Le mie parole non passerano: Va Gesù reinterpretato?

RELATIVISMO O “PAROLE RELATIVE”: VA GESU’ REINTERPRETATO?    

Testo di Mt 24,35; Mc 13,31; Lc 21,33

 Lo scorso 18 febbraio (2017), il blog Rossoporpora (www.rossoporpora.org) di Giuseppe Rusconi, pubblica una intervista al nuovo generale della compagnia di Gesù (Gesuiti), padre Arturo Sosa Abascal, nella quale questo analizza temi diversi.[1] I passaggi più salenti dell’intervista sono stati pubblicati anche da Sandro Magister, nel blog Il settimo cielo. Sarà quest’ultima versione quella che presenteremo con dei riferimenti a certi commenti nostri i quali saranno esposti alla fine.[2]

   Come di abitudine, dichiariamo il nostro rispetto più profondo per l’intervistato e per quello che lui rappresenta, credendo nonostante che, data l’importanza del argomento, si rende più che necessario dichiarare il nostro disaccordo di maniera aperta, fondamentandolo con degli argomenti adeguati.

Intervista *

  • D – Il cardinale Gerhard L. Műller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, ha detto a proposito del matrimonio che le parole di Gesù sono molto chiare e “nessun potere in cielo e in terra, né un angelo né il papa, né un concilio né una legge dei vescovi, ha la facoltà di modificarle”.
  • R – Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù. A quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito [rimando commento 1].[3]
  • D – Ma allora, se tutte le parole di Gesù vanno esaminate e ricondotte al loro contesto storico, non hanno un valore assoluto.
  • R – Nell’ultimo secolo nella Chiesa c’è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente che cosa volesse dire Gesù… Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa, il Vangelo è scritto da esseri umani, è accettato dalla Chiesa che è fatta di persone umane… Perciò è vero che nessuno può cambiare la parola di Gesù, ma bisogna sapere quale è stata! [Rimando commento 2].[4]
  • D – È discutibile anche l’affermazione in Matteo 19, 3-6: “Non divida l’uomo ciò che Dio ha congiunto”?
  • R – Io mi identifico con quello che dice papa Francesco. Non si mette in dubbio, si mette a discernimento…
  • D – Ma il discernimento è valutazione, è scelta tra diverse opzioni. Non c’è più un obbligo di seguire una sola interpretazione…
  • R – No, l’obbligo c’è sempre, ma di seguire i risultati del discernimento.
  • D – Però la decisione finale si fonda su un giudizio relativo a diverse ipotesi. Prende in considerazione dunque anche l’ipotesi che la frase “l’uomo non divida…” non sia esattamente come appare. Insomma mette in dubbio la parola di Gesù.
  • R – Non la parola di Gesù, ma la parola di Gesù come noi l’abbiamo interpretata. [Rimando commento 3].[5]

p. Arturo Sosa Abascal. s.i.

Il discernimento non sceglie tra diverse ipotesi ma si pone in ascolto dello Spirito Santo, che – come Gesù ha promesso – ci aiuta a capire i segni della presenza di Dio nella storia umana.

  • D – Ma come discernere?
  • R – Papa Francesco fa discernimento seguendo sant’Ignazio, come tutta la Compagnia di Gesù: bisogna cercare e trovare, diceva sant’Ignazio, la volontà di Dio. Non è una ricerca da burletta. Il discernimento porta a una decisione: non si deve solo valutare, ma decidere.
  • D – E chi deve decidere?
  • R – La Chiesa ha sempre ribadito la priorità della coscienza personale.
  • D – Quindi se la coscienza, dopo il discernimento del caso, mi dice che posso fare la comunione anche se la norma non lo prevede…
  • R – La Chiesa si è sviluppata nei secoli, non è un pezzo di cemento armato. È nata, ha imparato, è cambiata. Per questo si fanno i concili ecumenici, per cercare di mettere a fuoco gli sviluppi della dottrina. Dottrina è una parola che non mi piace molto, porta con sé l’immagine della durezza della pietra. Invece la realtà umana è molto più sfumata, non è mai bianca o nera, è in uno sviluppo continuo.
  • D – Mi par di capire che per lei ci sia una priorità della prassi del discernimento sulla dottrina.
  • R – Sì, ma la dottrina fa parte del discernimento. Un vero discernimento non può prescindere dalla dottrina.
  • D – Però può giungere a conclusioni diverse dalla dottrina.
  • R – Questo sì, perché la dottrina non sostituisce il discernimento e neanche lo Spirito Santo [rimando commento 4].[6]

