SOLENNITA’ dell’INCARNAZIONE DEL VERBO – 25 MARZO
Le nostre Costituzioni (Istituto del Verbo Incarnato) proprio all’introduzione, nei principi generali che ricevono il nome di “il nostro Cammino”, afferma che la nostra spiritualità deve essere segnata dal mistero dell’Incarnazione nei suoi diversi aspetti.
Uno di questi aspetti – forse il più centrale – è l’unione del Verbo (natura divina) con la nostra natura umana, che è un’unione, come studiamo in Cristologia, senza miscela né confusione. Da questa unione del tutto singolare nascono delle caratteristiche totalmente nuove, in particolare, come segnalano anche le nostre Costituzioni: «Abbracciare la pratica delle virtù in apparenza opposte e contrarie, evitando ogni falsa dialettica; è indispensabile rispettare, senza mescolare, le essenze delle virtù; bisogna evitare ogni falsa dualità praticando la verità, la fedeltà, la coerenza e l’autenticità della vita, contro ogni falsità, infedeltà, simulazione e ipocrisia; è necessario ristaurare, integralmente in Cristo, tutte le cose». Così si realizzerà questo “ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra”, di che parla San Paolo (Ef 1,10) [13].
Oggi è molto comune proporre delle dialettiche che sono false. Questo è particolarmente grave e scandaloso nel progressismo, ma non è l’unico ambito dove questo esiste: Il progressismo teologico certamente che fa dialettica di opposizione tra diversi aspetti che sono complementari, come tra dialogo e annuncio, dicendo che non si deve più annunziare oggi il Vangelo ma questo viene sostituito con il dialogo, quando in verità, nel introdurre il termine dialogo, la Chiesa sempre l’ha capito come «partecipazione dello stesso flusso e spirito di Carità che l’anima» (Ecclesiam Suam). Sebbene dialogo non sia uguale a annuncio, non si oppone. Si oppongono anche ecumenismo a verità e Chiesa una, manifestando così una sbagliata comprensione di quello che è l’ecumenismo e di quello che è la Chiesa e il suo mistero (e qua non solo i progressisti sbagliano). Si oppongono i racconti evangelici o biblici a storicità e a verità scientifica. Si oppone progresso teologico contro la verità del Magistero; si crea una falsa dialettica tra aggiornamento e vita consacrata, affermando che oggi – ad esempio – la vita monacale e perfino religiosa non è già un’alternativa suscitata dallo Spirito Santo. Si oppone libertà a ubbidienza e alla stessa vita religiosa, quando lo stesso Gesù ha insegnato che “solo la liberta vi farà liberi” (Gv 8,32).
Abbiamo detto che non solo il progressismo cade in questi sbagli. Vediamo anche come lo fa un certo tradizionalismo formalista, che fa più attenzione alla forma che all’essenza delle cose, e che in fondo, rivela spiriti che non sono penetranti ma superficiali. Sembra che tutto consista nello stare e nel conservarsi pulitissimo, correttamente vestito, fare gesti esagerati, e arrivare al punto di pensare che è più conveniente non comunicarsi se sono costretto a farlo in certa forma (ad esempio in mano). Certamente che esistono ragioni di più peso per farlo in modo che in un altro, ma dal momento che dovuto a certe circostanze si vede costretto a farla in certo modo, e questo si può fare senza peccare, bisogna distinguere quello che è essenziale di quello che non lo è, cercando comunque di avere assai cura dei dettagli, come delle particole ad esempio. In fondo, sia in quello che trascura la liturgia come in quello che pone l’accento solo sulla forma, manca una visione lucida del sacro e della stessa realtà, appunto perché manca, in una e in un’altra visione, una retta intelligenza del mistero del Verbo Incarnato.
Diceva Chesterton: “La teologia (cristiana) ha infatti specialmente insistito su questo: che Cristo non è un essere diverso da Dio e dall’uomo, come un elfo, e nemmeno mezzo umano e mezzo no, come un centauro, ma tutte e due le cose insieme e tutte e due onninamente, vero uomo e vero Dio”.[1]
San Tommaso di Aquino, nel suo commento all’inno della kenosi di San Paolo, afferma che si loda l’umiltà di Cristo in due modi: Prima quanto al mistero dell’incarnazione, con le parole: Ma spogliò se stesso. Secondo, quanto al mistero della Passione, dove dice: umiliò se stesso facendosi obbediente, perché il primo pone l’umiltà; il secondo, esprime il suo modo e la sua forma.[2] All’umiliazione di Cristo seguirà l’esaltazione, che Aquino afferma essere triplice:
a) Per questo Dio l’ha esaltato; ossia, la gloria del Risorto;
b) E gli ha dato nome sopra altro nome: significa la manifestazione della sua divinità;
c) Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi: l’ossequio (culto) della creatura.[3]
Il vero segreto passa per contemplare il Verbo Incarnato, il suo mistero, ma contemplarlo integralmente, senza riduzionismi o parzialità, e senza mascherarlo o sfigurarlo. Conoscerlo come è il significato semitico di conoscere nella Bibbia: un conoscere intimo che applicato a Cristo diventerà sapienziale; conoscere ‘insaporendo’. Saporire espressioni come quella del Credo della domenica: «Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre…» E saper contemplare e amare la sua kenosi: «si incarnò da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo».
