le referenze anteriori dei Padri.
[16] Cfr. Bagatti, Il Golgota e la Croce, Gerusalemme (1978) 53.
[17] Cfr. Il Pellegrinaggio…, 184.
[18]Dalla agenzia di informazione per Internet ZENIT, (30/6/99).
[19] Cfr. Paolo VI, Messaggio del Papa al mondo (dalla grotta della Natività), del 6/1/64.
[20] Cfr. Il Pellegrinaggio…, 185.
[21] Cfr. Il Pellegrinaggio, …187.
[22] Cfr. Paolo VI, Discorso a Nazaret (5/1/64).
[23] In Par.praef.; PL 29,423; Cfr. Ep 77,7s.; 84,3; 108,26; 125,12.