Commento

[3] – Commento 1:  Fare una riflessione sulle parole di Gesù è certamente qualcosa che può venire sempre fatta, con grande profitto. La Chiesa l’ha fatto durante duemila anni di storia, senza sosta. Quello che non si vede chiaro è l’allusione al ‘registratore’ che in quel tempo nessuno aveva per incidere le parole. Se l’intervistato vuole dire che l’assenza di tale registratore impedisce di avere certezza sulle parole di Gesù, commette senz’altro un grande errore di apprezzamento. Si accetta senza problemi la testimonianza delle opere più antiche del passato, sia profane che religiose, soprattutto quando questa testimonianza è unanime o confermata da qualificati testimoni. Così succede con le grande opere letterarie del passato classico greco e romano, perfino con le opere di carattere biografico. Succede anche con gli anali egiziani, babilonici e di altre culture antiche che si trovano in tavole di pietra o monumenti archeologici.

Dai vangeli canonici, inoltre, si conservano intorno a 15.000 manoscritti, molto di più che di qualsiasi opera letteraria profana, e in lingue diverse, lo quale implica provenienze diverse a seconda del caso. Nei primi 170 anni della storia cristiana, i vangeli vengono anche citate 20.000 volte. Sia i manoscritti sul testo che le citazioni, tutti riportano un testo come quello che conosciamo e che fu trasmesso dalla Chiesa.[7] Non parliamo dei dati archeologici, dei quali autori come Vittorio Messori hanno profusamente enumerato le grande ‘coincidenze’ tra i dati forniti dai vangeli canonici con quelli che l’archeologia ci rivela oggi.[8] Sarebbe assurdo e perfino infamante pensare che tutti si siano sbagliati insieme o che abbiano lavorato su un testo assolutamente incerto. Le prove interne degli stessi vangeli o degli Atti degli Apostoli sono anche abbondantissime.

E’ chiaro che le parole di Gesù sono state pronunciate in un certo contesto. Questo è innegabile, è necessario e la Chiesa ne ha sempre avuto coscienza. Perfino nella catechesi, lungo tutti i tempi si è sempre spiegato chi erano i farisei, chi i dottori della legge e chi gli scribi con i quali Gesù discuteva, e si spiegava il perché. Il problema risiede in sapere cosa intende l’intervistato per “contestualizzare”. Vuole dire che soltanto potevano capirsi le parole di Gesù nel contesto culturale in cui furono pronunciate? O ancora di più: Vuole dire che al di fuori di quel contesto o di quell’epoca, il senso delle parole di Gesù cambia assolutamente? Torniamo ad insistere sul fatto che, normalmente, non si fa lo stesso analisi per interpretare le parole di Platone, Seneca, Aristotele o i grandi pensatore dell’antichità. Si accetta, ovviamente, che hanno parlato in un certo contesto, e questo si capisce perfettamente. Tutti sanno che gli esempi chi hanno utilizzato sono quelli del suo popolo, della sua cultura, della sua epoca, ma nessuno dubita della certezza dei suoi insegnamenti in materia intellettuale, etica, di conoscenza, ecc., perfino se si pensasse diversamente, in ogni caso. Perché non accettare quindi, che le parole di Gesù nei vangeli siano tali e quali quelle che sono scritte?