Una retta comprensione del mistero del Verbo Incarnato si oppone a tanti errori, di cui possiamo segnalare due:
a) Ci aiuta ad abbandonare un atteggiamento di solo umanesimo, che sarebbe un umanesimo senza trascendenza e che si rivolge contro l’uomo, con i suoi conosciuti risultati: liberalismo e anarchismo totale che non vuole accettare nessuna norma perché non accetta in definitiva Dio come superiore, e che finisce per distruggere perfino la famiglia e la società, disprezzando i valori del Vangelo e i valori naturali, ideologie come il gender, cultura della morte ed altri. Si dà pure in Chiesa, quando tutto viene considerato solo umanamente, senza criterio soprannaturale; allora solo si parla di promozione umana, di saper essere buon cittadino o di solo compromesso con i poveri, e dalle volte più con le parole che con i fatti.
b) L’altro, è un atteggiamento di falso kenotismo (falsa concezione della kenosi), che per riempirsi di quello inferiore si svuota completamente di quello superiore, con uno svuotamento ontologico, come quello di Lutero, che confondeva tutto: Secondo lui (Lutero), Dio in quanto Dio aveva patito ed era morto in croce; non in quanto uomo; perciò un figlio di Dio incarnato in tali condizioni non poteva neanche giustificarci, trasformarci internamente, e allora non accetta che si parli di sacrificio redentore, perché Lui non ci redime interiormente. Bisognerebbe soltanto credere con una cieca fiducia nel disegno divino.
Tanti falsi svuotamenti esistono nel nostro mondo: Si svuota la verità; che cosa sono i diritti dell’uomo e della donna, di cui tanto si parla? Finiscono per essere quello che mi piace; si chiamano bene alle passioni disordinati, tutto viene capovolto. Così succede anche in Chiesa: Bisogna svuotare il sacro, svuotare la vita di sacramenti, il sacerdozio, confondere laici con sacerdoti, uomini con donne, ecc. E questo si realizza pure nel versante contrario, da parte di quelli che si attaccano esageratamente ai gesti e ai segni soltanto per se stessi, e infine non fanno caso alle cose che più ci uniscono a Gesù: le virtù, le promesse, i voti religiosi.
Questo capita qualche volta in Chiesa. Diceva il p. Buela in un’opportunità: «Ignorare questo (che il Verbo di Dio è figlio di donna) è ignorare le cose più elementari, e la cosa peggiore è causare confusione, anche nelle anime consacrate, perché più tardi ho avuto il caso di un seminarista che è venuto a farmi la stessa domanda: [“Dio può avere una madre?”] Quando queste barbarie entrano in un’anima consacrata, quell’anima non rimarrà consacrata a lungo, perché se non sa che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, ed è Uno solo perché le due nature sono unite nell’unica Persona del Verbo, che senso ha la vita religiosa, che senso ha la verginità, che senso ha la povertà, che senso ha l’obbedienza, che senso hanno i sacramenti? Se colui che vediamo sulla croce non ha una natura umana unita ipostaticamente a una persona divina, nessuno ha pagato per i nostri peccati, perché sarebbe un uomo puro, né il battesimo lava i peccati, né la confessione, né l’Eucaristia sarebbero il Corpo e il Sangue del Signore, insieme alla sua anima e alla sua divinità.
Tutti i sacramenti cadono, la Chiesa cade. Ecco perché siamo così, ecco perché ci sono tanti sacerdoti che si sono dedicati a questioni temporali e alcuni di loro sembrano aver smesso di credere nelle verità eterne. Ecco perché dobbiamo sempre approfondire queste verità di fede, perché sono queste verità di fede che sono capaci di muovere i nostri cuori a imitare il Signore. E dobbiamo sapere in modo del tutto particolare di poter rispondere quando qualcuno se ne esce con qualcosa di simile. Perché come diceva Giovanni Paolo I: “Abbiamo fede solo in ciò che siamo capaci di difendere”. Se c’è qualcosa di fede che non siamo in grado di difendere, è perché non abbiamo fede, perché non abbiamo la fede che dovremmo avere».
La visione immanente della vita e sulla chiesa finisce per immischiare e confondere tutto, nella ricerca di un presunto equilibrio. Diceva anche Chesterton sul paganesimo: «Il paganesimo affermava che la virtù è in un equilibrio», ma finiva per squilibrare tutto. E prosegue: «Il Cristianesimo (dice invece) che è in un conflitto, la collisione di due passioni manifestamente opposte: non incompatibili, ben inteso, ma tali che sia difficile tenerle insieme». È veramente difficile ma è certamente possibile con la grazia di Cristo e con la vita che Lui ci ha portato. Questo è stato il grande contributo dell’Incarnazione: Riconciliare delle cose che sarebbero umanamente inconciliabili: “Chi perderà la propria vita la salverà – dice ancora Chesterton – non è una formula di misticismo per i santi e per gli eroi: e un consiglio di quotidiana umiltà per i marinai e gli alpinisti” (ossia, per l’uomo comune, per noi).[4]
Chiediamo la grazia di saper capire e vivere quelle parole di San Paolo: Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno (Flp 1,21).
[1] G. K. Chesterton, Ortodossia (cap. VI: I paradossi del Cristianesimo), Morcelliana Brescia 2005, 127.
[2] S. Tommaso di Aquino, Commento alla Lettera ai Filippesi, cap. II, 7-8 [56].
[3] Cfr. Commento, II, 9-10 [67].
[4] G. K. Chesterton, Ortodossia, 128-9.