[4] – Commento 2:  L’autore distingue, abbastanza soggettivamente, fra “relativismo” e “parola relativa”. Questa distinzione dovrebbe meritare una migliore spiegazione, se pur esiste. Ad ogni modo e se si osserva con attenzione, l’intervistato punta su due cose ben diverse: In primo luogo, nel dire che “c’è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente che cosa volesse dire Gesù”, suppone che ogni parola di Gesù deve essere reinterpretata, e ciò implica di per sé un certo relativismo, pur se viene chiamato in un altro modo. Inoltre, nel dire che “bisogna sapere quale è stata” (quella parola) continua ad affermare che non abbiamo nessuna certezza di quale siano le parole vere di Gesù.

Il problema è l’‘a-priori’ in materia gnoseologica (di conoscenza). Per l’intervistato non esistono delle certezze sul piano storico o almeno in quello che dice rapporto ai vangeli (forse non abbia dei problemi in riconoscere come autentiche parole attribuite a Giulio Cesare o Nerone, come di solito succede in questi casi). E’ un a priori che ha le sue radici più remote nella filosofia di Kant secondo la quale l’uomo non può conoscere la realtà di modo adeguato, ma solo il “fenomeno” mediante il quale l’intelligenza umana ‘modella’ quella realtà. Ma c’è qualcosa altro, ed è la filosofia hegeliana. La rivelazione di Dio (capito ed assimilato allo spirito assoluto di Hegel) soltanto si capisce nell’evoluzione della storia e perciò, le parole di Gesù si capivano nel contesto in cui Lui viveva, nel suo contesto storico e culturale (il cosiddetto “sitz in leben” del conosciuto metodo della storia delle forme). Dal momento  che quel contesto è cambiato lungo la storia, ad ogni momento di essa si possono dare alle parole di Gesù un’interpretazione diversa, perfino se contradittoria della prima.

[5] – Commento 3: L’intervistato distingue tra “dubbio” e “discernimento”. Sono senz’altro dei concetti diversi; il problema risiede però nel uso concreto che si li vuole dare. Dire che Gesù non ha detto quello che lungo venti secoli gli è stato attribuito, o che forse non abbia pronunciato quello che i criteri interni ed esterni di credibilità dei vangeli assicurano essere sua parola, o dire semplicemente che non si conosce né si può conoscere quello che ha realmente detto, questo è a colpo sicuro dubbio e non discernimento. E se non si trattassi di un dubbio, sarebbe ignoranza invincibile, lo quale è ancora un ostacolo maggiore.

L’autore afferma che non è la parola di Gesù ad essere messa in dubbio ma il “come l’abbiamo interpretata”. Ma in realtà vengono messe in dubbio le parole stesse di Gesù. In un contesto come quello di Matteo 19, 3-6, dove chiaramente interrogano Gesù sulla possibilità, da parte del uomo, di ripudiare la propria moglie fondamentandosi nella legge di Mosè, la risposta: “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”, può soltanto significare l’indissolubilità del matrimonio, e Gesù ne spiega il perché: “In principio è stato così…”. L’interpretazione del passaggio è più che ovvia. Non vi può essere un’altra in questo caso.

D’altronde, il modo nel quale l’intervistato imposta l’argomento del “discernimento”, mostrando chiaramente sfiducia dall’interpretazione data alle parole di Gesù lungo venti secoli, equivale a dire che il discernimento fatto dalla Chiesa, i santi e mille di interpreti lungo quel periodo è stato sbagliato, e che dovrebbe essere sostituito con quello di pochi esegeti del secolo XX che si considerano gli unici autorevoli al riguardo. E’ veramente assurdo.

[6] – Commento 4: L’esempio dato dall’intervistato è quello di Sant’Ignazio di Loyola – con un’allusione al Papa Francesco, citando quest’ultimo Sant’Ignazio -. Sappiamo bene che Sant’Ignazio parla di discernimento e sappiamo come lo fa; mai lo fa per “analizzare (discernere) se la dottrina della Chiesa sia vera o meno”, e meno ancora per “giungere a conclusioni diverse della dottrina”, come dichiara il sacerdote intervistato nell’ultimo paragrafo. Sant’Ignazio ci insegna, al limite, come applicare la dottrina di Cristo alla vita di ognuno, ma questo è tutta un’altra cosa.  Sant’Ignazio stesso ci avverte, nelle sue Regole per sentire con la Chiesa: “Per essere certi in tutto, dobbiamo ritenere che il bianco che io vedo, credo sia nero, se la Chiesa gerarchica così lo determina, credendo che … la Chiesa è retta e governata dal medesimo Spirito e Signore nostro, che diede i dieci Comandamenti”[9] Dal momento che vengono menzionati i termini “credere” e anche “i dieci Comandamenti” è allora che si può facilmente dedurre che si parla specialmente sulla dottrina. Si può dunque, concludere che St Ignazio non dice affatto che la dottrina della Chiesa sia quella che va soggetta a discernimento ma piuttosto il contrario, questa dottrina è da essere creduta.

In relazione al chiamato metodo delle storie delle forme al quale avevamo fatto riferimento e che il padre Sosa sembra voler applicare ai Vangeli, ricordiamo cosa dice il documento della Pontificia Commissione biblica che ne ha toccato l’argomento: «Spesso il suddetto metodo è connesso con principi filosofici e teologici da non ammettersi, i quali viziano non raramente sia il metodo stesso, sia le conclusioni in materia letteraria. Difatti alcuni fautori di questo metodo, mossi da pregiudizi razionalistici, si rifiutano di riconoscere l’esistenza dell’ordine soprannaturale e l’intervento di un Dio personale nel mondo, avvenuto mediante la rivelazione propriamente detta, nonché la possibilità e l’esistenza dei miracoli e delle profezie. Altri partono da una falsa nozione della fede, come se questa non si curasse della verità storica, o addirittura fosse con essa incompatibile. Altri negano a priori il valore storico e l’indole dei documenti della rivelazione. Altri, infine, tenendo in poco conto l’autorità degli apostoli in quanto testimoni di Gesù Cristo, nonché del loro ufficio e influsso nella comunità primitiva, esagerano il potere creativo di detta comunità. Le quali cose tutte non solo sono contrarie alla dottrina cattolica, ma mancano altresì di fondamento scientifico ed esulano dai retti principi del metodo storico.»[10]

Anche la costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Vaticano II, perfino con maggiore autorità: «La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i quattro suindicati Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo.»[11]

Come corollario a quanto detto, dobbiamo aggiungere che le stesse parole di Gesù sembrano indicare un significato totalmente opposto a quello suggerito con l’espressione ‘parole relative’, come ad esempio: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno (mt 24,35; Mc 13,31; Lc 21,33). E’ d’altronde provvidenziale che, su questo versetto tanto significativo, siano tutte e tre i vangeli sinottici a dare uniforme testimonianza. Ecco perché crediamo che non siano più necessari ulteriori commenti, neanche ulteriore interviste…

[1] Link completo: http://www.rossoporpora.org/rubriche/interviste-a-personalita/672-gesuiti-padre-sosa-parole-di-gesu-da-contestualizzare.html

[2] Link completo: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/02/22/matrimonio-e-divorzio-il-generale-dei-gesuiti-anche-gesu-va-reinterpretato/

[7] Elenco dei manoscritti in Metzger B., Il testo del nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1996, pp. 40-95; altri dati in Metzger B., Il canone del nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1997, pp. 227-228.

[8] Cfr. Messori V., Ipotesi su Gesù¸ Mame 1976, e Patì sotto Ponzio Pilato, Società ed. Internazionale 1992.

[9] Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali [365].

[10] http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19640421_verita-vangeli_it.html PCB, Istruzione Sancta Mater Ecclesia (21/4/1964) (EB [647]).

[11] [http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651118_dei-verbum_it.html] C. Vat. II, Costituzione Dei Verbum, sulla divina rivelazione, 19.

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